Dopo la vittoria in tre set su Alex Molcan, il serbo ha analizzato diverse questioni in conferenza stampa: dai social network alla PTPA

Novak Djokovic è al terzo turno del Roland Garros. Il numero 1 del mondo ha sconfitto in tre set Alex Molcan e si prepara alla sfide con Aljaz Bedene facendo il punto su argomenti di grande attualità.

“In campo mi sono sentito bene – ha detto il serbo ai giornalisti – e sono contento di come ho colpito la palla. Le condizioni di gioco non erano semplici e Molcan è davvero uno specialista di questa superficie. Tutto sta andando nella giusta direzione in questo momento e non vedo l’ora di affrontare la prossima sfida. Devo continuare ad andare avanti e vedere fino a dove posso arrivare”.

Djokovic ha le idee chiare sui social. “Anch’io li uso, ma sta a ciascuno imparare a controllare il tempo che gli si dedica. Ci sono molte cose buone e interessanti che si possono fare o imparare da Internet ma occorre saper distinguere. Oggi fa parte della vita di tutti e non credo sia possibile eliminare i social dalla vita di un tennista. Non credo che vietarne l’accesso sia la soluzione migliore, serve giudizio. I giovani vanno sensibilizzati sull’argomento, devono sentirsi a proprio agio nel condividere. È una sfida. Sono padre di due bambini di 7 e 4 anni e so che questo periodo si avvicina. Io e mia moglie ci abbiamo pensato e non è facile. Dipende anche da dove si vive, da come si vive e dal proprio stile di vita”.

La questione Wimbledon continua ad essere estremamente delicata. “La PTPA continuerà a esistere, anche se molti organi direttivi non vogliono la nostra presenza nell’ecosistema del tennis. La PTPA è l’unica associazione che rappresenta i diritti del 100% dei giocatori. Non siamo al tavolo delle discussioni perché non siamo riconosciuti dai Grandi Slam. Le lamentele, ovviamente, non mancano. Ho parlato con alcuni giocatori, in particolare con quelli che hanno fatto bene l’anno scorso a Wimbledon e con quelli più colpiti. Ho sentito anche il presidente dell’ATP qualche giorno fa e mi ha detto che ci sono state delle conversazioni con la federazione britannica, ma non mi ha voluto dire di più. Dubito che l’ATP cambierà la sua decisione. Ho sempre sostenuto che i professionisti debbano unirsi, mostrando la forza che hanno. Poiché facciamo parte di uno sport individuale, abbiamo anche questo ostacolo. La maggior parte dei giocatori, purtroppo, si preoccupa dei propri interessi piuttosto che di quelli collettivi. È così che nascono i conflitti”.