Con l’imminente addio di Serena Williams, lo sport perde una delle atlete più forti di sempre. Ha raccontato il percorso che l’ha condotta alla decisione, che evidenzia tutte le difficoltà di un ritiro: malgrado già da tempo il tennis non sia più la sua priorità, ha faticato enormemente ad accettare di dover voltare pagina. Perché la racchetta, in un modo o nell’altro, c’è sempre stata
Serena e il dolore del ritiro: per gli sportivi è il momento più duro
Un personaggio tutt’altro che banale come Serena Williams non poteva scegliere un momento banale per annunciare l’addio al tennis. Ha aspettato di tornare a vincere una partita come non faceva da 14 mesi, peraltro riuscendoci nel giorno del compleanno del suo coetaneo Roger Federer, l’altro giocatore simbolo del tennis contemporaneo. Proprio quando il mondo della racchetta iniziava a fantasticare di averla ritrovata, ecco la decisione che le balenava nella testa da un po’. A quasi 41 anni, con una carriera da record alle spalle, e un presente da mamma imprenditrice sempre più attiva nel mondo del business, la più forte giocatrice dell’Era Open ha deciso che può bastare così, vincendo la battaglia con quel demone interiore che alla parola “ritiro” reagiva con nervosismo e lacrime, scacciando via il pensiero all’istante. L’ha raccontato lei stessa in una lunga lettera affidata al magazine Vogue, indirizzata ai fan ma anche o soprattutto a se stessa, con la sua personale visione del percorso sportivo (e umano) che l’ha resa una star planetaria, fra gioie e delusioni, battaglie vinte, paure, difficoltà e voglia di rimanere aggrappata a un mondo che da tempo le appartiene sempre meno. “Per come la vedo io, avrei potuto vincere più di 30 tornei del Grande Slam”, ha scritto, ed è difficile darle torto, ma Serena ha preso coscienza che in fondo va più che bene così e la sua vita può andare avanti tranquillamente anche senza record e senza racchetta. In realtà è stato così anche negli ultimi anni, ma il tennis, anche se in un angolino, in un modo o nell’altro nella sua testa c’era sempre. Doveva solo decidere come e quando metterlo da parte del tutto, e – anche se non l’ha specificato – lo farà a New York, al termine del suo 21esimo Us Open.
Serena non aveva mai parlato apertamente di ritiro, ma logicamente la sua scelta non sorprende, visto che negli ultimi anni ha giocato poco e vinto ancora meno, faticando a far convivere tennis (e problemi fisici annessi), famiglia e business. Col senno di poi, un indizio era arrivato già qualche ora prima dal sito della WTA, che – fatto piuttosto strano per un canale istituzionale – dopo la sua vittoria contro Nuria Parrizas-Diaz al primo turno del torneo di Toronto aveva scritto che, malgrado nessuno nel suo team ne avesse parlato, la stagione americana aveva tutta l’aria di essere l’ultimo sforzo della carriera di miss 23 Slam. Forse, quella “luce in fondo al tunnel” di cui Serena ha parlato lunedì nell’intervista post match, non era riferita – come era logico pensare – all’atteso ritorno al successo, bensì al fatto che finalmente ha trovato la forza di dire basta. Finalmente perché, per sua stessa ammissione, la strada che l’ha condotta alla decisione non è stata per niente facile: per molte giocatrici l’addio è stato una liberazione, per lei un grande dolore. “Non voglio che la mia carriera finisca – ha scritto –, ma allo stesso tempo sono pronta per quello che verrà”. Le sarebbe piaciuto lasciare a cuor leggero, invece ha fatto fatica ad ammettere, a se stessa in primis, che era giunto il momento di chiudere il capitolo che l’ha accompagnata per tutta la vita e guardare oltre. Il ritiro è sempre stato un tabù: ha raccontato di non averne parlato col marito Alexis né con mamma e papà, riuscendo ad aprirsi davvero solo col proprio terapista. Come a voler ribadire che doveva essere una scelta solo e soltanto sua, senza influenze dall’esterno. Nemmeno dalle persone più care.
Serena vuole allargare la famiglia e dedicarsi al business
Una delle ragioni della scelta di dire basta la si trova in apertura della lettera, probabilmente scritta dopo Wimbledon e conservata per il momento ideale. Da tempo la figlioletta Olympia, che il 1° settembre festeggerà 5 anni, chiede insistentemente una sorellina, e Serena e il marito sono intenzionati ad accontentarla. “Se oggi – ha scritto ancora – devo scegliere tra la mia carriera e la mia famiglia, scelgo la famiglia. E non voglio rimanere nuovamente incinta da atleta”. C’è da capirla, anche perché un nuovo stop per la gravidanza vorrebbe dire rimanere parecchi mesi lontana dai campi, con una condizione atletica da ricostruire nuovamente a 41 anni, più annessi e connessi. Avrebbe ritardato soltanto la decisione, quindi meglio fermarsi prima e allargare la famiglia da imprenditrice, attività che grazie alla sua compagnia di investimenti Serena Ventures le occupa oggi la maggior parte del tempo. Il suo futuro sarà lì, in un ambiente nel quale sta dimostrando di avere le stesse qualità che le hanno regalato vittorie su vittorie sui campi da tennis di tutto il mondo. L’adrenalina di un investimento azzeccato non sarà la stessa di un titolo Slam davanti a migliaia di persone, ma prima o poi il momento di voltare pagina arriva per tutti e lei ha già gettato basi importanti, che le permetteranno di vivere la transizione con più serenità di quanto creda.
Alla carriera di una delle sportive più forti di tutti i tempi restano quindi tre tornei: Toronto, dove mercoledì sfiderà Belinda Bencic o Tereza Martincova, poi Cincinnati e quindi quello Us Open vinto sei volte, la prima nel 1999, l’ultima nel 2014. L’anno successivo avrebbe raccolto una delle più grandi delusione della propria carriera, arrendendosi in semifinale a Roberta Vinci e fallendo così un Grande Slam che pareva già cosa fatta, e da lì in avanti di finali nei Major ne ha perse sei su otto. Il sogno di vederla chiudere la carriera con un titolo a Flushing Meadows, come riuscito al connazionale Pete Sampras esattamente vent’anni fa, è probabilmente esagerato (anche perché PistolPete aveva dieci anni in meno), ma in fondo l’esito dello Us Open conta il giusto. È molto più importante che Serena riesca a godersi il finale che merita, indipendentemente dai risultati in campo. “Non so se sarò pronta per vincere a New York – ha scritto – ma ci proverò. Mi sarebbe piaciuto eguagliare il record di Margaret Court a Wimbledon, superarlo allo Us Open e poi dare l’addio al tennis alla cerimonia di premiazione, ma non sto cercando un finale in grande stile. Sono terribile negli addii, la peggiore del mondo. Posso dire di essere grata ai miei sostenitori più di quanto riesca a esprimere a parole. Mi avete trascinato in tantissime vittorie e verso tantissimi trofei. Mi mancherà quella versione di me, della ragazza che gioca a tennis. E mi mancherete voi”. Così come una figura come la sua mancherà parecchio al mondo del tennis e dello sport in generale, per quanto ha vinto e per ciò che ha significato. Godiamocela finché c’è.