Il nuovo presidente degli Stati Uniti è un appassionato di tennis. Spesso presente sugli spalti dello Us Open, ha usato la sua influenza per palleggiare con grandi campioni, senza però dimenticare il business, dal più esclusivo tennis club di Manhattan alle bellissime tennis facilities dei suoi golf club. E per il campo della Casa Bianca… (Tratto da "Il Tennis Italiano")(*) Per un appassionato di tennis americano, Donald Trump comincerà a essere un buon Presidente se, dopo essersi fumato un sigaro nella Stanza Ovale, si precipiterà nella parte sud del lato ovest della Casa Bianca, seguito dalla scorta ma anche da un bella équipe di imbianchini, pronti con solventi vari a scacciare via quelle desolanti linee da basket che Barack Obama ha fatto disegnare sul campo da tennis voluto nel 1902 da Theodore Roosvelt, il primo Presidente-tennista, capace di sfidare la terribile umidità del District of Columbia pur di scambiare quattro palle, lasciando spesso ad attendere diplomatici accorsi a discutere le sorti del mondo. Come avversari sceglieva giovani impiegati del governo, «spesso diventati in seguito cari amici e suoi consiglieri personali» come ha scritto George Sullivan nel volume How the White House Really Works. Una troupe di amici-tennisti presto ribattezzata The Tennis Cabinet. Ma Roosevelt non è stato l’unico fanatico tennista ad aver occupato la White House. Gerald Ford e Jimmy Carter non avevano la sua stessa passione ma giocavano con una certa costanza, mentre Warren Harding era soprattutto un voyeur: «Spesso trovavi sul campo campioni come Big Bill Tilden e Little Bill Johnston. E il Presidente osservava attento» ha raccontato lo scrittore William Starling. Il suo successore, Calvin Coolidge (già, anche questi nomi, ben meno conosciuti di quello di Donald Trump, hanno ricoperto il ruolo di Uomo Più Potente del Mondo, come spesso ci si riferisce allo US President), ma i suoi due figli, Calvin Jr. e John, non perdevano occasione per giocare un match. La tragedia arrivò nel 1924: Calvin Jr. si procurò una vescica all’alluce destro, mal curata al punto da divenire setticemia, un’infezione del sangue che ne ha causato la scomparsa una settimana dopo. Non sono mancati altri episodi, fortunatamente meno tragici e più curiosi: una volta il vice presidente Spiro Agew ha colpito il suo compagno di doppio con un servizio potente mettendolo k.o., al punto che il Presidente Nixon, con dubbio sense of humour, gli disse di andare ai negoziati in Cambogia armato di racchetta da tennis. Jimmy Carter invece, piuttosto geloso del suo campo da tennis, non aveva piacere a lasciar giocare qualcuno senza il suo consenso. Tanti quindi preferivano attendere che fosse lontano da Washington per approfittarne ma, anche si fosse trovato sull’Air Force One, vi era l’obbligo di chiamare il capo steward Charles Palmer per ottenere il permesso, quasi fosse il receptionist di un comune tennis club.SENZA DIFESE NUCLEARI
Ma per trovare un vero tennis addicted in stile Roosevelt si è dovuto attendere l’insediamento di George Bush Senior. È rimasta celebre la sua fuga da una funzione religiosa in California per correre a giocare un’oretta in un prestigioso tennis club di Los Angeles. Peccato che, nella foga, abbia seminato anche l’ufficiale incaricato di conservare i codici segreti in caso di attacco militare. Tanto per capirci, seppur per pochi minuti, gli Stati Uniti non avrebbero potuto accedere alle difese nucleari a causa di un semplice match di tennis domenicale. Nella sua posizione di Presidente, Bush Sr. ha avuto l’occasione di invitare diversi fuoriclasse a palleggiare sul campo della Casa Bianca, da Bjorn Borg a Pete Sampras, da Chris Evert a Pam Shriver, col figlio Jeb a far da quarto per un bel doppio. Tuttavia, preoccupato di mostrarsi fanatico di quello che era ancora considerato uno sport per ricchi, da country club, Bush Sr. preferiva giocare sui campi indoor dell’Hart Senate Office Building, lontano da occhi indiscreti. Ma per assicurarsi che il campo della White House fosse comunque in perfetto ordine, nominò il figlio Marvin come custode ufficiale (sic). Bush Sr., ora 92enne, ha continuato a giocare fino in tarda età e non gli è mai piaciuto perdere, al punto che tra i corridoi di Washington circolava una battuta: «Quando vince si fa una gran pubblicità all’incontro, quando perde diventa un segreto di stato».
Dopo Bush Sr. sono arrivati Presidenti poco inclini alla racchetta: Bill Clinton ha fatto un’apparizione poco fortunata a Parigi nel 2001 (appena arrivato sullo Chatrier ad ammirare Andre Agassi, il Kid di Las Vegas cominciò ad essere preso a pallate da Sebastien Grosjean) e suo figlio George Bush era poco avvezzo allo sport in generale (con qualche leggera propensione per il baseball). Poi è arrivato Barack Obama e sul campo al 1600 di Pennsylvania Avenue è addirittura comparsa la mezza luna del tiro da tre punti. TENNIS AND BUSINESS
Ora con Trump le cose potrebbero svoltare, da questo punto di vista. A parte alcuni slogan di dubbio gusto («Beh, se costruisce il muro con il Messico, ci sarà modo di giocare spesso a tennis!»), da giovane Trump è stato un discreto giocatore di club, anche lui (anzi, chi meglio di lui?) capace di sfruttare le sue conoscenze per scambiare quattro palle con Chris Evert o farsi immortalare con Steffi Graf. Tuttavia, sappiamo che per il nuovo Presidente Usa non esiste hobby che non sia accompagnato dal business. Negli sky box dello US Open, dove da diversi anni ha un posto riservato, ha chiacchierato con John McEnroe ma chiuso anche qualche buon affare. Su tutti, quando decise di acquistare, per un affitto nemmeno esagerato (90.000 dollari) il club più esclusivo di Mahnattan, il Vanderbilt. Erano i mitici anni 80, il tennis aveva conosciuto un grande boom di praticanti e la location era fantastica, dentro la Grand Central Station, tra la Madison e Park Avenue, la 42nd e la 43rd Street. I due campi avevano trovato posto al quarto piano, a pochi passi dalla Michael Jordan’s The Steak House NYC (nel caso, finita la partita, ci si volesse abbuffare della classica carne americana). Di esclusivo c’erano (guarda un po’…) anche i prezzi, non esattamente popolari, ma certamente accessibili per i milionari della Big Apple che amavano incontrarsi lì. Il progetto di Trump ha resistito fino al 2009 quando è stato cacciato da bigliettai e controllori, desiderosi di allargare i loro spazi, con l’avallo del sindaco. Il Club Vanderbilt fu ridotto ad un solo campo e, si sa, Donald non ama ridurre le sue proprietà. Gli amici, abituati a non muoversi dal loro quartiere preferito, ora devono ringraziare Anthony Scolnick, l’imprenditore che si è fatto carico della riapertura (un campo in cemento ad un prezzo che varia da 200 a 280 dollari all’ora, a seconda del giorno. Ma l’affitto è salito a 225.000 dollari).GOLF, TENNIS E SERENA
Trump invece, ha preferito investire nelle sue proprietà. Per esempio, al Trump National Golf Club ha creato una struttura indoor meravigliosa, con cinque campi in Plexicushion, con una gomma da dieci millimetri per assorbire meglio gli impatti col terreno (i suoi ospiti non sono dei ragazzini), illuminazione LED di ultima generazione (of course), telecamere installate su ogni campo per registrare qualsiasi match o lezione didattica, un’area ricreativa con vista sui campi, un pro shop, spogliatoi molto eleganti, lounge bar, wi-fi e video giganteschi, aria condizionata a 22 gradi durante tutto l’anno. Per non farsi mancare nulla, all’aperto ci sono sei campi in terra verde e durante tutto l’anno, un programma tecnico per giocatori di qualsiasi livello ed età. «Questo nuovo centro indoor non è esattamente il classico tennis club di medio livello: non ho mai visto qualcosa del genere» ha generosamente dichiarato Serena Williams, chiamata l’anno scorso ad inaugurare la struttura. Salvo poi appoggiare la candidatura di Hillary Clinton alle Presidenziali americane («Io sono per l’amore, non per l’odio» ha detto, con chiaro riferimento a certe uscite pubbliche di Trump). Però, davanti ad un probabile lauto ingaggio è sempre difficile tirarsi indietro. E questo Donald Trump lo capisce e probabilmente lo apprezza.
(*) Articolo pubblicato sul numero di dicembre 2016 della rivista Il Tennis Italiano
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