Il formato lungo degli Slam può essere un aiuto per un giocatore che ha bisogno di tempo per rodarsi e tentare giocate particolare. Fabio contro Barrere ha dimostrato di essere in ripresa e chissà che l’amata terra e l’unico major in cui è arrivato nei quarti, senza peraltro poterseli giocare, non lo aiutino a cogliere un grande risultato
C’è del vero in chi afferma che il tennis più affidabile sia quello tre su cinque ritenendolo, a ragione, l’unico in grado di spingere i giocatori a tirare fuori il meglio senza bluffare. Un format sicuramente più indulgente rispetto a quello ridotto del due su tre in cui gli episodi possono spingere facilmente su un crinale senza possibilità di recupero. Nel modello Grande Slam, invece, il match diluito nel tempo concede sempre la possibilità di rimediare a situazioni critiche come di comprometterne altre apparentemente già acquisite. Insomma un tennis, quello alla lunga, che offre tempo e modo per dare fondo alla bottiglia e dire chi dei due, nell’occasione, ha fatto meglio.
Così quando nel sinuoso centrale titolato a Suzanne Lenglen, in apertura Fabio Fognini ha fatto omaggio di un break a Gregoire Barrere, modesto tennista di belle speranze, non è stato lì a strapparsi i capelli ma ha continuato a giocare a braccio sciolto ripagando il francese sul quattro pari con la stessa moneta, per poi sfilargli da sotto il naso un primo set rivelatosi propedeutico a tutto il resto. Un tempo sufficiente a creare una bella sintonia tra mente e braccio che l’ha spinto a un risultato finale ottenuto senza fare una piega.
Ancora una conferma che il tennis sulla lunga distanza sia per lui una condizione ideale, una sorta di zona confort in cui riesce a trovare la giusta amalgama tra corpo e spirito che spesso gli fa difetto nella corta gittata. Cullandosi all’idea che nel tennis dei major ci sia spazio per tutto, il talento ligure può lasciarsi andare più serenamente a bizzarrie di rara fattura come a pigrizie mentali che in mancanza di tempo spesso gli sono fatali.
E stupisce che nei Grandi Slam il massimo ottenuto dall’italiano sia stato un quarto di finale proprio a Parigi ottenuto nel 2011. Per arrivarci, in ottavi aveva annullato ben cinque matchpoint a Montanes prima di affermarsi 11-9 al quinto. Quella volta la lunghezza del match l’aveva fregato, lasciandogli lo strascico di un maledetto infortunio che l’avrebbe costretto, il turno dopo, a non scendere neppure in campo contro un Djokovic in grande spolvero. Un match che sulle ali della fiducia guadagnata nei quattro turni precedenti avrebbe potuto anche riservare sorprese. Pazienza, non lo sapremo mai!
Quel che sappiamo, invece, è che il Fognini visto in questo esordio parigino è sembrato un giocatore in ripresa che senza le ristrettezze del due su tre può dire ancora la sua sul circuito mondiale, fisico permettendo. La terra fa parte del suo habitat e quella di Parigi ha su di lui un effetto speciale. Inoltre l’Italia tutta è lì a sostenerlo riconoscendogli il ruolo di capostipite di quella folta nidiata di figli tennistici cresciuti con il suo poster sulla parete del letto. Il resto passa per un format prediletto che tutto è fuorché uno short game.