Il circuito maggiore fa tappa in Italia solo per Roma e Palermo WTA. Nel 1982 ospitavamo otto tornei. Perchè oggi non più? Riccardo Bisti R
Gli Internazionali di Roma sono l'unico torneo ATP a svolgersi sul suolo italiano

Di Riccardo Bisti 

 
Milano, 3 dicembre 2011. Undicimila persone affollano il Forum di Assago per assistere alla “Grande Sfida”, danarosa esibizione con in campo le sorelle Williams e le nostre Flavia Pennetta e Francesca Schiavone. Un trionfo di popolarità, una boccata d’ossigeno. La dimostrazione che in Italia c’è tanta fame di tennis. Fame di tornei dal vivo. Gli undicimila di Assago infatti, stridono con la carenza di tornei di alto livello nel nostro paese. In Italia si organizzano appena due tornei del circuito maggiore: gli Internazionali di Roma (evento combined, gestito dalla Federazione Italiana Tennis) e il piccolo WTA di Palermo, tappa estiva post Wimbledon. Un po’ poco per un paese con le nostre tradizioni: basti ricordare che nel 1982 abbiamo ospitato addirittura otto tornei del circuito maggiore. Poi, dopo che nel 1990 l’ATP ha preso in mano il circuito mondiale, gli anni più “prolifici” sono stati il 1992 e il 1993, con ben sette tornei. Abbiamo resistito con quattro eventi fino al 1997, poi sono diventati tre e nel 2006 sono rimasti soltanto Roma e Palermo. Dopodiché, l’ATP ha acquistato la data del torneo siciliano (senza rivenderla a nessuno), e da allora si giocano solo gli Internazionali d’Italia. Ma perché, con tanta voglia di tennis, in Italia non è rimasto quasi niente? È possibile che in un prossimo futuro l’Italia possa tornare a ospitare qualche torneo ATP? E i tornei challenger, almeno i più forti, possono sperare di fare il grande salto?
 
MOMENTI DI GLORIA
Cino Marchese è stato il più importante manager tennistico italiano. Conosce perfettamente la storia dei nostri tornei ed è stato l’inventore del torneo di Palermo, non a caso il più longevo di tutti (28 edizioni dal 1979 al 2006), Internazionali d'Italia esclusi. Quando gli chiediamo il perché della moria di tornei, quasi sospira: «È un discorso complicato. Si può dare un’interpretazione in chiave storica: secondo me abbiamo perso il momento favorevole quando c’è stato il rilancio degli Internazionali d’Italia, che avevo condotto in prima persona. Quando lavoravo con IMG, abbiamo vinto un’asta nel 1979 e abbiamo iniziato a gestirli nel 1982». Marchese ha sdoganato il concetto di “Villaggio Ospitalità”, strumento potentissimo per attirare gli sponsor. Erano anni di grande euforia, in cui un’aggressiva politica di marketing aveva permesso di coinvolgere aziende importanti come Volvo, Peugeot, Mercedes. «E poi c’erano le aziende di settore: all’epoca i maggiori produttori di abbigliamento erano italiani. Fila, Tacchini, Ellesse, Diadora si facevano una sana concorrenza e ci permettevano di far lievitare i prezzi – continua Marchese –. Pensate che nel 1984 e nel 1985, Lacoste pagava un miliardo di vecchie lire per essere presente. Una cifra enorme». In verità, IMG non guadagnava più di tanto dagli Internazionali. «Noi producevamo il 90% degli utili, ma bisognava dare il 50% a Publicitas in virtù di un precedente accordo. Ma era uno straordinario veicolo promozionale. Grazie agli Internazionali di Tennis abbiamo firmato accordi di management con campioni del calibro di Paolo Rossi e Alberto Tomba». Il circolo virtuoso creato da Marchese permise di raggiungere un risultato che è il sogno di qualsiasi organizzatore: tutti volevano essere presenti agli Internazionali, ma non tutti ci riuscivano. «Allora abbiamo imbastito una delle primissime operazioni di compravendita di tornei: acquistammo l’ATP di Milano da Carlo Della Vida. Dopo il crollo del Palasport, il torneo era morto. Lo pagammo una bella cifra, ma fu un investimento felice che rese parecchi soldi, almeno fino a quando si giocò al Palatrussardi. Poi arrivarono i problemi». L’anno chiave è il 1993, quando Marchese diede le dimissioni. Con lui venne meno la figura di riferimento per questi tornei. Non c’erano solo Roma e Milano: all’epoca si giocava a Palermo, a Bari (poi Genova), Saint Vincent, Bologna…«Io facevo operazioni a pacchetto – continua Marchese – se uno sponsor voleva essere presente a un torneo, doveva investire anche sugli altri e questo consentiva a tutti di sopravvivere. Ci sono state aziende come Kim Top Line e Peugeot che erano presenti in quasi tutti i tornei». Firenze aveva una buona tradizione, poi venne inserito nel “pacchetto” e visse la sua ultima edizione nel 1994. Bari era un’altra creatura di Marchese: «L’ho ideato io, avevo molta fiducia nella città. Ma ci furono situazioni poco chiare, il club aveva paura di perdere dei soldi…e allora il torneo finì a Genova. Il dottor Albertelli, manager di IP, si interessò e grazie al bell’impianto di Valletta Cambiaso si andò avanti ancora per qualche anno». Poi c’era Saint Vincent: «Quello fu portato avanti da Carlo Della Vida. Io lo seguii per un anno, quando si giocò a Sanremo, ma tante cose non quadravano». L’ultimo a morire, prima di Milano e Palermo, è stato Bologna. «Piazza strana, con grandi ambizioni senza averne le possibilità. Prima era indoor, poi si inserì il vicepresidente FIT Paolo Francia. Aveva interesse a far crescere il Cierrebi Club e ci impose di prendere il torneo come contropartita per non aver problemi nell’asta-appalto degli Internazionali di Roma». L’ultima edizione si è giocata nel 1998. Nel 1992 e nel 1993 si è invece disputato un torneo indoor a Bolzano, poi nel 1999 c’è stata l’unica edizione del torneo ATP di Merano. «Bolzano lo organizzò Alex Tabarelli, poi a Merano provarono a rivitalizzare un torneo che non aveva futuro. È folle giocare un torneo ATP da quelle parti». Lo sgretolamento dei tornei ATP italiani dunque, nasce dalle dimissioni di Marchese. «Non è per essere presuntuosi, ma da soli non ce la facevano. Io avevo le relazioni internazionali per garantire certe situazioni». Senza questo appoggio, sono andati avanti finché hanno potuto ma poi hanno alzato bandiera bianca. L’unico che poteva farcela da solo era Palermo, che aveva importanti contributi dalle istituzioni. Non a caso, è l’ultimo ad aver mollato.
 
NESSUNA GARANZIA
Una volta rimasti “soli”, i tornei ATP italiani hanno avuto convenienza a cedere i propri tornei. Negli anni 80-90 era piuttosto facile. La data veniva regalata o comunque pagata cifre quasi irrisorie. Sul finire degli anni 90 invece, si è arrivati al punto in cui le date a disposizione erano decisamente meno e c’era sempre più richiesta organizzativa, soprattutto dai paesi emergenti come Emirati Arabi, oriente e Sudamerica. Allora i tornei hanno assunto un valore sempre più importante che i proprietari hanno cercato di monetizzare. Ce lo spiega Giorgio Tarantola, ex arbitro ATP e oggi direttore di due tornei challenger (Monza e Genova). «In Italia non c’era ancora la crisi, ma era sempre più difficile trovare i soldi per organizzare un torneo. 10-15 anni fa, date di tornei ottenute gratuitamente, sono state rivendute per 500 milioni o addirittura un miliardo di vecchie lire. Per tanti è stata una bella plusvalenza. Prendiamo San Marino: con i soldi della cessione del torneo hanno rifatto l’intero Centro Sportivo». «Però sono scappati i buoi – sottolinea Marchese –. I tornei andavano tenuti quando c’erano. Adesso è quasi impossibile organizzarne uno. I costi sono aumentati in modo impressionante. Quando siamo partiti, il montepremi del torneo di Palermo era di 50.000 dollari. Adesso il minimo per un ATP 250 è di 400.000. E poi l’ATP ha fatto una politica di riduzione dei tornei. Se anche ci fossero le risorse, sarebbe difficilissimo entrare nel circuito. Credo che solo una piazza come Milano potrebbe reggere un torneo ATP. Ma i costi sono troppo alti: si partirebbe con un disavanzo difficilmente recuperabile». Come si possono quantificare questi costi? Ci viene in soccorso Tarantola: «Entrano in ballo molti fattori, su tutti la bontà della data: è normale che una buona collocazione costi di più. Ad ogni modo, il solo acquisto della data è di circa un milione di euro». A cui bisogna aggiungere i costi organizzativi, che vanno ben oltre il montepremi (minimo) di 400.000 dollari. Un torneo costa circa due milioni di dollari, cifra che non tutti possono permettersi. «Ottenere una data è difficilissimo, anche perché la compravendita di tornei deve essere fatta con un certo criterio – continua Tarantola –. Se, per esempio, un torneo si gioca in un continente, è preferibile che continui a giocarsi lì. E lo stesso vale per la superficie. Se poi ti aggiudichi la data, devi dare garanzie importanti. Se il torneo non si gioca, hai una penale altissima perché devi comunque versare l’intero montepremi». Il problema è che un torneo ATP 250 non è affatto garanzia di successo, anche perché è difficile portare i giocatori più forti. I migliori giocano pochissimi eventi “extra” oltre a quelli obbligatori, quindi ci vogliono soldi e fortuna. «Nei tornei ATP, gli ingaggi sono permessi – dice Tarantola – però per portare un Federer devi sborsare un altro milione. E lo stesso vale per Nadal o Djokovic”. Gli fa eco Mauro Iguera, presidente del Comitato Organizzatore del challenger di Genova, uno dei più floridi del nostro panorama. «Organizzare un torneo ATP è un rischio imprenditoriale vero e proprio. Anche se organizzassimo un torneo del circuito maggiore, non solo non riusciremmo a portare Nadal o Djokovic, ma probabilmente nemmeno un Berdych. Credo che in Italia solo Milano, Torino e forse Napoli avrebbero il bacino d’utenza necessario per sostenere un torneo di questo livello. Noi a Genova non abbiamo una situazione imprenditoriale che consente di trovare sponsorizzazioni adeguate».


Un torneo ATP è un rischio vero e proprio. In Italia solo Milano, Torino e Napoli potrebbero sostenere un evento di questo livello.
Mauro Iguera, ATP Challenger Genova



COSTI PROIBITIVI
È d'accordo anche Marco Fermi, direttore del torneo challenger di Bergamo: «A Bergamo siamo partiti con l'idea di fare un grande torneo challenger. L'obiettivo era crescere in questa categoria, ma a un certo punto ci siamo accorti che non era così importante: ciò che conta è avere un'organizzazione di alto livello. La vera crescita ci sarebbe organizzando un torneo ATP, ma oggi non è possibile farlo. Prima di tutto non c'è una data: l'unica possibilità sarebbe acquistarne una, ma i costi sono eccessivi. Non si può partire con un un milione di euro di deficit. Difficilmente il torneo guadagnerebbe una cifra del genere. Forse la FIT o la stessa ATP potrebbero dare una mano, magari chiedendo una percentuale sugli utili, ma partire con un segno negativo così importante non è un'operazione fattibile». Già, ma la Federazione Italiana Tennis come vede la possibilità di organizzare un altro torneo ATP? «È un'idea interessante – ha dichiarato il Presidente Binaghi – ma va relazionata ad altri strumenti di promozione. Dovremo fare un'analisi di costi e benefici e vedere cosa sarebbe conveniente fare. È una bella ipotesi, ma anche molto costosa».
«Eh già, un evento ATP costa troppo – conferma Edi Raffin, direttore del challenger di Cordenons, 85.000 euro di montepremi –. Quando ho cominciato la mia avventura ero piuttosto aggressivo, mi ero interessato. Ma ho visto che era difficile e rischioso. E poi oggi, in tempi di forte crisi, dobbiamo pensare a restare dove siamo. Organizzare un torneo ATP è questione di manico e di soldi. Sono le persone che fanno gli eventi: ci vuole qualcuno che sappia prendersi carico di tutte le necessità, e tanta disponibilità economica. Anni fa, Mahesh Bhuphati possedeva una data ATP: in virtù dei buoni rapporti con il nostro direttore tecnico Mosè Navarra, ci chiese di affittarla: voleva 300-400.000 dollari l’anno. Ho dovuto rinunciare perché non avevamo i soldi. Attualmente organizziamo un bel challenger, gli sponsor sono contenti e mi stanno vicino. Ma adesso non me la sentirei di fare un passo in più». La compravendita dei tornei è un aspetto chiave: da quando l’ATP ha adottato una politica di riduzione dei tornei, oggi non si possono più creare nuovi eventi. Chi vuole entrare nel circuito, deve acquistare la data da chi vuole rinunciarvi. Tarantola ha vissuto in prima persona un paio di trattative non andate a buon fine. Era direttore del defunto challenger di Lugano, 100.000 dollari di montepremi, tante ambizioni e una notevole disponibilità economica. Lugano avrebbe potuto acquisire la data del torneo ATP di Varsavia, programmato a inizio aprile: «Proprietaria di quella data era la Octagon. Non volevano perdere il torneo, ma soltanto affittarlo. Chiesero 400.000 euro l’anno di affitto, ma a Lugano lasciarono perdere. Il Tennis Club non voleva assumersi alcun rischio imprenditoriale. In fondo un circolo di tennis non è come una società, che se ha una perdita la mette a bilancio e poi cerca di recuperarla. Il circolo rischia di scomparire. Anche se io resto convinto che sarebbe stato un grandissimo evento». Lugano era in trattativa anche per acquistare la data del torneo di Indianapolis. «Si trattava di una cifra relativamente bassa: volevano un milione di dollari prima della negoziazione, ma in quel caso fu l’ATP a mettere il veto perché non voleva che il torneo si spostasse di continente e di superficie. Infatti il torneo di Indianapolis si è poi trasferito ad Atlanta».
 
ATP O CHALLENGER?
Mancano i tornei ATP, ma l’Italia è il paese che organizza più challenger. Nel 2011 se ne sono giocati 24 (più San Marino). «I challenger sono operazioni prevalentemente territoriali – dice Cino Marchese – e so che molti sono in difficoltà. Qualcuno è già scomparso. Secondo me i tornei più ricchi non devono pensare al grande salto, ma stare attenti a restare dove sono. Un challenger non può contare troppo sul pubblico, sull’incasso, sugli sponsor e sulla TV. Però costa molto meno. Puoi organizzarne uno anche con un budget di 100-120.000 dollari. È un’operazione che con una certa oculatezza si può fare, ma si sopravvive senza grosse prospettive di crescita». La questione degli sponsor è vitale: trovare 2-3 milioni di euro per acquistare la data e organizzare il torneo è quasi impossibile. «A Palermo prendevano importanti contributi dalla Regione Sicilia – dice Edi Raffin – ma nel momento in cui non li hai più, come fai da solo? Per reggere a certi livelli c’è bisogno della politica, ma purtroppo ora non è il momento ideale. In Friuli abbiamo qualche aiuto e la Regione può arrivare a spendere un milione e mezzo per un evento come il Mittelfestival. Però oggi non mi sento di chiedere un contributo maggiore». Continua Tarantola: «Attualmente non vedo una realtà che possa assumersi il rischio di organizzare un ATP. Esiste qualche buon torneo challenger, ma gli sponsor sono soprattutto locali. A Genova hanno sponsor di livello internazionale come Famiglia Messina, AON ed ERG, ma sono tutte società con sede a Genova. C’è una forte dimensione territoriale. E gli altri sponsor non possono versare grosse cifre. Se qualcuno investe 50.000 euro su un torneo, lo fa perché è radicato in quella zona. Infatti, se gli chiedi di investirne 3.000 in un altro torneo, non lo fa». Insieme a Cordenons, Manerbio (defunto proprio in questi giorni, nota di luglio 2012) e Torino, Genova è il più ricco challenger italiano. «Abbiamo preso in considerazione la possibilità di crescere – racconta Mauro Iguera – siamo nati per scherzo e poi siamo cresciuti parecchio. La nostra cena di gala e gli eventi collaterali non hanno nulla da invidiare ad un torneo ATP. In tanti mi hanno chiesto di provarci, ma non sono sicuro che ne valga la pena. Sinceramente mi sono accorto che il torneo funziona quando vanno bene gli italiani. Per le finali Fognini-Naso e Fognini-Starace abbiamo fatto il tutto esaurito. Siamo sicuri che con il numero 30 ATP faremmo altrettanto? Poi sono un po’ deluso dal seguito che hanno i tornei ATP in giro per il mondo. Mi è capitato di vedere tornei con pochissimo pubblico. Fai una fatica incredibile per portare il numero 30, ma poi non sai come va a finire».

UN NUOVO MARCHESE
Problemi economici e organizzativi a parte, oggi c’è qualcuno che potrebbe prendere il posto di Cino Marchese? «Qualcuno c’è – attacca l’ex manager IMG – ma oggi è difficile, soprattutto se non hai ottimi rapporti con le istituzioni per avere i giusti finanziamenti. Uno dei migliori è Sergio Capraro, colui che ha riportato il tennis a Palermo. Gli ho insegnato come dare consistenza a un torneo, e gli ho consigliato di riportare il suo challenger al Circolo Tennis Palermo. È lì che si deve giocare. Sergio è un ragazzo in gamba, ha competenza, riesce a ottenere buoni finanziamenti. Ma di altre situazioni come quella di Palermo non ne vedo». E il diretto interessato cosa ne pensa? «I tornei ATP mancano per una concomitanza di fattori – spiega Capraro -. Manca un top 10 italiano, prima di tutto. E il tennis sta vivendo una fase stazionaria in termini di popolarità. Non è in crollo, ma nemmeno in ascesa. Poi ci sono i problemi economici, che in Italia sono più sentiti che in altri paesi. I grandi investitori hanno preferito puntare sui paesi emergenti. Palermo ha perso una data che costa un milione di euro, e per riacquistarla bisognerebbe scalzare una piazza importante. L’anno prossimo la Regione punterà ancora di più sul torneo, ma non posso chiedere loro di investire così tanto. Onestamente sarebbe un salto nel buio. Gli sponsor privati? In un challenger al massimo arrivi a 50.000 euro di finanziamento: come fai ad arrivare a certi budget?».


Un ATP 250 costa due milioni di dollari, tutto compreso. In Italia non vedo una realtà che possa assumersi questo rischio.
Giorgio Tarantola, direttore tornei challenger



TENERE DURO
Riportare un ATP in Italia è quasi impossibile, almeno nel breve periodo. «Oh, se poi arriva il boom economico e le condizioni migliorano, io non mi tiro certo indietro» dice Edi Raffin. Ma per il movimento e il tennis italiano in genere, sarebbe meglio avere venti challenger come oggi o tre tornei ATP e qualche challenger in meno? «Penso che le due cose possano essere complementari – conclude Raffin –. Io non sottovaluterei i challenger perché creano entusiasmo e interesse. Se ce ne sono venti, vuol dire che ci sono venti località dove si può vedere del buon tennis. Per un torneo ATP invece, la gente dovrebbe spostarsi. Però ce ne vorrebbe un altro in una grande città come Milano». Tarantola valuta i pro e i contro: «Da appassionato dico tre tornei ATP, però è anche vero che gli appassionati amano anche seguire i giovani emergenti. Il grande nome attira le masse, ma i tanti tornei sparsi sul territorio consentono ai ragazzi locali di provare ad emergere senza spendere una fortuna». Mauro Iguera, da buon imprenditore, non crede più di tanto nei tornei ATP di medio-basso livello: «Non vale la pena prendere un rischio imprenditoriale senza poter offrire un prodotto con un top 10. Però vedrei bene un torneo indoor a Milano». Già, tutti dicono Milano, ma cosa ne pensa Carlo Alagna che da anni organizza un torneo challenger all'Harbour Club di Milano? «La crescita del torneo di Milano può avvenire solo con un evento del circuito maggiore, ma attualmente è dura pensarci perché stiamo attraversando un periodo di crisi economica e le istituzioni non sostengono più queste iniziative. È un peccato, perché avrebbero valenza sia sportiva sia turistica, interessando due assessorati. Ma anche nelle regioni più ricche si fatica a ottenere contributi. Un tempo era più semplice. Due anni fa, il nostro challenger di Milano copriva il 30-40% delle spese con investimenti pubblici, adesso questo supporto è venuto a mancare: Regioni, province, comuni…se prima davano tre, adesso danno uno. Il torneo dell'Harbour potrebbe fare un salto di qualità se decidessimo di cambiare superficie, passando all'erba nell'imminenza di Wimbledon. Sarebbe un bel colpo, perché porteremmo ottimi giocatori e ci sarebbe grande interesse mediatico perché in Italia non c'è mai stato un torneo sull'erba. A questo progetto crede molto Massimo Policastro, direttore del torneo. Ci stiamo lavorando per il 2013».
L’assenza di una figura “alla Cino Marchese”, la mancanza di soldi, la crisi economica, le difficoltà di accesso per i limiti imposti dall’ATP, la difficoltà nel coinvolgere le istituzioni: sono troppi i fattori che ostacolano il ritorno del circuito ATP in Italia. Per gli appassionati è un boccone amaro da mandare giù, ma oggi è il momento di tenere duro e non fare voli pindarici. È bene tenersi stretti i tornei che ci sono e sperare che vengano tempi migliori. La “Grande Sfida” di Milano ci ha insegnato che qualcosa di buono si può ancora fare. Quando le condizioni (economiche) saranno diverse, probabilmente anche l'Italia potrà tornare a sognare in grande.
 
NUMERO TORNEI ATP E WTA

Sono 122 i tornei ATP-WTA in calendario nel 2012. Di questi, soltanto tre si giocano in Italia: il combined di Roma e il torneo WTA di Palermo. In realtà, a livello WTA la situazione è comune a tante nazioni, perché solo i quattro paesi che ospitano i tornei del Grand Slam ospitano più di due eventi all'anno. In campo maschile invece, l’assenza di tornei è pesantissima: siamo alla pari con paesi senza alcuna tradizione tennistica come Malesia, Qatar, Messico, Romania, Marocco e India. Gli Internazionali d’Italia, ovviamente, valgono molto di più dei tornei di queste nazioni, ma un paese con le nostre possibilità meriterebbe almeno un paio di tornei in più, magari un evento indoor (e sarebbe particolarmente piacevole riavere una tappa invernale a Milano) e un altro sulla terra battuta, come prologo al Masters 1000 del Foro Italico. Dopotutto, nel 1992 e nel 1993, l’Italia ha ospitato la bellezza di sette tornei ATP. Arrivare a quota tre sarebbe un grande risultato.
 
Stati Uniti 24
Francia  9
Gran Bretagna 7
Australia 7
Germania 6
Spagna  5
Cina 4
Austria 4
Italia 3
Giappone 3
Messico 3
Canada 3
Svezia 3
Olanda 3
Russia 3
Svizzera 2
Croazia 2
Thailandia 2
Nuova Zelanda 2
Qatar 2
Emirati Arabi 2
Malesia  2
Portogallo 2
Marocco 2

TORNEI ATP IN ITALIA – LA STORIA