Niente appunti a tattica o tecnica, l’analisi del nostro D’Adamo si sofferma sui momenti di pausa del gioco. Il passo svelto di Stefanos Tsitsipas non è sempre un buon segno…

Ormai da anni seguo il torneo di Montecarlo: talora di persona altre volte sprofondato tra le grazie di una comoda poltrona. Una rapida premessa per dire di essere giunto quasi a conclusione che nello specchio di mare antistante il Country Club non esistono onde ma soltanto calma piatta tinta di azzurro. Ogni vento pare bloccarsi all’entrata della piccola rada e tutto ciò che accade nell’immediato entroterra sembra assorto in un aplomb molto principesco che invita tutti a prenderla con la giusta flemma.
La stessa che pare invadere i tennisti nelle pause di gioco, quelle utili a ripristinare le idee tra un punto e l’altro o a prendere appunti durante i cambi di campo.

L’unico a dirazzare da questo nirvana tutto monegasco, sembra essere Tsitsipas che avendo probabilmente insospettabili riserve di energie, nelle pause se ne va in giro per il campo a passo svelto aspettando con ansia di mettere le corde sulla prima palla disponibile. Il tipico soggetto che, trolley al seguito, si muove col fare frettoloso di chi è lì lì per perdere un treno.
Adoro il tennis dell’acheo e credo possa ambire anche a predare un major in tempi brevi, ma penso nel contempo, che ulteriori migliorie di qui in avanti siano rintracciabili proprio nello scandire meglio il tempo a bocce ferme. È vero che ognuno di noi ha i suoi ritmi ma è anche vero che nei momenti clou del match prevale la lucidità e il coraggio, due cose che trovi a ciel sereno, sgombrato da rimasugli nuvolosi. Contro Garin può anche andare ma con i mostri sacri che si profilano sempre all’orizzonte, la frenesia può presentare il conto, avvolte assai salato.

Un consiglio? Lavorare intanto sulla respirazione. Poi, se i patemi insistono, non guasterà buttare un occhio a quel mare laggiù in fondo che riassunto in una rada a ferro di cavallo, nessun libeccio sembra in grado di sfiorare.