L’altoatesino intervistato da L’Equipe: “La mia calma è una questione di famiglia. Voglio giocare per venti anni”
“Io diverso dall’italiano tipico? Perché sono del Tirolo, conduciamo una vita diversa ma io mi sento italiano anche se la mia prima lingua è il tedesco. Quando ho iniziato a 13 anni e mezzo ad allenarmi a Bordighera con Riccardo Piatti è stato molto difficile: ho imparato lì l’italiano, ora lo parlo bene anche se non è ancora perfetto”. Jannik Sinner, intervistato da L’Equipe, parla della propria personalità e spiega l’origine della sua proverbiale impassibilità in campo. “Una questione di famiglia, credo. Avevo 15 o 16 anni e, dopo una partita persa, chiamai mia madre. Non stavo piangendo, ma ero deluso e avevo bisogno di un po’ di conforto. Mi rispondeva sempre “Ascolta, non ho tempo di parlare: sto lavorando” e così ho imparato a gestirmi da solo”.
Le aspettative sull’altoatesino sono enormi e non solo in Italia. “Tutti si aspettano uno Slam ma non mi preoccupa. Ho ancora 19 anni, la strada è lunga e la pressione più grande che sento è quello che metto su me stesso. Prima di poter vincere grandi tornei devi perdere grandi partite: fa male ma ti aiuta a crescere. Così come contro Shapovalov agli Australian Open, ho avuto difficoltà ad accettarlo ma ho parlato col mio team: il nostro lavoro è vincere, ma quando si è giovani è anche importante perdere – sottolinea – Quando avrò giocato 200 partite allora inizierò a conoscermi meglio. Ma non significa che continuerà così: può andare più lentamente o potrei anche regredire se mi infortuno”.
Jannik, d’altronde, ha le idee chiare sul suo futuro: “Mi servono altri due o tre anni per capire meglio le cose dentro e fuori dal campo: voglio rimanere rilassato perché l’obiettivo è giocare per altri vent’anni. Sì, ho iniziato a 18 anni e quindi voglio giocare fino a 38 – aggiunge con un sorriso, mentre i Fab 3 continuano a monopolizzare i grandi eventi – Mi considero fortunato a giocare nell’epoca di Novak, Rafa e Roger. La partita con Nadal al Roland Garros è stata molto importante per me, così come allenarmi con lui a Melbourne. Non solo per la mia carriera ma come esperienza di vita. Non lo dimenticherò mai”.