La disparità tra terra rossa e altre superfici: chi vuole costruirsi un buon ranking giocando sul rosso ha la metà dei punti a disposizione rispetto a uno specialista del rapido.
Tempi duri per gli specialisti della terra battuta
Di Riccardo Bisti – 30 aprile 2013
E’ passato qualche anno da quando la FIT ha lanciato il Progetto Campi Veloci, il cui obiettivo è incentivare l’utilizzo di superfici diverse dalla terra battuta. Ai tempi del varo, il 90% dei campi da tennis in Italia era in terra battuta. Le cose stanno lentamente cambiando, ma ci vorrà del tempo per vedere i primi risultati di una rivoluzione culturale ancor prima che tecnica. Uno degli slogan del progetto riguardava la distribuzione dei punti ATP: “Bisogna migliorare sul cemento e sul ‘veloce’, perchè è lì che si distribuisce oltre il 70% dei punti ATP”. Giusto e sacrosanto. Ma è giusto e sacrosanto che il circuito mondiale sia così sbilanciato verso i campi duri? In questo momento, la terra battuta sta perdendo i pezzi. Ormai, i tornei “rossi” sono concentrati in un paio di mesi, da inizio aprile a inizio giugno. C’è una finestra a febbraio (la “Gira Sudamericana”), terra di conquista per specialisti, più tre settimane dopo Wimbledon. Ma la “cementificazione” del circuito viaggia inarrestabile. Prendiamo il torneo di Acapulco: il più ricco evento della “Gira Sudamericana” passerà al cemento nel 2014. Per fortuna dei terraioli, la perdita di Acapulco sarà compensata dall’arrivo di Rio de Janeiro. Fosse stato per i direttori dei tornei, tutti gli eventi sudamericani sarebbero passati al cemento. Ma la ferma opposizione dei giocatori ha impedito il passaggio. Dal 2015, inoltre, la stagione sull’erba aumenterà di una settimana, con effetti ancora peggiori per gli specialisti del rosso. Lo storico torneo di Stoccarda cambierà superficie e passerà dalla terra all’erba, riducendo ulteriormente il numero di eventi “rossi”. Se poi consideriamo la progressiva cancellazione della fase autunnale (Palermo cancellato e mai più sostituito, Bucarest spostato in primavera), oltre alla totale sparizione dei tornei ATP su terra verde, il quadro è completo. E il defunto torneo di Belgrado non è stato sostituito.
Il calendario 2013 propone 65 eventi. Di questi, 37 si giocano su superfici dure, ai quali si aggiungono i 6 tornei sull’erba, certamente indigesti agli specialisti del rosso. Restano soli 22 tornei sulla terra battuta. La discrepanza è evidente, ma non si limita alla quantità. Le differenze sono anche qualitative. Se hai l’ambizione di entrare tra i migliori al mondo, devi per forza giocare (bene) sul cemento. La terra battuta non può essere trascurata, ma non è nemmeno così importante. Prendiamo i primi 30. Nel loro "Ranking Breakdown” (la somma dei punti), devono figurare per forza i quattro Slam più otto Masters 1000 (Monte Carlo è l’unico a non essere obbligatorio). Di questi 12 tornei, 8 sono sul veloce. E bisogna giocarli per forza, pena uno “zero” in classifica ed eventuali sanzioni. C’è poi l’obbligo di inserire quattro ATP 500. Anche in questo caso, un terraiolo deve fare i conti con i campi duri: può raccogliere punti ad Acapulco (dall’anno prossimo Rio de Janeiro), Barcellona e Amburgo, ma poi deve essere obbligatoriamente inserire un torneo post-Us Open: Pechino, Tokyo, Basilea e Valencia si giocano tutti sul veloce. Prendiamo un giocatore che voglia costruirsi la sua classifica giocando il più possibile sul rosso. Nel suo “Best 18” può inserire uno Slam (Roland Garros), due Masters 1000 (Madrid e Roma), tre ATP 500 (si può inserire anche Monte Carlo) e due tornei di categoria inferiore. Otto tornei su diciotto, non sembra così male. Ma i punti in palio sono "soltanto" 6.500. Al contario, chi preferisce giocare su altre superfici può impostare il suo calendario con ben quattordici tornei, per un bottino complessivo di 12.500 punti. Praticamente il doppio. In altre parole: o sei un fenomeno come Rafael Nadal o una duracell umana come David Ferrer, altrimenti i top 5 te li scordi. Sarebbe interessante vedere il ranking ATP se il peso dei punti in palio fosse rovesciato.
Invece la tendenza è sempre più forte: dieci anni fa, i tornei sul cemento superavano quelli su terra di undici unità. Adesso sono quindici, senza considerare l’erba. Eppure la terra è la migliore superficie per le articolazioni dei giocatori, quella dove è più difficile infortunarsi. O vogliamo credere che l’impressionante numero di infortuni degli ultimi anni sia soltanto una casualità? Non è che i campi duri sono più pericolosi? Nadal lo dice da anni, forse perchè ci crede, forse perchè ha interesse a sostenerlo. Di sicuro i dati confortano le sue tesi. Non è mai successo che un Masters ATP si giocasse sulla terra. Perchè deve essere così? Soltanto un’edizione delle Olimpiadi si è giocata sul rosso (Barcellona 1992). Persino a Rio de Janeiro 2016 si giocherà sul cemento. Siamo sicuri che sia la strada giusta da seguire? Fino a qualche anno fa, la polvere di mattone era buona soprattutto per specialisti: in effetti, si sono visti spettacoli non esaltanti (Barazzutti-Higueras, Bruguera-Berasategui). Ma l’omologazione delle superfici, pur essendo un fattore generalmente negativo, ha spettacolarizzato il tennis su terra. E’ la superficie dove si vedono più variazioni, colpi ad effetto, fantasia…tanto che Paul McNamee ha proposto di far giocare Miami sulla terra verde. Hanno già fatto sapere di non volerlo accontentare. Oggi solo il 33% dei tornei si gioca sul lento: la percentuale è destinata a scendere. Siamo sicuri che sia la scelta giusta?
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