Le sconfitte offrono sempre chiavi di lettura da tradurre in futuri colpi d’ala. Per il serbo una prestazione che rivela un’integrità tecnica, fisica e mentale di raro spessore

Un terremoto, gli internazionali di Francia appena giunti in porto. Entrando in campo, i due finalisti trainavano al seguito sogni opzionali svolazzanti come coriandoli dietro un’auto in corsa, e distribuiti in parti diseguali nei rispettivi cieli. In quello di Djokovic c’era la voglia matta di un secondo successo sulle ostiche sabbie parigine dopo quello del 2016 riportato ai danni di Andy Murray. Subito dopo, si agitava in lui lo spauracchio dello slam numero 19 da mettere quanto prima segno per ridurre a un tiro di schioppo il gap con i venti già in bacheca dei due scomodi colleghi. Stando così le bocce, uscendo da tunnel che sbocca sullo Chatrier, il serbo strizzava anche l’occhio all’idea del Grande Slam, avendo maturato il diritto ad ambire già a inizio d’anno in terra d’Australia. Insomma, un sacco di roba per fare un altro passo verso l’investitura di tennista più forte di ogni tempo. Calandosi nell’agone, invece, Tsitsipas inseguiva la consacrazione a migliore esponente del nuovo che avanza e, senza perdersi in paure reverenziali, accarezzava l’emozione di intascare il suo primo slam avviandosi gradualmente verso la prima poltrona della Emirates dopo che per lunghi mesi aveva assaporato il primato della Race.

Uno sciame di pensieri che una volta avviate le schermaglie, il greco ha riassunto mettendosi alla testa dei primi due set. Sarà stata la giovinezza, il forte entusiasmo, la tenacia irriducibile! Sarà stata l’adrenalina prodotta in quantità industriale, fatto è che il marcantonio di Atene ha giocato la prima ora e mezza stando in ogni dove, recando a spasso per il campo una buonissima tecnica usata come clava o cesello, secondo l’uso più azzeccato sancito via via dal grande talento. E’ nel terzo che Djokovic ha ristabilito le gerarchie mettendo in atto traiettorie lunghe e corte costruite con assoluta maestria, tanto sfiancanti da svuotare l’acheo di forza e fiducia. E su quel rettangolo di gioco con rete al centro, nei tre set a seguire, il serbo ha gestito il gioco con il controllo emotivo che gli è proprio dando corpo al primo dei ogni. Solo un grande campione può portare a casa partite difficili a ripetizione. A Nole è riuscito dominando via via Musetti, Berrettini e Nadal fino al capolavoro di ieri consumato con doti da fine stratega. Una prestazione, che rivela un’integrità tecnica, fisica e mentale di raro spessore.

Volo su Tsitsipas, per dire che perdere un match avanti di due set, può essere di difficile digestione ma le sconfitte offrono sempre chiavi di lettura da tradurre in futuri colpi d’ala. Io ne avrei individuate un paio su cui avevo già scritto. Mi ripeterò brevemente, dunque, richiamando l’attenzione di papà Apostolos su un uso meno ansioso delle pause. Il bell’acheo si muove tra un punto e l’altro come se stesse perdendo il tram e questa cosa non gli preclude di azzerare completamente il contatore prima del punto successivo. La seconda riguarda il servizio: a Parigi Tsitsipas ha servito 55 ace, che sono un bel bottino e farebbero pensare a un colpo perfetto. Azzardo nel dire che potrebbe servirne molti di più spostando più a destra il lancio di palla. Troverebbe così la massima distensione e soprattutto eviterebbe uno sbilanciamento a sinistra che all’uscita dal colpo compromette l’equilibrio. Quanto ai sogni, l’importante è che non manchino mai. Realizzarli tutti è altra cosa!