L’assenza di pubblico cambia l’atmosfera dei tornei, ma pesa ancora di più a livello finanziario. Nei Masters 1000 la vendita dei biglietti rappresenta il 45% degli incassi: senza spettatori (e con meno sponsor) è tutto più difficile. Ecco perché Roland Garros e Wimbledon spingono già per avere più pubblico possibile

Nel 2020 una perdita fra 60 e 80 milioni di dollari per i tornei

Il primo effetto degli spalti vuoti nei tornei di mezzo mondo è un’atmosfera freddina, che toglie alle partite una componente preziosa e priva i giocatori dell’affetto dei tifosi. Ma la conseguenza più grave dei tornei a porte chiuse è a livello finanziario, perché nelle casse di molti eventi i ricavi della vendita dei biglietti rappresentano la principale fonte d’entrata. Proprio per questo, in vista del futuro inizia a circolare una certa preoccupazione da parte degli organi che governano il tennis, perché – fatta eccezione per rari casi – lo scenario è quello di tornei senza pubblico ancora per un po’. Se ci aggiungiamo che dall’inizio della pandemia il giro d’affari delle sponsorizzazioni ha perso circa il 30% (parola del presidente ATP Andrea Gaudenzi), anche uno sport in grande salute come il tennis si trova a dover tirare la cinghia. È stato stimato che nel 2020 i tornei del Tour abbiano perso fra i 60 e gli 80 milioni di dollari, a causa di cancellazioni dell’ultimo minuto, zero biglietti venduti, riduzione delle sponsorizzazioni e anche costi legati ai protocolli sanitari, tanto importanti quanto onerosi, e quindi pesantissimi a livello di bilancio.

La conseguenza diretta è stata un netto calo dei montepremi, con il totale dei soldi distribuiti praticamente dimezzato rispetto all’anno precedente. Qualcuno ne ha beneficiato, come gli organizzatori del Sardegna Open del Forte Village (che con 271.345 euro di montepremi è stato il torneo ATP dal montepremi più basso degli ultimi vent’anni), ma col passare del tempo il problema si fa sempre più evidente. Gli incassi dei biglietti sono importantissimi (nei Masters 1000 si aggirano sul 45% del fatturato complessivo), ragion per cui i due tornei europei del Grande Slam hanno già iniziato a spingere per avere più pubblico possibile.

In vista del Roland Garros la nuova direttrice generale della FFT Amelie Oudea-Castera ha già detto di puntare a “trovare il miglior compromesso tra presenza di spettatori e salute pubblica”, che nella loro ottica significa sicuramente più persone rispetto alle sole 1.000 al giorno fatte entrare nel 2020, quando in principio dovevano essere 17.500. A Wimbledon, invece, stanno pensando a delle norme sanitarie per i giocatori che siano le più rigide possibile, con l’obiettivo di poter così garantire maggiore sicurezza e quindi accogliere più spettatori. Il rischio che i Major vogliono (e devono) evitare è di fare la finale dell’Australian Open, che a causa di protocolli sanitari, capienza dimezzata e lockdown di cinque giorni nel bel mezzo del torneo (costato il rimborso di 100.000 tagliandi) ha chiuso con un passivo di 65 milioni di euro.

Steve Simon della Wta: «vediamo la luce in fondo al tunnel»

Herwig Straka, che oltre a essere il direttore del 500 di Vienna e il manager di Dominic Thiem è uno dei tre rappresentanti dei tornei nel board ATP, ha spiegato che nel caso in cui i tornei dovessero proseguire senza spettatori ancora a lungo, sarebbe necessaria una riorganizzazione economica del Tour. “Il problema – ha detto – è trovare il giusto equilibrio nel prize money: il montepremi deve essere all’altezza, in particolar modo per i giocatori di classifica più bassa che lottano per sopravvivere, ma non deve diventare un peso insostenibile per gli organizzatori di un torneo. Una sfida molto complicata specialmente per gli eventi più piccoli. Tuttavia, il tennis non ha bisogno del ritorno del pubblico solo per questioni di business, ma anche dal punto di vista sportivo. Senza pubblico non possiamo sopravvivere”. Andrea Gaudenzi, invece, in un’intervista con l’agenzia Reuters si è detto fiducioso in vista del futuro, spiegando che nelle varie stime fatte in vista dell’anno in corso non emergono particolari problemi di sostenibilità.

Gaudenzi ha anche spiegato che, nel peggior scenario possibile, nel 2021 l’ATP dovrebbe comunque distribuire in prize money un totale di 180 milioni di dollari, “solo” il 23% un meno rispetto alla stagione 2019. Merito anche dei 5.2 milioni di dollari prelevati (col consenso del Players’ Council) dal fondo col quale a fine vengono pagati dei corposi bonus ai primi 12 giocatori del mondo. L’ATP li ha divisi fra numerosi tornei in calendario fra Australian Open e Wimbledon, riportando il montepremi degli ATP 250 all’80% di quanto era prima della pandemia, e quello degli ATP 500 al 60%. “Considerando le sfide che abbiamo dovuto affrontare – ha detto Gaudenzi – non si tratta di un risultato terribile. Nel 2021 la gran parte dei tornei sarebbero contenti di chiudere in pareggio di bilancio”.

Non se la passa certo meglio la WTA, che in più partiva anche da una situazione economica non altrettanto florida, e ha pure dovuto sborsare di tasca propria gli oltre 560.000 dollari di montepremi dell’evento pre-Australia, giocato ad Abu Dhabi. È ingiustificato il malcontento di Elina Svitolina, un po’ sfacciata (visti i tempi che corrono) a lamentare un calo di motivazioni proporzionale al calo di montepremi, ma il CEO Steve Simon ha dovuto ammettere che, malgrado non sia intenzione di nessuno ridurre i montepremi, un taglio sarà di nuovo inevitabile. “Non ci fa piacere – ha detto – ma con meno biglietti venduti e meno entrate dagli sponsor, non possiamo fare altrimenti”. La sola speranza, anche in questo caso, è legata alla campagna vaccinale su scala globale, soluzione finale per eliminare le restrizioni. “Finalmente – ha concluso Simon – si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel, quindi ci auguriamo un 2021 a capienza ridotta, per poi tornare agli stadi pieni nel 2022”. Lo sperano i tornei, che hanno la necessità di avere gli spettatori sugli spalti, e lo sperano gli spettatori, che hanno una fame enorme di tennis dal vivo.