Il francese ha vinto il suo primo Atp 500, in Giappone, e adesso prova a entrare nei Top 5 migliorando il suo best ranking (n.6 nel 2008). Ma chi è Jo-Wilfried?




di Gabriele Riva
– foto Getty Images

Jo-Wilfried Tsonga ha 24 anni, sorriso contagioso e molta voglia di arrivare lassù. Sorpassare i vari Murray, Davydenko e Del Potro, acchiappare Nadal, Federer e Djokovic. “E’ il mio obiettivo, centrare i primi 5”, confida il ragazzone francese. Che parla di tutto e di più in questa video-chiacchierata via Internet. La terra battuta, la prima piazza Atp, gli infortuni, i francesi e gli italiani… “L’obiettivo in realtà è quello di continuare a migliorare. Voglio fare meglio dell’anno scorso.

– Pensi d’aver espresso il tuo miglior tennis fino a oggi?

“No, assolutamente no, non per il momento. Il mio miglior tennis ve lo devo ancora far vedere. Spero di riuscirci nei prossimi anni”.

– In che cosa pensi di poter migliorare di più?

“Posso migliorare molto sul piano difensivo. E anche sul modo di muovermi in campo. Una volta che sarà riuscito a migliorare questi problemi penso che sarò molto più forti”.

– Come s’è sviluppato il rapporto con il tuo coach Winogradsky?

“Beh, è una storia davvero molto lunga. Mi ha preso sotto la sua ala quando ho finito la mia carriera juniores, all’età di 18, 19 anni. E’ stato un rapporto molto lungo e all’inizio anche molto conflittuale. Poi piano piano, man mano che il tempo passava, abbiamo cominciato a conoscerci meglio reciprocamente. Adesso stiamo facendo davvero un ottimo lavoro e quindi spero che possa continuare così”.

– Ma su che cosa avevate tutti questi conflitti?

“Su un sacco di cose. Sul modo d’allenarmi e sul modo di vedere il tennis. Erano proprio diversi il mio e il suo. Poi abbiamo imparato a conoscerci l’un l’altro. Entrambi abbiamo fatto degli sforzi per capirci ma è stato meglio così perché adesso tutto va molto bene”.

– Hai uno staff di tre persone che ti segue sempre lungo il circuito.

“Certo, perché è molto importante. Perché nel tennis di oggi per arrivare a certi livelli bisogna non lasciare nulla al caso. E’ vero anche che sul piano fisico devi essere in buona salute e molto preparato. E poi bisogna curare l’aspetto tattico visto che non tutti i giocatori sono uguali: gli avversari giocano in maniera diversa l’uno dall’altro e quindi bisogna sapersi adattare: perché è importante avere qualcuno che conosca bene il tennis e che sia capace di darmi qualche indicazione importante sugli avversari prima di incontrarli”.

– Hai avuto moltissimi infortuni nella tua carriera. Qual è stato il momento più difficile?

“E’ stato quando ho avuto problemi alla schiena. Avevo un’ernia al disco e i medici mi dicevano che avevo solamente una possibilità su due di riprendere a giocare a tennis. Però non è vero, come ha scritto qualcuno, che avevo quasi deciso di smettere”.

– Eri, con Gasquet, Monfils e Ouanna, una grande promessa del tennis francese. Come vivevi questa cosa?

“L’ho vissuta bene, anche se in quel periodo ero pieno di infortuni, eppure nono stonate questo ho sempre saputo che sarei potuto diventare un giocatore forte. Mi si prospettava un bellissimo futuro e io ci credevo”.

– Non sentivi un po’ di pressione?

“No no, assolutamente. Per la me il significato di pressione è non avere da mangiare nel proprio piatto o di non avere un lavoro. Gioco a tennis, faccio una gran bella vita. Niente pressione”.

– Come hai cominciato a giocare?

“Con moi padre. Lui era maestro di tennis. Giocavo con lui ma non solo. Ricordo che quando lui faceva lezione mi dava la racchetta e mi metteva davanti al muro che c’era di fianco al suo campo. Io passavo così il tempo”.

– Hai qualche scaramanzia particolare legata al tennis?

“Metto sempre le racchette in borsa in un certo modo ben preciso”.

– Tra i francesi con chi è che leghi di più?

“Non lo so, con tutti credo. Però direi con Gael Monfils”.

– Qual è la cosa più brutta che hai fatto su un campo da tennis?

“Fammi pensare… ah sì, una volta ho spaccato la sedia dove ci si mette ai cambi campo”.

– Qual è il torneo del Grand Slam che preferisci?

“Adoro il Roland Garros perché si gioca in Francia, è lo Slam di casa. Però il mio preferito è Wimbledon”.

– Che ne pensi dei giocatori italiani?

“Sono giocatori con molto talento e penso che tra non molto saranno molto più forti di quanto siano ora perché miglioreranno ancora e qualcuno arriverà anche nei primi 10. Credo che Bolelli per esempio sia un giocatore che ha tutte le carte in regola per farlo, tra gli italiani è quello col maggior potenziale”.

– Una cosa che non hai mai fatto che ti piacerebbe fare?

“Mi piacerebbe andare a cavallo”.

– E invece una cosa che non ti piace per niente?

“Studiare (ride, n.d.r.)”.

– C’è una partita che ti piacerebbe rigiocare?

“Sicuramente sì: la finale con Djokovic agli Australian Open. Mi sarebbe piaciuto avere l’esperienza delle vittorie successive per sapere come fare a batterlo (dopo quella finale, Tsonga ha vinto gli altri quattro scontri diretti, n.d.r.)”.

– Cosa ti piace fare durante il tuo tempo libero?

“Mi piace uscire con gli amici e andare a pesca. Sono questi i miei principali passatempi”.

– Casa tua va a fuoco, non c’è nessuno dentro e tu puoi salvare solo un paio di oggetti. Cosa scegli?

“Non c’è dubbio : tutte le foto ricordo per poterle mostrare ai miei figli”.

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Un piccolo stralcio della video-intervista a Tsonga

di Gabriele Riva
– foto Getty Images

Tsonga è nato a Le Mans, in Francia, il 17 aprile 1985. E’ alto un metro e 88 e pesa 90 chilogrammi. Ama il cinema, la musica e le uscite con gli amici. Si interessa di calcio e di basket, ha un padre (Didier) d’origine congoles e insegnante di chimica, una madre (Évelyne) maestra alle elementari, un fratello minore e una sorella maggiore

JO-WILFRIED

E’ Enzo a spiegare i motivi del nome di battesimo del fratellone finalista agli Oz Open: “I miei lo volevano chiamare Jonathan, ma poi degli amici di famiglia hanno avuto un figlio prima di loro e rubarono l’idea. Bisognava cambiare, c’era bisogno di un nome, magari composto, che richiamasse solo un po’ Jonathan: scelsero Jo-Wilfried”.

TSONGA

Oltre a essere il cognome che si porta dietro da papà Didier e da nonno Faustine (nati entrambi in Congo), è il nome di una lingua molto diffusa nella zona centro-meridionale dell’Africa e che viene parlata da più di un milione e mezzo di persone.

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Jo-Wilfried Tsonga in Congo dopo la finale in Australia

ENFANTS TERRIBLES

Richard Gasquet, Gael Monfils, Josselin Ouanna e il nostro Tsonga. I quattro mostravano doti (chi più tecniche chi più atletiche) da far sognare i cugini francesi. Dell’esplosione di Gasquet stiamo ancora attendendo notizie, quella di Monfils sembra allontanarsi sempre più, mentre quella di Ouanna mai ci sarà. Al contrario quella di Jo-Wilfried ha una data: 27 gennaio 2008, giorno della finale degli Oz Open.

RODDICK

L’americano lo tiene a battesimo in una prova dello Slam, maggio 2005, Philippe Chatrier Court, Roland Garros. A-Rod vince in tre set comodi. Di Roddick Tsonga provava a imitare il servizio, senza sfigurare. A Parigi-Bercy servì una prima a 232 km/h, vicinissimo alle medie del “maestro” Andy.

RAMPA DI LANCIO

E’ il 2004, giugno. Tsonga vince il primo Futures in carriera, a Lazarote, in Spagna. L’estate gli porta pure due titoli Challenger (Nottingham, in Inghilterra, e Togliatti, in Russia). A settembre l’esordio Atp, a Pechino al primo turno batte Carlos Moya (allora n.4 del mondo) e il secondo turno a Parigi Bercy, partendo dalle “quali”, perde da Canas. Il 2005 lo ricaccerà indietro, colpa degli infortuni.

AUSTRALIAN OPEN 2007

E’ in tabellone con una wild card, ma non si sente a suo agio. “Non credevo di meritarmela quella chance, mi sentivo fuori posto”. L’avversario è ancora Roddick, il primo set è incredibile: 20-18 al tie-break. “Ero sopra di un set ma sentivo che il fisico non avrebbe retto: altra sconfitta a causa del corpo. Il braccio era pronto, la testa era pronta, il corpo ancora no. Frustrante”.

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La cerimonia di premiazione a Melbourne 2008, quando Jo è arrivato in finale (persa contro Djokovic) dopo aver battuto in semifinale Rafael Nadal

di Gabriele Riva
– foto Getty Images

ÉRIC WINOGRADSKY
, 41 anni, francese. Best ranking Atp nel luglio ’87, posizione numero 89. Destro, rovescio a una mano, nessun titolo in singolo, vanta due successi e due finali in doppio. Porta però sul grip le tacche delle vittorie su Edberg (secondo turno del Roland Garros ’87) e Pete Sampras (nelle “quali” a Sydney ’89).
Wino fino al 2004 ha lavorato proprio con il più talentuoso dei prospetti francesi, quel Gasquet che poi ha lasciato senza motivazioni troppo chiare. Separazione che ha portato a un altro amore, quello tra “Wino”, e Jojo, come lo chiama lui. Un rapporto nato sotto poche luci e molte ombre, anche se fu proprio Jo-Wilfried a richiederlo alla FFT, la federazione transalpina. “Non sempre ci capivamo – confessa Tsonga – lui aveva le sue regole e il suo metodo da allenatore, io le mie convinzioni da adolescente. Trovavo sempre qualche «ma» da opporre ai suoi consigli, a volte mi sembrava mia madre, e glielo dicevo chiaro”. Genitori e figli si scontrano e bozzano spesso, ma nella maggior parte dei casi si vogliono bene per davvero, e anche i due cominciano a sviluppare un rapporto solido. “Ormai mi fido cecamente di lui, anche se ogni tanto mi ricorda ancora oggi mia mamma in certi atteggiamenti: come quando mi dice di mettermi il maglione prima di andare in conferenza stampa dopo le partite, ha paura che prenda freddo…”.
A fare da cemento armato nel rapporto tra i due sono stati gli anni più bui, quelli degli infortuni e dei tanti dubbi che attanagliano un ragazzo che non sa se ce la farà. Éric lo invitava a cena a casa sua quando lui se ne voleva restare da solo a pensare che prima l’ernia, poi la spalla, poi il ginocchio, l’altra spalla e tutto il resto avrebbero potuto impedirgli di realizzare il suo sogno. I problemi erano molti, fisici soprattutto, ma anche psicologici perché quando la classifica Atp diceva oltre 600, le Wild Card nei tornei più grossi, quelli che possono fare da rampa di lancio, la Federazione le riservava tutte per Gasquet, lo stallone sano e bello, per i francesi il cavallo giusto su cui puntare. “Era una situazione che viveva male – spiega Wino – di Futures non ne potevamo più, né lui né io. Ricordo che un giorno facemmo una specie di riunione: io, Jojo e, per l’occasione, venne anche suo padre. Gli dissi, «i Futures non sono più i nostri obiettivi, vincine uno e ti prometto che non ne sentirai più parlare». Cambiò dall’allenamento del mattino a quello del pomeriggio: era un altro”.