Niki Pilic, primo coach di Novak Djokovic, ha suggerito ai tennisti un boicottaggio di massa dei Championships, come quello famosissimo del 1973, a suo favore. Sarebbe un grande gesto di vicinanza a russi e bielorussi, e anche e di ribellione contro le influenze politiche nello sport, ma nel 2022 sembra roba d’altri tempi
Il consiglio di Niki Pilic
Dalla decisione del torneo di Wimbledon di escludere russi e bielorussi sono passati oltre dieci giorni, ma la questione continua a tenere banco. Normale, visto che si tratta di una scelta dal forte sapore di ingiustizia, presa dall’AELTC sotto le pressioni del governo britannico. Da Londra hanno scontentato tutti, ucraini a parte, e in attesa di sapere come (o se) ATP e WTA si muoveranno nei confronti del terzo torneo stagionale del Grande Slam, qualcuno ipotizza addirittura la minaccia di un boicottaggio di massa per mettere pressione al direttivo dei Championships, in risposta alla loro sistematica abitudine di farsi le regole da soli. Alcuni siti stranieri hanno rilanciato la questione come un’idea che balena nella testa del numero uno del mondo Novak Djokovic, quando invece – almeno ufficialmente – il discorso relativo al boicottaggio non è altro che una sorta di consiglio del suo primo allenatore Niki Pilic, che lo stesso “Nole” ha voluto come ospite la scorsa settimana a Belgrado. “Sarebbe curioso – ha detto Pilic – vedere come si comporterebbe il torneo se i giocatori mettessero come condizione per la partecipazione la presenza di russi e bielorussi. Mi piacerebbe vedere la reazione di Wimbledon. Boris Johnson è matto, e la politica ha ormai troppa influenza sullo sport. Credo che questa situazione potrebbe essere molto simile a quella del 1973”.
L’allusione di Pilic è allo storico boicottaggio di cinquant’anni fa, quando al centro della questione ci fu proprio lui, che venne sospeso dalla federazione jugoslava (su pressione della vecchia ILTF: International Lawn Tennis Federation) per aver declinato una – tardiva – convocazione per un facilissimo incontro di Coppa Davis contro la Nuova Zelanda, a favore di un impegno già preso per un torneo di doppio in Canada. Roma e Roland Garros trovarono comunque un modo per permettergli di giocare, mentre Wimbledon gli chiuse la porta in faccia (la squalifica sarebbe terminata a torneo appena iniziato) e in un grande gesto di solidarietà i giocatori decisero di insorgere, riunendosi alla vigilia del torneo per studiare un possibile boicottaggio. Trovarono l’accordo e lasciarono Londra in un’ottantina, compresi la gran parte dei più forti. Era un modo non solo per appoggiare la situazione di Pilic, ma anche per far sentire la propria voce e ottenere più autonomia, nell’eterna battaglia fra giocatori e tornei. Al tempo l’ATP era nata da meno di dodici mesi, e aveva poteri molto inferiori rispetto a oggi, mentre cinquant’anni più tardi potrebbe essere proprio il sindacato guidato da Andrea Gaudenzi (così come l’alleata WTA) il primo a prendere provvedimenti contro l’All England Club, per difendere il sacrosanto diritto di russi e bielorussi di partecipare al torneo. Non possono obbligare gli inglesi a tornare sui propri passi, ma qualche carta da giocare ce l’hanno, specialmente dal punto di vista legale. Anche se, in termini di significato, una mossa da parte dei giocatori avrebbe tutt’altro peso di una o più cause milionarie.
Djokovic non ha paura a metterci la faccia, però…
È normale che all’ipotesi di una presa di posizione molto forte da parte dei tennisti venga associato il volto di Djokovic. Perché è il numero uno del mondo, perché ha dimostrato di non aver paura a rimetterci personalmente per difendere le proprie idee (giuste o sbagliate che siano), e perché rispetto agli altri giocatori di vertice ha spesso mostrato più interesse – concreto – per i problemi dei colleghi, muovendosi anche a favore di chi viaggia lontano dal tennis che conta. In più, a differenza di molti altri ha subito preso le distanze dalla decisione di Wimbledon, spiegando che, malgrado sarà sempre il primo a condannare la guerra (vissuta sulla propria pelle nei Balcani), non può essere d’accordo con la scelta di escludere i giocatori, del tutto incolpevoli. Anche per questo, conoscendolo, non sorprenderebbe così tanto vederlo a capo di un movimento di protesta contro i parrucconi dell’AELTC e le influenze politiche nello sport, anche se un boicottaggio, nel 2022, sembra decisamente improbabile. I tempi sono cambiati: gli interessi sono enormi per tutti, motivo per cui oggi la gran parte dei tennisti preferisce stare su posizioni neutrali, senza mai schierarsi apertamente dall’una o dall’altra parte. In più, a differenza del 1973, stavolta ci sono di mezzo una guerra e centinaia di morti, quindi la decisione di stare con i russi (anche se in questioni che non c’entrano nulla con gli attacchi militari) potrebbe essere facilmente mal interpretata, creando un caos ancora maggiore.
Detto della sua predisposizione naturale a farsi portavoce di alcune cause, va anche considerato che per il Djokovic giocatore il prossimo torneo di Wimbledon è troppo importante. Già gli è stata negata (o si è auto-negato) la possibilità di difendere il titolo all’Australian Open, e nel Regno Unito – dove le condizioni di ingresso nel paese stabilite dal Governo non includono la vaccinazione – gli scadranno altri 2.000 punti in un colpo solo, tantissimi. Non valgono quanto il messaggio che potrebbe lanciare a favore della discriminazione subita dai colleghi, ma per il suo futuro personale sono ancora più importanti. A proposito di discriminazioni: pare che il governo italiano abbia messo via l’idea di seguire l’esempio di Wimbledon con gli Internazionali d’Italia, al via fra una settimana. Per fortuna: sarebbe stato un autogol ancora peggiore di quello dei Championships.