IL CASO – Una provincia cinese offre un maxi-ingaggio a Su Wei Hsieh per cambiare cittadinanza e diventare cinese. A Taiwan scoppia il finimondo. La sua compagna di doppio: “Taiwan non è una nazione”. 
Su Wei Hsieh e Shuai Peng hanno vinto il doppio femminile a Wimbledon

Di Riccardo Bisti – 12 luglio 2013

 
I soldi o la fedeltà alle origini? E' lo scomodo bivio in cui si è trovata Su Wei Hsieh, discreta giocatrice taiwanese passata alla storia qualche giorno fa. In coppia con Shuai Peng, si è aggiudicata il doppio femminile a Wimbledon. Un successo storico soprattutto per la Hsieh, prima taiwanese a vincere uno Slam. “Spero che questa vittoria aiuti la diffusione del tennis nel mio paese” ha detto Su Wei. Ma nei giorni scorsi è scoppiata la bomba. Un’azienda di liquori, di cui non si conosce il nome, le ha offerto la cifra-record di 1,63 milioni di dollari (all’anno!) per rappresentare Qinghai, una povera provincia dell’estremo nord, ai “Chinese National Games”. Per farlo, ovviamente, dovrebbe diventare cittadina cinese. E in Taiwan l’hanno presa malissimo. Per alcuni, la reazione è stata di “orrore”. Ma il richiamo dei soldi è troppo grande, soprattutto per una giocatrice che non naviga nell’oro. A Taiwan, la Hsieh intasca circa 50.000 dollari in pubblicità, cifra insufficiente a coprire le spese per viaggi e allenatori, quantificabili in oltre 150.000 dollari all’anno. Papà Hsieh ha detto che l’offerta è allettante e sarà presa in considerazione. Ovviamente, nel suo paese si è scatenato un putiferio. Lee Ying-yuan, esponente del Partito Democratico Progressista (notoriamente anti-cinese) ha esortato il Presidente della Repubblica Ma Ying-jeou a fare tutto il possibile per impedire alla Hsieh di emigrare. A suo dire, un cambio di nazionalità della tennista potrebbe causare un effetto domino tra gli altri sportivi taiwanesi, desiderosi di cambiare nazionalità pur di intascare più soldi.
 
Eppur qualcosa si muove: un gruppo di imprenditori taiwanesi, guidati da Hsu An-hsuan, presidente della Taiwan Tobacco & Liquor Co., ha annunciato un piano di oltre 6 milioni di dollari per supportare gli atleti del paese. Ma Hsu è andato oltre: si è detto disposto a sponsorizzare personalmente la Hsieh, scesa al numero 44 nella classifica WTA a causa di una stagione così così (il suo miglior risultato sono i quarti di finale a Kuala Lumpur). In compenso, sta facendo faville in doppio ed è entrata tra le top 10 nel ranking di specialità. Nel frattempo, dal Qinghai, il direttore dell’Ufficio Provinciale dello Sport ha detto di non conoscere l’offerta della società di liquori e ha definito “priva di senso” la scelta di investire così tanti soldi su una giocatrice solo per i Chinese National Games. In realtà, non è la prima volta che a Taipei si presenta il problema. Il campione del mondo di biliardo Wu Chia-ching è emigrato in Cina nel 2011, apparentemente per poter partecipare a più eventi. “So che molti non mi perdoneranno – disse – ma devo prendermi cura del mio futuro”. E’ successo qualcosa del genere anche alla golfista Yani Tseng, che ha ricevuto un’offerta per mollare il passaporto di Taiwan in cambio di quello cinese. Fino ad oggi, ha saputo resistere. In questo momento, il pensiero di Su Wei Hsieh non è ancora emerso. Di sicuro il rapporto tra i due paesi non è idilliaco: lo testimonia il rapporto con la sua compagna di doppio Shuai Peng, cinese purosangue. Nella conferenza stampa post-Wimbledon, hanno chiesto alla Hsieh cosa avrebbe significato questo successo per Taiwan. La Peng è intervenuta, dicendo che Taiwan non è da considerarsi un paese. Da parte sua, la Hsieh ha cercato di non prendere posizione. Sul suo profilo Facebook ha scritto: “Non voglio fare politica con tutti voi. Lo sport è sport”.
 
Tzu-lung Hsieh, padre della giocatrice, ha detto che non è ancora stata presa una decisione definitiva. “Se mia figlia dovesse ottenere una sponsorizzazione del genere a Taiwan, non ci sarebbe bisogno di emigrare in Cina”. Il problema è di più ampio raggio: Su Wei ha due fratelli più piccoli (un maschio e una femmina) entrambi tennisti professionisti, le cui possibilità di giocare e viaggiare all’estero dipendono esclusivamente dai guadagni della sorella maggiore. Il padre ha aggiunto che i figli minori potrebbero prendere la cittadinanza cinese se il governo di Taiwan o le imprese del posto non li finanzieranno a dovere. E il problema dei soldi è molto presente nella famiglia Hsieh, visto che la stessa giocatrice ha ammesso di aver raggiunto il limite delle sue tre carte di credito per pagare Paul McNamee, il suo coach australiano. E allora, se la povera regione cinese del Qinghai gonfierà il portafoglio di una giocatrice taiwanese, non dovremo stupirci più di tanto. Offendersi o scandalizzarsi, invece, dipende dalla sensibilità di ciascuno di noi. Si può (s)vendere la propria nazionalità in cambio di soldi e futuro?