Nulla più di un duello con Diego Schwartzman fa emergere tutta la differenza fra il Bernard Tomic che è e quello che potrebbe (dovrebbe?) essere. Sono tanto diversi da sembrare protagonisti di due sport differenti: uno deve ringraziare Madre Natura per talento e centimetri, l’altro deve ringraziare solo se stesso. Eppure vince sempre lui. Senza far fatica.La letteratura del tennis ha costruito una sorta di decalogo di termini ricorrenti con una regolarità tale da risultare ormai fastidiosi. “Confronto di stili” è una delle espressioni entrate sottopelle e di cui probabilmente mai ci libereremo. Una definizione che sta addirittura stretta nel presentare la sfida tra Diego Schwartzman e Bernard Tomic che oggi a Tokyo ha visto consumarsi il terzo atto di una non-rivalità. Tra i due intercorre un confronto di stili di vita: il piccolo argentino e lo spocchioso (importato) australiano rappresentano i due poli opposti di interpretare e vivere il tennis e a dividerli c’è molto più dei quasi 30 centimetri di altezza o le differenti dosi di talento dispensate da Madre Natura.
MONTE-CARLO GRAN CASINO
Masters 1000 di Monte Carlo, 2017. Sballottato sul campo secondario tra i campi secondari – quello che costeggia la strada che un bel po’ di curve dopo fa accedere al circolo, il più lontano dal cuore del Country Club per intenderci – Bernie è impegnato all’esordio contro Schwartzman, uno che non più tardi di dodici mesi prima gli aveva lasciato quattro game a Istanbul in una delle canoniche uscite bulimiche dell’australiano. I bookmaker assegnano una quota all’argentino che per poterci ricavare un pasto frugale alla boulangerie fuori dal circolo tocca buttarci almeno 100 euro, giusto per far capire il cupo orizzonte sopra la testa di Tomic in quel mattino apparentemente assolato, per nulla aiutato dalla superficie. Il campo ha la tribuna soltanto da un lato e per raggiungerlo occorre fare lo slalom nei vialetti e spolverare i seggiolini sporchi della terra soffiata dal vento nella notte monegasca. È un primo match. Spettatori presenti: pochi. Giornalisti presenti: due. Sperare in una vittoria del nostro è un’impresa praticamente disperata, tanto che Tomic si gioca tutti i jolly nel mazzo del primo set già nei primi tre game. Sull’1-1 manca due palle break e, di botto, il set finisce, mortificato da cinque giochi in fila di Schwartzman: 6-1. Il dovere patriottico spinge verso il campo 2 dove stanno per iniziare Paolino Lorenzi e Marcel Granollers, imperdibile (sic), tanto ormai lì c’era poco da vedere. E invece il livescore dirà poi che Tomic ha opposto una resistenza impensabilmente gagliarda nel secondo set, ha servito per portare l’incontro al terzo fallendo sul 5-3 anche un setpoint prima di arrendersi inevitabilmente al tie-break. La linea che marca la differenza tra vittoria e sconfitta è macroscopica: uno gioca la partita, l’altro qualche punto sparpagliato. Uno sa esattamente cosa deve fare, l’altro improvvisa. Uno si applica in modo quasi ossessivo, l’altro difficilmente piega le gambe per impattare la pallina.COME UNA SERIE TV
Le strade di Tomic e Schwartzman si sono incrociate nuovamente oggi al secondo turno del Rakuten Japan Open di Tokyo sulla superficie amica dell’aussie, ma sulla quale l’argentino si è fatto un nome coi recenti quarti di finale raggiunti a New York. Il barlume di speranza per il “nostro” era dato ottimisticamente dalla vittoria al primo turno contro Joao Sousa, la prima delle ultime 15 settimane. L’avvio, con tre ace nei primi cinque punti, prometteva un minimo di partita, ma poi gli ace sono rimasti tre e il match ha preso la sua via naturale, quella del piccoletto di Buenos Aires. Senza l’aiuto del servizio, Tomic naufraga alla prima difficoltà e il break subito nel quinto game è già sufficiente a far partire i titoli di coda. Dal 3-2 per Schwartzman, Bernard si liofilizza e da lì alla fine intascherà due game contro i nove dell’avversario. La guida Atp se non menzognera è quantomeno generosa nei confronti di Diego, attribuendogli 170 centimetri che probabilmente non raggiunge. Tomic è lento e imballato come un bradipo, il dritto è il solito schiaffetto alla palla che non fa male, il servizio tiene botta un paio di game. La partita diventa rapidamente una formalità che Schwartzman assolve in 56 minuti, il tempo medio della puntata di una serie tv. Per l’argentino è una normale giornata di lavoro, per Bernard – a suo pensare – sarà un bel modo per intascare l’assegno del secondo turno (21.950 dollari). Dall’immagine di eroe decadente che aveva, oggi Tomic sembra più una di quelle star a secco di ingaggi, costrette ad apparire in spot in cui ingurgitano malvolentieri un cucchiaio di cereali per tirare a campare. Ma ci si può ridurre così, con quel talento, a 26 anni?
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