L’anno di grazia per Guillermo Vilas è stato il 1977 quando ha vinto due Slam e 46 partite consecutive (senza peraltro arrivare al numero uno mondiale), prima di essere sconfitto da Ilie Nastase, con l’imbroglio. Tutto grazie ad una volontà di ferro e agli insegnamenti di un grande stratega: Ion Tiriac.

Ho conosciuto Guillermo Vilas allo US Open di una quindicina d’anni fa. Avevamo fissatoun’intervista per questa rivista, ma lo scopo principale era portare le scuse di un amico, Fabio Ravanelli. Da quando era ragazzino, teneva appeso in stanza un poster del suo idolo, mentre sbracciava il rovescio mancino. Appena sposato, nel trasloco non l’aveva certo dimenticato, finendo per appoggiarlo su una parete della camera matrimoniale. La moglie fu comprensiva: «Io o Vilas, decidi tu». La scelta è stata saggia, il perdono giunto direttamente dalla voce registrata di Guillermo: «Con le donne non è mai facile: non preoccuparti, quando passo da Roma ci beviamo una birra insieme» disse sorridendo, prima di incidere sul vecchio nastro una dedica al suo eterno tifoso. Guillermo non sarà un immortale perché ha vinto solamente (si fa per dire…) due volte l’Australian Open e una volta Roland Garros e US Open, ma ha rappresentato per molti un’icona di stile, non solo di gioco. In molti, compreso il sottoscritto, si mettevano la fascetta in testa e cominciavano a pallettare contro il muro, cercando di imitare le sei ore quotidane di palleggio a cui Ion Tiriac lo sottoponeva e che gli avevano trasformato le misure del braccio sinistro in quelle della coscia. Pur senza ricerche sul caso, suppongo che proprio il suo avambraccio abbia convinto molte casalinghe che giocare a tennis non era salutare. Mai banale come dimostra la liason con Caroline di Monaco, quando la corte del Principato era la primaria fonte di gossip per il jet set internazionale, è stato poeta dimenticabile ma, come disse un torero dopo essere stato infilzato, «fui un torero muy malo, pero lo fui». Quasi irripetibile fu invece la sua estate del 1977, talmente ricca di successi da aver lasciato senza risposta uno dei misteri più grandi del nostro tennis: come diavolo ha fatto Guillermo Vilas da Mar del Plata a vincere 46 match consecutivi e due Slam e non riuscire ad arrivare in cima al ranking mondiale? Maledetti computer, che sanno far di calcolo ma conoscono davvero poco il tennis.

ETERNO SECONDO
Già, perché Vilas, terraiolo come solo certi sudamericani sanno essere, ha avuto la sfortuna di giocare nell’era di Bjorn Borg, uno che faceva le sue stesse cose, tutte un pochino meglio. Tuttavia, nel maggio del 1977, Borg non era presente ai French Open e per Guillermo si aprì un’autostrada. All’esordio vinse con l’attuale direttore del torneo di Monte-Carlo, Zeljko Franulovic, poi si sbarazzò di Belus Prajoux, Bernard Mitton, Stan Smith (mai troppo a suo agio sul rosso), Wojtek Fibak e Raul Ramirez, lasciando per strada un solo set (a Prajoux), prima di incontrare in finale l’americano Brian Gottfried. Difficile immaginare una finale Slam dall’esito più scontato: Vilas vinse 6-0 6-3 6-0. Eppure anche lì, il braccio gli tremò un filo, forse al ricordo del match dello US Open di due anni prima, quando perse da Manuel Orantes, pur avanti due set a uno, 5 a 0 e 40 a 0. E non è stata quella l’unica volta in cui Guillermo, venendo meno alla sua fama di macho, cedeva alla vista del traguardo: aveva già perso una finale a Roland Garros, al Foro Italico, all’Australian Open e allo US Pro Championships; sconfitte che gli valsero l’appellativo di Eterno Secondo. Mentre Gottfried si avvicinava alla linea del servizio, Vilas diede un’occhiata a Ion Tiriac, coach e manager dai grandi baffi; si sospettava che ogni suo singolo movimento fosse un suggerimento all’allievo, quasi potesse comandarlo a distanza. «Nel 1976 mi preparai per vincere il mio primo titolo dello Slam – ricorda Vilas -. Pensai ad ogni dettaglio, ma dopo tre, quattro mesi, realizzai che potevo avere delle idee brillanti in campo, ma che mi mancava una strategia generale a cui affidarmi. Ma l’anno successivo, Ion mi fece la promessa che avrei vinto un Major». Tiriac intervenì tecnicamente cambiando la posizione dei piedi nel servizio, sviluppando un buon back di rovescio e incoraggiandolo a diventare più aggressivo e a non aspettare sempre l’errore dell’avversario. Le sessioni di allenamento avrebbero sdraiato un toro, non Vilas. Serviva però renderlo più cattivo («Non era in grado di ammazzare una mosca» dice Tiriac). Così Ion aggiunse alle sue figure anche quella paterna, fuori dal campo.

LA CONTROCULTURA
​Nessun coach e giocatore hanno mai creato una relazione così stretta, al punto che gli altri scherzavano dicendo che Vilas guardava Tiriac anche solo per sapere se doveva stringere la mano all’avversario
. «Con Tiriac sono cresciuto due volte più veloce – ammette Vilas -: aveva una grande visione del gioco». Il 1977 era iniziato con una sconfitta in finale all’Australian Open contro Roscoe Tanner: «Ma fu molto utile – dice Guillermo -: feci qualche errore tattico, come scaldarmi solo 30, 40 minuti prima di scendere in campo. Da quel momento, cominciai a farlo molte ore prima del match». I suoi sforzi furono ripagati dalla vittoria a Roland Garros, qualche mese più tardi. I francesi lo apprezzavano, sorta di tennista bohémien, con i capelli lunghi, che studiava buddismo e girava con al polso un braccialetto in ricordo delle vittime della guerra in Vietnam. Con Vilas, la cosiddetta controcultura varcò i cancelli dei tennis club. «Amavo la creatività del gioco. Quando qualcuno mi chedeva di giocare era come se mi dicesse: ‘Hey, vieni a dipingere. Solo che sapevo farlo molto meglio’. Tutto qui». In quel 1977, Vilas vinse anche lo US Open in finale su Jimmy Connors («Persi il primo set, poi mi ricordai del consiglio di Tiriac di giocare lo slice di rovescio, e la partita girò»), oltre ad altri 15 tornei per un record totale di 145 incontri vinti e 14 persi. Da quando Billy Martin lo batté alla fine di giugno sull’erba di Wimbledon, non perse un match fino al torneo di Aix-en Provence, sulla terra francese, contro l’amico (e che bell’amico!) Ilie Nastase. Per riuscirci, Nastase si presentò con la racchetta-spaghetti, un telaio a doppia incordatura dal quale uscivano effetti folli. Dopo due set, Vilas si ritirò, inorridito da quella furbata. La racchetta fu ben presto bandita, ma nel frattempo il record di Vilas si fermò a 53 vittorie consecutive sulla terra rossa. Record che ha resistito fino al 2006, quando lo ha superato Rafael Nadal. Questa volta senza imbrogli.