Sono passati tanti anni da quando Richard Williams era accusato di manipolare a tavolino le finali tra Serena e Venus. Salvo rivelazioni post-carriera, non sapremo mai quanto fosse vero. Nel dubbio, la comunità del tennis si era schierata – più o meno compatta – contro l’idea della nona finale in casa Williams. Magari se le sarebbero date di santa ragione, ma quando manca il sacro fuoco dell’agonismo è inevitabile che esca un match zoppo. E’ dunque una buona notizia che in finale ci sia Angelique Kerber. A inizio torneo le speranze erano riposte su altre giocatrici, ma alla fine va bene così. Anzi, forse è meglio così. Abbiamo anche una storia, giacché la retorica della rivincita piace sempre a guardoni e lettori. Se l’erba non sarà troppo veloce, tra l’altro, la tedesca avrà anche qualche chance.
Ben diversa la faccenda in campo maschile. Pensate se l’ultimo atto fosse tra Milos Raonic e Tomas Berdych: da una partite il robotico canadese, tutta sostanza e niente spettacolo, dall’altra l’imprevedibile ceco, sempre sconfitto nei match importanti. Tutti vogliono, bramano, desiderano un big match tra Roger Federer ed Andy Murray. Sarebbe una domenica di fuoco, a enorme tasso emotivo. Ma sarà davvero così? C’è un paradosso: nonostante i precedenti siano ben più equilibrati tra Murray e Berdych (8-6 per Andy), la sensazione è che lo scozzese abbia margine sufficiente per tenere a bada il ceco. Silurato Dani Vallverdu (che peraltro ha trovato subito un impiego con Del Potro), Tomas si presenta a fari spenti e senza coach. Condizione psicologica ideale per tentare il colpaccio, anche se negli ultimi due anni non è mai stato troppo incisivo contro Murray. Noi diciamo che vince Andy: forse non avrà neanche bisogno del quarto set. Ben più complicata la faccenda tra Federer e Raonic, per quanto lo svizzero abbia vinto 9 volte su 11. Mentre Federer completava la rimonta contro Cilic, esaltando lo spogliatoio, Raonic era davanti alla TV in cerca di debolezze e punti dove colpire. Si è reso conto che Roger è andato in crescendo: nei primi due set non rispondeva e perdeva quasi tutti gli scambi brevi. Poi è cambiato tutto. Il canadese ama uccidere in fretta lo scambio, ma il serve and volley sistematico potrebbe essere rischioso. Dovrà essere bravo a capire quando attaccare. E dovrà essere bravo John McEnroe a trasmettergli le giuste sensazioni. Inoltre dovrà essere superlativo in risposta: pochi se ne sono accorti, ma Federer ha incassato appena tre break in tutto il torneo. Raonic ha un gioco tanto poco spettacolare quanto una testa raffinata. Analizza tutto, vuole essere perfettamente consapevole di quello che accade. A volte può essere dannoso, e Carlos Moyà (uno dei tre coach: chissà se Riccardo Piatti volerà in extremis a Londra come aveva ipotizzato a inizio torneo) gli ha detto di allentare un po’ la tensione. La formula è servita, soprattutto quando ha rischiato di perdere da David Goffin negli ottavi. Federer ha ammesso di averlo visto poco: “Non l’ho visto giocare e non ho seguito neanche il Queen’s, quindi non sono in grado di esprimere un’opinione. Se è giunto in semifinale, tuttavia, John lo avrà ispirato alla grande. Ma credo che la situazione lo avrebbe ispirato comunque, anche senza McEnroe. Sono convinto che stavolta pensi di farcela: si metterà addosso molta pressione e può essere un vantaggio per me, ma è certamente un tennista migliore rispetto a due anni fa”. Raonic ha vinto l’ultimo scontro diretto, in finale a Brisbane. Secondo Moyà potrebbe essere un fattore importante. Se Raonic confermerà certe sensazioni è il nostro favorito, per un semplice motivo: tre ore e quindici di lotta e 170 servizi non si smaltiscono così facilmente. E Federer non avrà nemmeno il vantaggio di giocare per secondo…
La Francia di Coppa Davis si presenterà in Repubblica Ceca con un team rimaneggiato, ma intanto festeggia una storica finale tutta transalpina nel doppio maschile. Non accadeva da 84 anni, dai tempi dei Quattro Moschettieri, che uno Slam non portava quattro francesi in finale: allora furono Henri Cochet, Jacques Brugnon, Christian Boussus e Marcel Bernard. Era il Roland Garros 1932. Stavolta si giocheranno il titolo Herbert-Mahut (sempre più leader della specialità) e i redivivi Benneteau-Roger Vasselin, che dopo aver vinto il Roland Garros nel 2014 si erano un po’ persi. I primi due sono favoriti e saranno carichi per la convocazione di Yannick Noah, che ha puntato forte su di loro per la trasferta di Trinec. Ma Wimbledon insegna – soprattutto in doppio – che può succedere di tutto. E chissà che il “povero” Julien, sempre sconfitto nelle finali ATP in singolare, non possa prendersi una bella soddisfazione nel tempio del tennis.
A proposito di Davis, il team argentino ha già iniziato a lavorare in vista della trasferta di Pesaro. In questi giorni ci stanno dando dentro Juan Monaco e Guido Pella presso il Racket Club di Buenos Aires. Dalle loro parti è inverno ma, dopo un giorno di pioggia, hanno potuto lavorare all’aperto. Con loro il capitano Daniel Orsanic e il vice Mariano Hood. Interessanti le parole di Juan Monaco, aperto a un riavvicinamento con Juan Martin Del Potro: “Abbiamo avuto qualche malinteso, ma quando si parla e ci si conosce da tutta la vita, ci si guarda negli occhi e con due parole si sistema tutto. Poi ci siamo entrambi fatti male e abbiamo perso i contatti. Ma adesso ci vediamo più spesso e va tutto bene, c’è una nuova possibilità di giocare insieme in Coppa Davis ed è anche una nuova chance per il nostro rapporto”. Creare un rapporto cordiale tra tutti i giocatori è la missione di capitan Orsanic, e per ora il progetto funziona. Alla spicciolata, gli argentini arriveranno in Italia. Pella e Monaco viaggeranno oggi, Del Potro sabato (direttamente da Buenos Aires, dove si è recato dopo gli sforzi di Wimbledon) mentre Federico Delbonis e lo sparring partner Genaro Olivieri sono rimasti in Europa dopo aver giocato Wimbledon. “L’Italia gioca in casa e per questo è favorita, ma io ho grande fiducia nel mio team” ha detto capitan Orsanic.