Negli ultimi 20 anni, 78 giocatori di 27 nazioni sono riusciti a entrare nella top 10. Nomi ovvi, curiosi, sorprendenti. Manca l'Italia: il 2019 sarà l'anno buono?Luca Brancher, alias BranchStats (seguitelo su Twitter), è uno dei migliori statistici di tennis al mondo, col vantaggio di capire bene il gioco e quindi di scovare numeri particolarmente interessanti. Fra le sue ultime ricerche, l’elenco di tutti i giocatori che hanno raggiunto la top 10 mondiale nell’arco degli ultimi vent’anni. In totale sono 78 nomi, alcuni scontati, altri meno, altri ancora decisamente sorprendenti. A guidare la classifica, guarda un po’, i Fab Three: Roger Federer (17 anni), Rafael Nadal (14) e Novak Djokovic (12). Appena giù dal podio, Andy Murray (11) e Tomas Berdych (11), quest’ultimo probabilmente incapace di migliorare il suo record. A 10 anni si sono fermati Andy Roddick, David Ferrer e (per adesso) Jo-Wilfried Tsonga.
Ma quali sono i risultati più sorprendenti? Beh, in pochi avrebbero scommesso che quel giovanotto russo, timido e senza soldi, che si faceva il bucato in camera, Nikolay Davydenko, sarebbe stato capace di entrare nella top 10 in sei anni diversi. Ricordo giocatori (anche azzurri) disperati dopo aver perso contro un giocatore che, nei primi anni di carriera, impressionava chi non aveva l’occhio abbastanza allenato da capire che con quell’anticipo e quei piedi veloci, sarebbe potuto diventare molto forte. Così è stato (e, per dire, i suoi connazionali Yevgeny Kafelnikov e Marat Safin, immensamente più dotati, hanno chiuso la carriera rispettivamente con 4 e 6 anni da top 10).
Un altro nome su cui pochissimi avrebbe puntato un copeco, è Rainer Schuettler, considerato tra i più deboli finalisti Slam (Australian Open 2003) e capace di entrare nella top 10 per due stagioni. Esattamente come Marcelo Rios, che quasi non si è accorto di aver passato un paio di settimane anche da numero uno del mondo ma che avrebbe dovuto metter su casa, in certe posizioni. Per un paio di stagioni, nell’élite ci sono finiti pure Jiri Novak, Nicolas Lapentti, Paradorn Srichaphan e, ai giorni nostri, Jack Sock e Pablo Carreno Busta. A quota una stagione, ottimi giocatori come Cedric Pioline, altri più discussi come Mariano Puerta. Ma anche Arnaud Clement e Nicolas Massu, Juan Monaco e Lucas Pouille.
In totale, sono 27 le nazioni che possono vantare un top 10 negli ultimi vent’anni (Svizzera, Spagna, Serbia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Argentina, Australia, Russia, Francia, Croazia, Giappone, Brasile, Canada, Austria, Svezia, Cile, Germania, Bulgaria, Olanda, Belgio, Sudafrica, Ecuador, Thailandia, Cipro, Slovacchia e Lettonia): manca l’Italia. E manca da quarant’anni.
Quest’anno, Fabio Fognini ha provato ad attaccare quella posizione. Fino alle ultime settimane, aveva una proiezione da numero 11 ATP; in realtà, la top 10 non era così vicina perché l’ultimo scalino era da quasi mille punti, corrispondenti a una vittoria Masters 1000, tanto per intenderci. Poi, un finale di stagione non esaltante, la crescita di alcuni giovani (vedi Khachanov) non gli ha permesso di superare il suo (comunque notevole) best ranking (numero 13). Possibilità per il 2019? A inizio stagione i punti da difendere sono tanti (semifinale a Sydney, ottavi all’Australian Open, vittoria a San Paolo, semifinale a Rio) ma, in generale, serve un risultato importante negli Slam e un rendimento più alto nei Masters 1000. Quindi un ulteriore salto di qualità, perché gli ultimi scalini sono i più difficili. Tecnicamente le qualità ci sono, ma con la crescita dei Next gen (Khachanov, Tsitsipas, Shapovalov) anche la concorrenza sta aumentando.
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