Tutto lo sport è a caccia di formati più veloci per attirare il pubblico giovane. Ma regole astruse e complesse, che snaturano il senso di una disciplina, non sono la soluzione.

Da qualche anno, spaventati dal calo di audience – con conseguente fuga di sponsor e calo dei diritti tv – un po’ tutti gli sport stanno tentando di ‘cambiare formato’. Preoccupazione legittima, per carità. Il pubblico cambia, i gusti cambiano, niente è eterno (persino l’Impero Romano è caduto). L’obbligo è fare in fretta, tagliare i tempi e introdurre elementi di show, per acchiappare i ‘giovani’, peraltro l’unica categoria a cui ci si appella, in eterno, quando non si hanno altre soluzioni.

Detto questo, ci sono sperimentazioni e sperimentazioni. Del rugby senza mischie (che annoiano i giovani), dell’automobilismo dove la sgasata in più la forniscono i fan, come capita nella Formula E in base alla simpatica social dei piloti (i giovani! i giovani!), o dell’Ultimate Tennis in cui si gioca carte e la formula, che dovrebbe essere più leggera e croccante (per attrarre chi? i giovani, naturalmente) ma non si fa capire neppure da chi lo lo dovrebbe arbitrare (all’arbitro l’ha dovuta spiegare il 38enne Lopez, che giovane non è più) e viene governata da un misterioso algoritmo – di tutte queste queste cosiddette ‘innovazioni’, onestamente possiamo farne a meno.

Patrick Mouratoglou è un tipo sveglio, e ha tutto il diritto di inventarsi un piccolo Barnum privato per intrattenere un pubblico affamato di tennis – pardon: di qualsiasi cosa – dopo mesi di astinenza da pandemia. Ma è il primo a sapere che le regole bislacche dell’UTS non verranno mai adottate dal tennis. Come del resto quelle delle Next Gen Finals, che pure sono decisamente più ragionevoli e convincenti.

Se proprio vogliamo piantarla lì con il tennis tradizionale, una soluzione c’è, e l’ha inventata Jimmy van Alen 50 anni fa: il tie-break. Giocando solo tiebrek – cinque? sette? – l’accorciamento è assicurato (ricordate, amici anziani, il vecchio Shoot out?). E magari riusciremmo a completare tutto Wimbledon in un weekend, chi lo sa.

Il tennis, come tutto lo sport, ha bisogno di storie, personaggi, rivalità, non di svalutarsi con soluzioni astruse.

Immagino uno scenario in cui al circolo andremo con l’app del pokemon per giocarci un doppietto fra amici, o nel quale Berrettini per chiudere un match agli Us Open urlerà ‘briscola!’ – e rabbrividisco.

Ho però il sospetto che l’obiettivo finale non sia riformare lo sport – e non sto parlando dell’effimero UTS – ma di sostituirlo in toto con i videogame. Con l’esport, manipolabile e aggiornabile digitando un tasto da parte di nerd smanettoni che non si sono mai fatti una corsetta al parco.

Gli esport, non a caso, sono già entrati nell’orbita olimpica: per ora come disciplina dimostrativa, in futuro, temo, come piatto forte. Se questo è il futuro, cari giovani vicini e lontani, ve lo lascio volentieri. Inevitabilmente, ma senza troppi rimpianti.