THE MAGAZINE – In attesa che i giovanissimi (Fritz, Tiafoe, Kozlov, eccetera) esplodano ad alto livello, gli Usa si affidano ad un giovanotto del Nebraska per tornare a sognare la top 10 e (chissà) uno Slam. Lo US Open sarà il trampolino di lancio definitivo per Jack Sock? Per adesso sì: è l’unico americano già negli ottavi..LEGGI TENNISBEST MAGAZINE DI SETTEMBREI veri passaggi di consegne sono un’altra cosa, però gli americani tendono a esagerare. O a riempire di significato qualcosa che di significato non ne ha molto. O magari per niente. Correva l’anno 2011 e l’Arthur Ashe Stadium, ancora libero dalle travi e dal tetto sponsorizzato che vedremo da quest’anno, ospitava la sfida generazionale tra Andy Roddick e Jack Sock. Il primo era (ed è ancora) il miglior tennista americano del 21esimo secolo, ultimo yankee a vincere un torneo del Grand Slam (anno 2003, appena prima che si ultimasse la transizione dall’epoca di Sampras a quella di Federer). Il secondo era un ragazzo del Nebraska come lui, che aveva appena terminato le scuole superiori. La sua carriera tennistica in età da high school parlava di 80 vittorie e nessuna sconfitta. Vinse Roddick con un 6-3 6-3 6-4 piuttosto netto, ma alla stretta di mano sputò la sentenza. “Giocherai ancora molte volte su questo campo”. Non sappiamo ancora se la profezia si avvererà, ma in cinque anni sono cambiate tante cose. Ad esempio, Jack Sock ha capito che la vita può essere anche crudele, quando in una notte di gennaio dell’anno scorso, si è accorto che il fratello maggiore Eric faticava a respirare. La corsa in ospedale è stata salvifica, perché anche solo qualche ora di ritardo avrebbe consentito alla Sindrome di Lemierre (infezione batterica che porta al collasso i polmoni) di uccidere un giovane ragazzo.
(Anche) per questo motivo, Jack ha tardato la sua crescita professionale: priorità alla salute del fratello, poi tutto il resto, compreso la sua carriera. E’ stato premiato vincendo il primo titolo ATP (Houston) e facendo il suo esordio in Coppa Davis. Alle ultime Olimpiadi di Rio de Janeiro è stato l’unico tennista a vincere due medaglie: il bronzo nel doppio maschile (in compagnia di Steve Johnson), poi l’oro in doppio misto. Lui e Bethanie Mattek Sands hanno trovato un’inattesa alchimia e regalato agli States la medaglia più pregiata, impresa che sembrava impossibile dopo lo sgretolamento delle sorelle Williams. Nei primi anni di carriera, quando la crescita in singolare era costante ma non micidiale, si è dedicato spesso al doppio, specialità dove ora eccelle, tanto da aver vinto Wimbledon insieme al canadese Vasek Pospisil. Curiosamente, lo stesso che ha sfidato (e battuto) nella finalina olimpica di Rio.
Però il doppio non ti consegna alla storia. Hai voglia a cercare di proteggerlo e cercare di dargli più visibilità (decisione sacrosanta perché è ancora la specialità più diffusa nei tennis club), ma difficile, anche tra gli addetti ai lavori, ricordare chi ha vinto Roland Garros in doppio, anche solo la scorsa edizione. E allora in tanti si chiedono se Jack sarà il prossimo americano ad entrare almeno tra i primi 10 del ranking mondiale, In singolare: “Sta crescendo nel modo giusto – dice Jim Courier, che ha trovato in lui un buon davisman –: ha lavorato duramente sul piano atletico e ha raggiunto una buona consapevolezza su quali siano le sue armi, nonché il modo migliore per utilizzarle. Ha un buon futuro”. Magari, aggiungiamo noi, riuscendo a perdere qualche chiletto, perché il peso forma pare spesso sforato, causa il junk food americano di cui non è difficile supporre essere ghiotto.
In ogni caso, tanti addetti ai lavori americani sono convinti che sia proprio lui il giocatore su cui puntare nell’immediato, perché se le giovani leve fanno sperare di avere l’imbarazzo della scelta nei prossimi 4-5 anni, oggi gli Stati Uniti devono aggrapparsi a John Isner (che è un over 30 e comunque è già stato nella top 10 ma con scarse possibilità di tornarci), magari a quel Steve Johnson che attualmente è il leader nazionale, ma che deve ancora misurarsi con la pressione che questo ruolo impone e non pare dotato di un tennis così evoluto da diventare uno Slammer.
Ecco quindi spuntare il nome di Jack Sock. Uno studio di Tennis Channel ha stabilito che il suo dritto genera più rotazione di quello di Rafael Nadal. Non è un caso, dunque, che abbia ottenuto buoni risultati sulla terra battuta, anche se gioca bene un po’ su tutte le superfici: la terra rossa perché il suo tennis si adatta bene, il cemento perché su quello si cresce negli Usa e pure l’erba, che annusa sin da quando era piccolo e papà Larry ha provato a iniziarlo al golf. Alla fine, ha prevalso la linea di mamma Pam, tennista amatoriale. “A dire il vero nessuno mi ha spinto clamorosamente verso il tennis – dice Sock -. Semplicemente, quando ero piccolo, mi è capitato di trovare una racchetta per casa e ho preso alcune lezioni. Uno dei miei primi ricordi è un video didattico di Nick Bollettieri, in cui spiegava il gesto tecnico di Andre Agassi”. Tuttavia, a differenza di centinaia di baby tennisti, lui non è mai transitato dall’Accademia Bollettieri di Bradenton. La sua Mecca tennistica si trova a Kansas City, alla Mike Wolf Tennis Academy. Sono stati bravi, gli hanno messo a disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno, e allontanarsi dal Nebraska è stata una scelta decisiva: in quegli anni ha deciso di provarci seriamente col tennis e ha lasciato perdere il college. Non abita più a Lincoln, pur restando legato alla sua terra. E anche papà Larry ha preso bene la sua scelta di giocare a tennis: per ringraziarlo, Jack se lo è portato all’esclusiva cena dei campioni di Wimbledon, dopo il successo in doppio del 2014.
Attualmente la sua residenza è a Overland Park. Nel seminterrato di casa c’è una foto di lui al servizio, con papà e fratello chiaramente riconoscibili in tribuna. Sarà così anche a New York, che è un’altra storia rispetto al torneo olimpico: nella Big Apple vuole far bene, ma in singolare. Il suo team, guidato da coach Troy Hahn, gli ha suggerito proprio di rallentare l’attività in doppio per concentrarsi su se stesso. E giocare bene allo US Open non avrebbe prezzo e probabilmente rappresenterebbe una rampa di lancio verso l’obiettivo top 10.
Perché Jack è forte, Jack può arrivare. E’ serio, con una forte dedizione al sacrificio, poche distrazioni (tra le quali Sloane Stephens, per un breve periodo) e tanta voglia di arrivare in alto. Tuttavia, secondo molti addetti ai lavori è ancora un giocatore work in progress. Secondo il guru Brad Gilbert, dovrebbe migliorare il rovescio, perché ancora oggi copre il 90% del campo con il dritto. “Inoltre può crescere con il servizio e sul piano atletico. Se sistemerà questi tre aspetti del gioco, lo vedremo lottare ai piani alti” ha sentenziato Brad. Da quella sfida contro Andy Roddick sono passati cinque anni. I prossimi cinque ci diranno se Sock è davvero un campione, oppure se dovremo inserirlo nella lunga lista di americani che hanno deluso. Anche se lui ha un’arma in più: la consapevolezza che la vita va ben oltre il tennis. “Il giorno in cui mio fratello è stato ricoverato, in me è cambiato qualcosa. Ogni volta che sono in difficoltà sul campo, anziché deprimermi penso che nella vita ci può essere di molto peggio. Il tennis non è tutto, le persone che hai accanto contano di più”. E’ un paradosso, ma proprio questa consapevolezza potrebbe dargli una mano quando dovrà fronteggiare una palla break o giocare un punto importante.
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