I natali nella capitale, la macelleria del nonno (ex calciatore della Fortitudo) a due passi da Bartoni, lo storico negozio del quartiere Flaminio, la passione per il tennis trasmessa dal padre, la crescita sui campi di terra rossa del Gianicolo, il mito giovanile di Adriano Panatta («Nella mia classifica dei supereroi aveva superato Goldrake e Sandokan»), le vittorie a livello giovanile, quella volta che battè Mats Wilander a Montecarlo, la carriera da coach e le intuizioni che ne hanno fatto un innovatore. Claudio Pistolesi, classe 1967, è stato un tennista atipico: ha avuto la sua realizzazione professionale in una dimensione puramente internazionale (ma amando alla follia la maglia azzurra). Soprattutto nella seconda fase della sua carriera, da coach e poi da rappresentante dell’intera categoria dei coach Atp. Ciò che ha fatto scrivere ad Adriano Panatta, nella prefazione di “«C’era una volta il mio tennis», firmato da Pistolesi ed edito da Gremese: «Ma come ha fatto il nostro tennis a privarsi di un tecnico della qualità di Claudio?». Già, come ha fatto e soprattutto perché? La sua carriera da coach parla da sola: Monica Seles, che con lui trionfò a Melbourne, Robin Soderling, allora numero 5 del mondo, gli italiani Davide Sanguinetti (trionfo a Milano in finale su Federer nel 2002) e Simone Bolelli (n. 1 d’Italia 2008) e poi l’avventura giapponese con Takao Suzuki. Una vita avventurosa e piena di incredibili sliding doors, abilmente raccontate nel libro. Campione italiano under 14, 16 e 18, campione mondiale Junior 1985, Pistolesi (un fondocampista dal gran diritto) non ha poi mantenuto in un certo senso le promesse giovanili, fermandosi ad un best ranking n.71 e vincendo un solo titolo Atp (Bari, 1987) quando battè in finale Francesco Cancellotti. Ma ha avuto i suoi momenti d’oro: come quando costrinse Jimmy Connors a 3 ore di lotta a Flushing Meadows («Ha fatto pugnetto a Connors!», fu il commento di Clerici), quando Pat Cash dovette sudare le proverbiali sette camicie (e spaccare una racchetta) per batterlo in 4 set al secondo turno dell’Open d’Australia 1987, sull’erba del Kooyong Lawn Tennis Club («un match del quale oggi purtroppo non è rimasta traccia, avrei voluto avere le tv e i social che hanno oggi i tennisti»). Ma soprattutto quando, il 21 aprile 1988, la Rai fece slittare il TG1 di 10 minuti per permettere a Giampiero Galeazzi di concludere la telecronaca, da Montecarlo, di un match dove un tennista italiano proveniente dalle qualificazioni (seguito all’epoca, per conto della federazione, da Tonino Zugarelli) stava battendo, a suon di diritti devastanti, il numero 1 del mondo, Mats Wilander. «Il giorno prima avevo battuto Aaron Krickstein – ricorda oggi Pistolesi – un altro top ten, giocando forse anche meglio». La prima convocazione in Coppa Davis, («Il più grande sogno di ogni bambino tennista degli anni 70») arriva nel 1986. Altre ne seguiranno, con Panatta capitano. L’esordio da titolare sarà a Bari nel 1991, contro la Danimarca, nel match spareggio per non retrocedere, dove Claudio batte Tauson e rimette in piedi la barca dopo la inopinata sconfitta di Camporese contro Fetterlein complice…una cioccolata calda. Da coach è stato tra i primi a introdurre il supporto psicologico agli atleti. Non a caso tiene conferenze e corsi di formazione sull’insegnamento del tennis in tutto il mondo. Oggi risiede a Jacksonville, in Florida («Qui rispetto all’Italia la cultura sportiva è superiore in modo esponenziale») dove dirige lo Junior Tennis Champions Center.
(Lucio Biancatelli)
C’era una volta il (mio) tennis
Claudio Pistolesi
Gremese Editore
168 pagine
18 euro