Scacciati gli incubi, tutti in una volta. Sull’orlo di una crisi, Serena Williams ha ripreso in mano il suo destino e ha vinto lo Slam numero 22. Nemmeno le motivazioni extra di Angelique Kerber, protesa a difendere il record di Steffi Graf, sono bastate a fermare la furia dell’americana. E’ stata una finale di Wimbledon bella e veloce, uno dei migliori match femminili del 2016, in cui la differenza è arrivata dal servizio. Quello di Serena farebbe la sua figura nel circuito ATP, mentre “Angie” fatica a raccogliere punti gratis. Tredici ace a zero, e tanto basta per capire com’è andata. Serena ha giganteggiato nei turni di servizio, riducendo a comparsa una Kerber incapace di disinnescare la sua prima di servizio. La tedesca ha giocato un ottimo match, il migliore che potesse fare, ma quando hai un handicap del genere ci vuole un miracolo. L’impresa le era già riuscita a Melbourne, chiederle un bis era francamente troppo. “Angie” ha fatto quello che doveva: impostare lo scambio in modo geometrico, disegnando il campo con il dritto e il rovescio incrociato, provando a variare ogni tanto con il lungolinea e la palla corta. E’ la tattica giusta per battere Serena, ma deve essere supportata dagli errori gratuiti dell’avversaria. Se non riesci ad essere competitiva in risposta, diventa complicato giocare con serenità i turni di servizio. A questo si aggiunge il fatto che Serena è andata a servire per prima, costringendo la Kerber a rincorrere. Si è salvata sul 4-5, ma sul 5-6 ha incassato un break fatale. Il match è cresciuto sul piano qualitativo in avvio di secondo set, con alcuni scambi al fulmicotone. C’era la sensazione che qualcosa potesse cambiare. Serena lo sapeva: se avesse abbassato le sue percentuali, la Kerber le sarebbe saltata addosso.
UNA DEDICA PER DIO
Il momento chiave è arrivato sul 3-3 del secondo set, quando la tedesca si è procurata l’unica palla break del suo match. L’avesse trasformata, chissà. Serena ha fatto un bel respiro e le ha sparato in faccia due ace consecutivi. Una sentenza di condanna. “Fai bene a lamentarti, Angelique! – ha esclamato una frizzante Francesca Schiavone nella telecronaca su Sky – senza quel servizio l’avresti già brekkata e portata al terzo set”. Innegabile. Un altro scambio ben gestito portava Serena sul 4-3, sortendo un doppio effetto: pericolo scampato e pressione a mille sulle spalle della Kerber. Puntuale, è arrivato il break decisivo. In verità, “Angie” è stata avanti 40-15 ma poi si è spenta la luce. Il suo schema tattico è andato in corto circuito, seguito dalle gambe e dalla pazienza. Il punto che ha spedito Serena sul 5-3 è emblematico: un rovescio giocato di fretta, fuori di metri. Colpi che non fanno parte del repertorio della Kerber. L’ultimo game è stata una formalità: vincendo gli ultimi otto punti della partita, la Williams si è sdraiata a terra dopo l’ultima volèe e ha dato il là al suo show, tutto sommato sobrio. Durante l’intervista-show con la BBC, oltre a ringraziare il suo staff e papà Richard (“Che non è qui, ma so che mi sta guardando”) ci ha tenuto a ringraziare Dio. “Senza di lui non sarei riuscita a ottenere tutto questo”. E poi sorrisi, ammiccamenti, autografi, rituali che ormai conosce alla perfezione perché è il suo settimo titolo ai Championships (“Anche se non mi abituerò mai a queste emozioni”). Al di là del valore statistico, questo successo rilancia le prospettive della Williams: è chiaro che ha avuto più di un dubbio sulla sua capacità di vincere ancora. Vincendo Wimbledon è di nuovo convinta di poter dominare e dare la caccia ai 24 titoli di Margaret Court, record assoluto, anche se l’australiana ne ha raccolti parecchi in epoca dilettantistica. Nel frattempo è già la più anziana ad aver vinto uno Slam nell’Era Open con i suoi 34 anni e 283 giorni. Anche per questo, è difficile ipotizzare il futuro. Soltanto un mese fa si esaltava la capacità delle avversarie di batterla, quindi adesso sarebbe facile cadere nella retorica della sua invincibilità. La verità è che Serena è la più forte, ma non è più imbattibile. Scende in campo e sa che non tutto dipende da lei. A Rio e a New York avrà tante e valide avversarie. Ma cinque anni fa, sul letto di un ospedale, con un’embolia polmonare in corso, avrebbe messo mille firme per trovarsi in questa situazione.
Serena Williams (USA) b. Angelique Kerber (GER) 7-5 6-3