Il 5 giugno del 2010 la leonessa entrava nella storia del tennis italiano grazie al successo sulla Stosur in finale a Parigi
Quattro match point consecutivi, la testa nascosta nell’asciugamano ricordando a se stessa di non arretrare di un centimetro, almeno per un altro punto. In questi minuti di dieci anni fa, Francesca Schiavone si apprestava a riscrivere la storia del tennis italiano nella finale del Roland Garros. Fiato sospeso per gli spettatori davanti alla tv, un po’ meno per gli scatenati amici nel suo box pronti a sventolare il tricolore indossando magliette con le scritte a caratteri cubitali “Forza Schiavo” e “Schiavo Nothing is impossible”. E come potrebbe esserlo per chi è a pochi centimetri dal suo primo Slam in carriera, da numero 17 al mondo ai nastri di partenza e a qualche giorno dal suo trentesimo compleanno. Una rincorsa partita dal titolo di Barcellona e proseguita all’ombra della Torre Eiffel con un cammino perfetto, sporcato solamente da un tribolato esordio contro la Kulikova, piegata in rimonta al terzo parziale. Dopo il primo ostacolo superato, la leonessa milanese ha azzannato qualunque avversaria sulla propria strada. Ferguson, Li Na, Kirilenko, appena cinque game concessi alla numero 3 al mondo Wozniacki. E poi anche un pizzico di fortuna che non guasta mai: in semifinale, dopo una prima frazione durissima incamerata al tie-break contro la forte Dementieva, la sua rivale è costretta ad alzare bandiera bianca per un infortunio al polpaccio.
Un traguardo di per sé storico ma non abbastanza per Francesca, protagonista di una partita capolavoro contro Samantha Stosur nell’atto conclusivo del 5 giugno 2010. La Schiavo non si è mai fatta intimidire dalle sportellate di dritto della futura campionessa degli Us Open, spesso e volentieri ammortizzate dal velenoso back complicatissimo da spingere. La partita è però stata vinta in risposta, su quel kick di Sam che specialmente sul rosso risultava un vero e proprio rebus per la maggior parte delle tenniste. Non per Francesca. Invece di indietreggiare, Schiavone ha sempre fatto due passi in avanti anticipando e togliendo tempo e spazio alla Stosur col rovescio a una mano: coefficiente di difficoltà mille. Sempre in avanti, magari a rete, ma mai sui teloni. Così come nel punto che l’ha consacrata regina di Parigi: un balzo in avanti per martellare nel lato sinistro dell’australiana, una diagonale in cui non avrebbe mai potuto reggere a maggior ragione in un momento così importante. Altri due rovesci accompagnati dall’inconfondibile urlo, Sam che si accartoccia sul colpo bimane e scheggia la palla che scompare dall’inquadratura in un fuori campo in stile baseball. E poi quelle immagini scolpite nella memoria di qualunque appassionato. Il lungo bacio alla terra dello Chatrier, i “Grazie Francesca” che si facevano largo sui social, il trofeo ricevuto dalle mani di Mary Pierce e abbracciato, baciato, coccolato.
L’inno cantato con un sorriso smagliante e quel “Sì!” finale sottolineato da uno di quei pugnetti visti a profusione durante i suoi incontri. Con quella incomparabile voglia di lottare su tutto, dentro e fuori dal campo, come nel caso del tumore recentemente sconfitto. Per l’ennesima battaglia vinta, l’ennesimo messaggio di positività a chi è stato abituato a lasciarsi travolgere emotivamente da ogni sua partita e non è stato deluso neppure questa volta. Dieci anni dopo il ricordo di quel Roland Garros è più vivo che mai.