La sfida di Charleroi ha rispettato alla lettera tutte le previsioni. Hanno vinto i più forti, ma che non sono “molto più forti” come dice Barazzutti. L’Italia si conferma troppo legata a Fognini, e i ricambi non sembrano (ancora?) in grado di raggiungere certi livelli. Nell’attesa, i tifosi italiani possono imparare dal pubblico belga: che spettacolo!CHARLEROI – Non c’è bisogno di inventarsi nulla di particolare: Belgio-Italia è andata esattamente come doveva andare. Con Fabio Fognini poteva essere un match da 60-40 in favore dei padroni di casa, senza di lui è diventato da 80-20 e i classici discorsi sull’effetto-Davis possono rimanere nel cassetto, perché il campo ha rispettato alla lettera tutto ciò che ci si aspettava, con una precisione quasi sorprendente. A Charleroi l’Italia doveva vincere il doppio e l’ha vinto, Goffin doveva fare due punti e li ha fatti, e Darcis era favorito contro Lorenzi e l’ha dimostrato, nel singolare più combattuto (e ci si aspettava anche quello) dell’intero week-end. Non ci sono nemmeno particolari rimpianti, situazioni che potevano cambiare le cose, nulla. Per il Belgio è andato tutto liscio, e il match-point mancato nel doppio ha solo offerto una giornata (anzi, un incontro) in più di tennis “vero”. Ma di pathos ce n’è stato poco, come le chance passate dalla racchetta di Lorenzi non solo per vincere, ma anche per dare fastidio al rivale. Ha detto bene Paolo in conferenza stampa: per vincere doveva essere più fortunato di Goffin, e sperare pure in una giornata storta del numero 14 ATP. Una combinazione molto difficile e nemmeno troppo meritata: un po’ come fare 6 al Superenalotto, giocando una volta all’anno. La verità è che per fermare la nostra nazionale attuale, con Fognini o senza, basta un Goffin + 1, e se quell’1 è Darcis tanto meglio. L’Italia ha tre top-100, il Belgio due, ma loro hanno Goffin e i suoi 68 chili, sufficienti a consegnare al Paese due delle tre semifinali di Davis della sua storia, quattro se si considera la finale del 1904. Il fisico minuto e un atteggiamento sempre composto lo rendono poco appariscente e spesso pure poco considerato, ma da solo il 26enne di Rocourt ha fatto quello che l’Italia non fa dai tempi di Panatta e Barazzutti, centrando la Top-10 (per una sola settimana, ma ci tornerà) e due quarti nei tornei del Grande Slam.

FOGNINI-DIPENDENTI
Lorenzi ha fatto quello che poteva fare: poco. Goffin è di un’altra categoria, davanti ai giornalisti ha detto chiaramente di non soffrire il tennis di Lorenzi, e si era visto benissimo in campo. Barazzutti poteva rischiare la carta Bolelli: a volte i rischi pagano, altre no. Ma l’impressione è che questa, di volta, sarebbe stata una delle altre. La vittoria di Goffin ha regalato l’esordio in nazionale ad Alessandro Giannessi, che ha ricambiato la fiducia di Barazzutti battendo in due set Joris De Loore (ha chiuso col passante di rovescio, suo storico tallone d’Achille!) e facendo felice mamma, papà e i due fratelli, accorsi a Charleroi nella speranza di vederlo in campo. Se l’è meritato, e l’augurio è di rivederlo presto, magari con quel ranking a due cifre che è sempre più vicino. Come poteva andare con Fognini non lo sapremo mai: battere questo Goffin sarebbe stato quasi impossibile, ma contro Darcis poteva vincere il primo punto, e magari dare al week-end una piega diversa. Anche se Barazzutti non vuole guardare al “come sarebbe andata se”, la trasferta conferma che l’Italia è Fognini-dipendente. In tutte le vittorie più importanti degli ultimi anni c’è il suo zampino: nel 2013 con la Croazia, nel 2014 contro Argentina e Gran Bretagna, nel 2015 in Russia. Certo, ha anche sempre giocato, e magari al posto suo avrebbero vinto pure gli altri, ma ciò non toglie che il ligure sia fondamentale. Il problema è che non si tratta di una buona notizia. Di nazionali che dipendono da un singolo ce ne sono molte, la Gran Bretagna – per citarne una – ha vinto una Coppa Davis con Andy Murray e basta (che nel 2015 vinse 11 match su 11), ma Murray è Murray e l’anno successivo è diventato numero uno del mondo, mentre Fognini è Fognini e da solo non è sufficiente.
LA LEZIONE DEL PUBBLICO
Il secondo problema è che alle spalle di Fabio non si intravede nessuno in grado di arrivare ai suoi livelli (presto o meno presto), ed è un vero peccato, perché in questa Davis sempre più snobbata dai big qualche possibilità di arrivare in fondo ci sarebbe anche per gli azzurri (se al completo). In conferenza stampa Barazzutti ha ammesso che la squadra ha bisogno di ricambi e ha sottolineato la presenza di qualche giovane interessante (“ma senza fare nomi, per non creare false aspettative”), ma ha anche fatto presente che fino a quando i giovani non raggiungeranno il livello del quartetto attuale, lui si deve per forza affidare ai migliori, che appena Fognini compirà gli anni a maggio saranno tutti over-30. Giusto. Sbaglia, invece, quando dice che “in questo momento il Belgio ha una squadra molto più forte”. Non è vero: la squadra di Johan Van Herck è più forte e infatti ha vinto, ma il “molto” è eccessivo e non deve passare il messaggio che l’Italia contro certe squadre non possa vincere. In certe condizioni lo può fare, e quelle di Charleroi erano le peggiori possibili, fra trasferta, condizioni di gioco, assenza del nostro numero uno e pure un clima davvero meraviglioso per i padroni di casa, con circa seimila persone coloratissime, rumorosissime, caricate a suon di birre ma sempre molto composte e rispettose. La finale del 2015, conquistata giocando sempre in casa, ha dato una mano enorme alla voglia di tennis dei belgi, e i recenti risultati di Goffin hanno fatto il resto, ma in questo i tifosi italiani possono (devono) imparare tanto. Anche solo per farsi trovare pronti se e quando arriveranno i tanto attesi ricambi. Il boato di venerdì, quando i belgi sono usciti dal tunnel per la presentazione, valeva il prezzo del biglietto. In Italia si va a vedere il tennis, in Belgio (e non solo) si va a tifare la nazionale. E fra le due cose c’è una differenza abissale.