Le corde monofilamento sarebbero adatte solo ai giocatori (molto) agonisti e invece le usano tanti altri, nonostante i problemi che possono creare e che ci spingono a chiamarle The Killer.  

Mese di febbraio: fa un freddo cane, in una Lione deserta in una delle tante festività francesi. Chez Babolat, ci accoglie Franck Fernier, un giovanotto che sul biglietto da visita ha scritto Product Manager e in sostanza si occupa di sviluppare un settore particolarmente caro alla proprietà, quello delle corde, causa del coinvolgimento della famiglia Babolat nel mondo del tennis, in un'epoca datata 135 anni fa. Parla veloce, deciso, tipico di chi conosce bene l'argomento e non ha dubbi. Comincia a raccontare il lungo iter che porta alla genesi di una nuova corda: il settore ricerca e sviluppo che deve miscelare nuovi ingredienti per creare qualcosa di ancora più performante, con la pressione di un laboratorio pronto a verificare se gli obiettivi sono stati centrati e un intero team di tester che andrà in campo per l'ultima analisi, quella decisiva per capire se ai dati meccanici corrispondono medesime sensazioni di gioco. Si blocca, il buon Franck, solo quando cerchiamo di spostare l'argomento sulle corde che andrebbero consigliate al giocatore di club, al nostro agonista di quarta categoria, con l'ambizione massima di vincere il campionato regionale di D2 e magari trascorrere un annetto con quelli di terza. Franck ha appena finito di sottolineare come «mai nella vita consiglierei ad un ragazzino di usare una corda monofilamento: si rischierebbe solo di danneggiare la muscolatura del braccio. Meglio affidarsi al multifilo e fare opera di prevenzione infortuni», che ci vien spontaneo domandargli se lo stesso discorso non andrebbe fatto anche per i giocatori di club, gente agonista nella tenacia e nel volume di ore giocate, non certamente nella qualità dei gesti e nella preparazione fisica. «Suppongo sia così…» butta lì, cercando di tornare a conversare sulla nuova creatura, la M7. «Ma se una corda monofilamento è adatta ai soli giocatori agonisti, perché le corde più vendute in Italia sono la vostra RPM Blast, la Luxilon Alu Power e quella pletora di armeggi in poliestere di varia natura, costruzione e prezzo? Perché non spiegare che se una corda la usa Rafael Nadal, significa che non la può, non la deve usare il signor Calavetri, 4.3 dopo una lunga rincorsa nei tornei intorno al Lago di Como?». Franck abbozza un sorriso che vale più di tante parole. Cerca qualche ragione («Piacciono perché si rompono poco, non si muovono e restano ben allineate: sembrano sempre nuove… E poi, se insistono, cosa devi fare?»), ma è chiaro che anche lui è convinto che, in un mondo (del tennis) ideale, le preferenze sarebbero ribaltate.
 

«Invece, a livello europeo il 70% del mercato è costituito da corde monofilamento» afferma Mauro Pinaffo, 39 anni, una decina passata a studiare soluzioni innovative, soprattutto nel compianto Centro di Ricerche e Sviluppo di Prince a Treviso, e ora in forza alla casa madre di Head, col compito ben preciso di sviluppare una gamma completa e moderna di corde. Pinaffo conferma l'opinione generale: «Troppi giocatori di club utilizzano un monofilamento senza avere una struttura fisica e delle capacità tecniche adeguate, e finiscono solo col farsi male, perché servono braccia allenate per resistere alle vibrazioni che trasmettono all'impatto». Pensate che si stia parlando di dettagli, di pochi punti percentuali in una ipotetica scala di rigidità? Ci viene incontro David Bone, CEO della United States Racquet Stringers Association, che ogni anno pubblica lo String Selector, un lunghissimo elenco di corde che vengono testate in questo modo: incordate a 28 chilogrammi e trascorsi 200 secondi di periodo di assestamento, viene simulato un impatto pari a cinque colpi tirati a 190 km/h. Il valore di rigidità che ne consegue, è la forza creata all'impatto per muovere la corda; più il valore è basso, più la corda sarà morbida e con una forza di impatto inferiore, che si traduce in maggior comfort per il braccio. Quindi? Quindi prendiamo gli estremi (relativamente alle corde più utilizzate sul mercato italiano, perché tantissimi brand e modelli non vengono commercializzati nei nostri negozi): il budello naturale Babolat VS Team da 1.25 di calibro, ancora realizzato a Ploermel sotto la supervisione di tecnici specializzati e con un processo produttivo lunghissimo, presenta una valore di 102. Per rimanere in terra francese, il monofilamento in poliestere più venduto in Italia, la RPM Blast, arriva a 273! Oltre due volte e mezzo il budello naturale, risultato che ha fatto esclamare a Gabriele Medri, ingegnere della Pro-T-One e grande esperto di corde: «Questa è la chiara testimonianza di come talvolta l'uomo non sia in grado di far meglio della natura».

Ma non è un caso isolato. Se prendiamo in esame la tabella che trovate a destra, vedrete che tutti i monofilamenti hanno valori altissimi, e pericolosi per un braccio non sufficientemente forte e allenato. Altri esempi? Il Luxilon 4G arriva a quota 249, l'Alu Power a 242, il Big Banger Original a 249. E ancora, il Black Code della Tecnifibre a 225, il Razor Code addirittura a 278. E questi nuovi monofilamenti definiti Soft? Migliorano la situazione, non la risolvono: l'Alu Power Soft è dato a 185, il 4G Soft a 214, un risparmio di fastidio tra il 10 e il 20%, ma valori comunque ben più alti di quanto si possa ottenere con corde di diversa costruzione, che offrono sensazioni e risultati differenti. Quando, per esempio, al poliestere viene abbinato l'elastyl, come nel caso del nuovo (e bellissimo) HDX Tour della Tecnifibre, la forza da impatto scende a 148; col nylon della M7 a 157 e con quello dell'ormai super classico multifilo Babolat, l'Xcel da 1.30 di calibro, a 176.
 

Lo String Selector ci viene incontro anche nel determinare quale sia la perdita di tensione delle singole corde, mediante lo stesso test descritto prima. Anche qui, prendiamo gli estremi: il budello naturale VS Touch di Babolat ha un valore di 8.31 (si tratta di libbre: una libbra equivale a 0,453 kg), la RPM Blast di 17.13, oltre il doppio. E non è il top: la nuova Rip Spin della Wilson supera quota 20 libbre, l'Alu Power le 17. Performa meglio il 4G (sotto le 14 libbre in entrambe le versioni, classica e soft). Però il Babolat Xcel si ferma sotto le 10 libbre, appena appena superate dalla HDX Tour di Tecnifibre.
 

Insomma, comunque la si voglia vedere, le corde monofilamento non sono le più preziose, nemmeno quelle con le migliori caratteristiche. Certo, hanno delle qualità, ma va capito se sono utili al nostro gioco. Appena montate, sprigionano molta energia, lo snap back (la capacità di tornare velocemente alla posizione di origine) è violento e questo permette di trovare forza, reattività e tanta rotazione. In sostanza, come sosteneva Agassi durante quel celebre allenamento sotto i pioppi del Foro Italico, nell'ormai lontano 2002: «Questa corda dovrebbe essere illegale perché posso picchiare la palla per un'ora e non sbagliare mai». Il Kid di Las Vegas si riferiva al primo Luxilon che Roman Prokes, il suo incordatore personale, gli aveva montato. La colpa, se così possiamo chiamarla, è dunque di Bob Daelemans, che una quindicina d'anni fa era il responsabile di Luxilon, marchio belga poi acquistato da Wilson. Esperti in fili di sutura (guarda un po' che analogia con Babolat), da appassionato tennista cominciò a viaggiare nel tour per capire cosa cercavano i professionisti: «Semplice – gli rispondevano -: tiriamo talmente forte, che ci serve una corda che tenga la palla in campo». Detto, fatto. Cominciò con l'Original (ah, chissà se Guga Kuerten avrebbe mai vinto Roland Garros senza quella corda), quindi riuscì ad evolversi con l'Alu Power. «La vera rivoluzione non è avvenuta nelle racchette – mi raccontava nel 2001 Todd Martin, ex top 5 mondiale e persona di grande intelligenza –: sta avvenendo nelle corde. Per quanto tu possa tirare forte, la palla non esce più. E si trovano degli angoli talmente pazzeschi che è impensabile per l'avversario scendere a rete». Era stato buon profeta, Todd.

Però, i top players hanno un vantaggio che rende il monofilamento adatto al loro gioco (oltre a qualità tecnico-fisiche non paragonabili a quelle dei giocatori di club): si possono permettere di cambiare le corde prima di ogni match; i più forti e ricchi, addirittura ogni nove game. «Questa fa tutta la differenza del mondo – sostiene Marco Gazziero, esperto di corde e titolare del marchio Starburn -. Personalmente non sono totalmente contrario all'uso dei monofilamenti, ma con le dovute precauzioni: la sostituzione quando le caratteristiche iniziali sono sparite e la tensione, che non deve essere eccessiva».

In un colpo solo, due punti focali. La perdita di qualità nelle caratteristiche tecniche è piuttosto rapida quando si tratta di corde monfilamento e per quanto sia complesso stabilire dopo quante ore andrebbero sostituite, Fernier, Pinaffo, Gazziero, Medri e diversi altre tecnici di corde, sono concordi nello stabilire il range tra dieci e venti ore. Per chi gioca due/tre volte alla settimana, vuol dire un lasso di tempo compreso tra uno e due mesi. Parlando con i negozianti specializzati, ci assicurano che solo gli agonisti più spinti viaggiano su queste medie; gli altri pretendono di farsi mezza stagione con una sola incordatura, senza capire i danni che provocano al loro braccio.

E poi il discorso tensione: in molti sono rimasti legati a quanto accadeva fino a qualche anno fa, quando tanti giocatori salivano sopra i 25 kg, qualcuno addirittura sopra i 30 (vedi Thomas Muster e la sua Tom's Machine). Ora la tendenza è molto diversa. Davide Sanguinetti sulla sua Prince incordata Kirschbaum tirava a 16 chili, Filippo Volandri è sceso sotto i 15, ma il record assoluto (dai tempi di Beppino Merlo che praticamente le tirava a mano), spetta al kazako Mikhail Kukushkin che nell'ultimo torneo di Monte Carlo è arrivato a 9,5 kg. È la tesi che sosteneva Roman Prokes, l'ultima volta che l'ho incontrato a New York City, nel bellissimo CityView Tennis Club: «Con le corde monofilamento bisogna fare molta attenzione: possono essere le migliori amiche come il peggior nemico. Un consiglio è quello di scendere di tensione. Ma non i due chiletti che ti consigliano tutti, anche molto di più. In questa maniera si trovano equilibri più consoni al giocatore di club. Però, qualunque soluzione si provi, un monofilamento resta un monofilamento». Già, la corda più ignorante che ci sia, una semplice estrusione di una miscela di materiali. Il cui costo notevolmente ridotto sta alla base che ha spinto tante aziende a investirci sopra e a spingere per monetizzare dei ricarichi non indifferenti. Se non vi sono lavorazioni particolari, bombardamenti di vario genere, strutture complesse e differenti materiali da assemblare, se dunque parliamo del classico monofilamento in poliestere, il costo di produzione è di circa 1,30 euro. La bobina da 200 metri per 18 incordature, non dovrebbe quindi superare i 25 euro, a star larghi. E la stessa la ritroviamo nei migliori negozi online a 160 euro. Tanto per fare un paragone, una racchetta top di gamma (stampo escluso) ha un costo di produzione di 25 euro per essere venduta sempre allo stesso prezzo di 160 euro.
 

Ma allora, qual è la scelta migliore per un giocatore di club, che non ha mire da seconda categoria o addirittura professionistiche? L'ibrido, un concetto sulla carta ideale e che usano anche Novak Djokovic, Roger Federer e Andy Murray, tra gli altri. Si tratta di usare una corda morbida sulla orizzontali (il budello è il top) e una più rigida sulle verticali (in questo caso anche monofilamento, magari nelle versioni soft). Resta il fatto che lo sfregamento delle due corde crea un certo consumo, ma per il braccio è un buon compromesso. Oppure il classico multifilamento: «I giocatori di club devono usare il multifilo – spiega Pierre Bouché di Tecnifibre – e non solo perché preserva il braccio da impatti troppo duri, ma semplicemente perché giocherebbero meglio!». Ecco, questa è «la differenza che fa la differenza» per citare Bruno De Michelis, già psicologo di Milan e Chelsea. Perché il monofilamento aiuta nel trovare rotazioni e controllo, ma il giocatore di club ha bisogno soprattutto di spinta. In troppi hanno la fobìa della palla che scappa lunga, senza rendersi conto che l'80% dei loro colpi finisce poco oltre la metà campo, quando è giornata. Una corda di maggior potenza li aiuterebbe a trovare maggiore profondità, con un comfort decisamente più alto. E se si spostano un pochino, basta un leggero movimento delle dita per rimetterle a posto. Un piccolo fastidio per preservarsi da dolori, tecnici e fisici, ben maggiori.