L’incredibile vicenda di Varvara Lepchenko. Non ha nemmeno uno sponsor per l’abbigliamento, nonostante gli sforzi della sua compagnia di management.
Varvara Lepchenko è numero 28 WTA. Nel 2011 le hanno riconosciuto la cittadinanza americana
Di Riccardo Bisti – 11 giugno 2013
Il Sogno Americano non è più quello di un tempo. Persino la Grande Illusione ha subito un ridimensionamento. E non c’entrano l’11 settembre, i talebani, Al Qaeda. Il problema riguarda Varvara Lepchenko. Nata in Uzbekistan, figlia di ucraini, ha alle spalle una storia difficile. Quando aveva 15 anni, la federtennis uzbeka pensò bene di impedirle di giocare un torneo negli Stati Uniti. Ci rimase talmente male da fare una scelta difficile e dolorosa: abbandonare il suo paese e chiedere asilo politico agli americani. Per quattro anni, non è potuta uscire dal territorio americano e quindi incontrare mamma Larisa, poiché era andata negli States con papà Peter e la sorella Jane. Nel 2006 le hanno dato la cittadinanza, mentre il 24 settembre 2011 ha finalmente ottenuto il passaporto americano. L’American Dream è diventato realtà: Varvara ha esordito in Fed Cup (a febbraio è stata lo spauracchio dell’Italia a Rimini) e lo scorso anno ha potuto giocare le Olimpiadi. Durante la cerimonia d’apertura, era accanto alle sorelle Williams e ha strappato una foto con Lebron James. A 27 anni, la Lepchenko sta vivendo il miglior momento in carriera. E’ stabile tra le prime 30 WTA e in carriera ha guadagnato poco meno di 2 milioni di dollari. Ma in tasca le è rimasto molto meno. Nemmeno la cittadinanza americana è riuscita a risolverle i problemi economici. Incredibile ma vero: la Lepchenko non riesce a trovare uno sponsor.
“Per carità, non ho le pretese della Sharapova, sostenuta da una mezza dozzina di aziende” dice la Lepchenko, che in un torneo dello Slam non ha mai raggiunto i quarti di finale. Ma è pur sempre la terza americana alle spalle di Serena Williams e Sloane Stephens. Eppure non ha nemmeno uno sponsor per l’abbigliamento. Solo di recente ha siglato un accordo con Wilson per la fornitura di racchette. La Lepchenko è vittima di un sistema in cui l'immagine conta più dei risultati. “A volte ho l’impressione di essere un’ombra – racconta – su Twitter seguo alcuni giornalisti americani. Postano sempre i risultati dei tennisti americani, vittorie o sconfitte. Io non vengo citata mai, a meno che non ottenga un gran risultato. Nessuno parla di me. E’ stato un po’ il film della mia vita. Intendiamoci: non sono venuta negli Stati Uniti per avere l’attenzione dei giornalisti. Voglio giocare il miglior tennis possibile e vedere i sorrisi sui volti dei tifosi”. Lo scorso dicembre, Varvara ha preso contatto con la società di management “Yee & Dubin Sport”, perché aveva apprezzato il modo in cui avevano gestito Tom Brady (il quarterback dei New England Patriots). Racconta Steve Dubin: “Ci ha detto che avrebbe voluto un paio di occasioni, in modo da poter investire qualche soldo su se stessa. Voleva permettersi un allenatore, magari portarselo dietro per qualche torneo. Per noi è stato interessante, perché ci ha dimostrato che vincere e ottenere buoni risultati fossero le sue uniche priorità”. E così la Lepchenko è diventata la prima (e unica) cliente tennistica di Yee & Dubin, che di solito si focalizza sul football americano. Ma le cose non sono così semplici. Hanno provato a contattare aziende di orologi, abbigliamento e persino di cosmetici, ma ad oggi non è arrivata nemmeno una sponsorizzazione. Jordan Butler, suo ex agente e direttore del torneo ITF di Las Vegas (vinto dalla Lepchenko nel 2010), si è detto sorpreso…a metà. “Penso che la sua storia e la vicenda legata alla cittadinanza siano fattori a suo favore. Però, forse, è penalizzata dalla sua età. Quando ha raggiunto buoni livelli, l’anno scorso, aveva 26 anni. Le aziende potrebbero pensare che ha ancora pochi anni di tennis davanti a sé. Per questo ha bisogno di essere davvero forte per strappare un contratto”.
Varvara ne è consapevole. “Che devo fare? Vincere più partite possibili e salire in classifica”. Ma non è semplice, e non solo perché la concorrenza è sempre più dura. La preparazione invernale non è andata troppo bene. Per sviluppare la muscolatura, si è sottoposta a sedute di sollevamento pesi che le hanno fatto più male che bene. A Brisbane, primo torneo stagionale, ha avuto ulcere multiple ed è rimasta quattro giorni in ospedale. “Ha avuto un’emorragia interna e ha perso il 50% del suo sangue” ha rivelato papà Peter. Si è ripresa appena in tempo per la Fed Cup, dove ha battuto Errani e Vinci, ma poi ha pagato lo sforzo, raccogliendo una serie di primi turni. “Sono stata per 11 giorni sotto l’effetto di antibiotici. Il mio corpo ne ha pagato le conseguenze e ho dovuto ricominciare da zero”. Al di là di questo, oggi si sente una giocatrice migliore. Lavora con la USTA e Patrick McEnroe è convinto che il 2012 (in cui è passata dal numero 110 al numero 21 WTA) non sia stato un caso. “Guarda le italiane: hanno raggiunto il loro picco di rendimento piuttosto tardi. Qualche anno fa la Schiavone, adesso Errani e Vinci…credo che Varvara le possa imitare perché ha una gran testa. E poi ha un dritto eccezionale. Ha trascorso molto tempo per costruirsi fiducia su questo colpo”. Adesso non le resta che vincere ancora, entrare tra le prime 20, magari tra le prime 10, e trovare uno sponsor. In modo che non sia più costretta a scrivere su Twitter le sue disavventure economiche…perché ha dovuto cambiare la prenotazione di un volo.
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