Un omaggio ai 40 anni di Federer, campione che va oltre le considerazioni di titoli ed età

“Quando ero giovane / avevo ali forti e instancabili / ma non conoscevo le montagne. / Quando fui vecchio / conobbi le montagne / ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione. / Il genio è saggezza e gioventù”. Eh no, caro Edgar Lee Masters, poeta icastico capace di imprimersi nei nostri cuori, permettimi: qui sbagli. Oggi il Genio, all’anagrafe Roger Federer, compie quarant’anni, entrando definitivamente nella vecchiaia, almeno quella sportiva. E questi versi per lui si rivelano incompleti: il Genio è bellezza senza tempo. I suoi occhi, che percepiscono in anticipo l’arrivo della pallina, volano alto, sui monti dell’eternità. E guidano le sue ali, cioè la sua fatata mano destra, semplicemente magica, saggezza fatta tocco. Presente storico, direbbero i filologi. Presente per sempre.

Ma usciamo dal sentiero di questa metafora, perché i quarant’anni del Re vanno anche oltre la poesia. La sua prosa, fatta di trent’anni di gesti ripetuti ancora e ancora, non solo assurge al rango di alata poesia, ma anche di più: Roger infrange le categorie e non può essere contenuto nei manuali… Nel momento del suo congedo tennistico – ormai arrivato, è evidente a tutti –, proviamo dunque a volare ancora più alto, pur tenendo sempre i piedi ben piantati a terra. Cerchiamo le cose dell’alto, ma in piena fedeltà alla terra, anche oltre il rettangolo verde, rosso o di tanti altri colori in cui Sua Maestà ci ha fatti innamorare.

Nel mezzo del cammin di sua vita, quando ormai non è più giovane, possiamo solo rendere grazie alla vita per avercelo donato. Ma che ci importa del GOAT? Il Direttore un giorno mi diceva: “Ci renderemo conto solo tra qualche anno di cosa è stata l’epoca di Roger, Rafa e Nole”. Verissimo. Ma già in presa quasi diretta, ai titoli di coda, possiamo renderci conto che, dei tre, Roger è stato bellezza senza tempo. Mi assumo l’onere di ciò che dico: uno così non tornerà più. E allora grazie alla vita che ce lo ha donato. Da domani e da dopodomani, quando dirà ufficialmente stop, lui potrà fare quello che vorrà (beato!), noi ricorderemo e scriveremo. Ma ci sono ore nella vita in cui il grazie per la bellezza senza tempo deve prevalere. Bando alle statistiche, ai confronti, alle discussioni: diciamo grazie, qui e ora. Grazie!

E visto che la poesia di Sua Semplicità ci dà il coraggio di contraddire alcuni geni del pensiero, osiamo farlo anche con il nostro amico Qohelet: “Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà. Non c’è davvero niente di nuovo sotto il sole! C’è forse qualcosa di cui si possa dire: ‘Guarda! Questa è una novità!’?”. Nessuno più rifarà su un campo da tennis ciò che Sua Fluidità ha fatto. Magari! E poi quante volte, guardando il Re giocare, nel nostro cuore si è fatto largo il sospiro: “Ma cosa sta facendo? Ma come fa?”. Questo non è forse il soffio di un’infinita, irriproducibile novità? Emozione, semplicemente emozione. Brividi al ricordo. Occhi che volano alto e rendono geniale, per fecondo contagio, il nostro pensiero, le nostre parole.

Oggi non ci è nemmeno chiesto di fare un atto di Federer, perché “la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”, dicono le Scritture. E noi abbiamo visto, eccome! Non c’è stato neppure bisogno di sperare (salvo nei due match point a Church Road di quel maledetto 14 luglio 2019!). Se mai, abbiamo amato. E ameremo. Grazie allora, ancora e sempre grazie alla bellezza senza tempo di Sua Immensità. Qualcuno dice che quarant’anni è l’età in cui si comincia a dubitare della propria immortalità. Forse. Ma Roger rende inutili anche queste disquisizioni. Chi ce lo toglierà dal cuore? La bellezza, sì, quella vera, vince anche la morte.

E allora tanti auguri per i tuoi primi quarant’anni, tennista sceso dal ciel a miracol mostrare. La terra ti ringrazia, e anche noi, nel nostro piccolo. Lo facciamo convocando due altri spiriti alati. Parlando delle età della vita, Nietzsche scriveva: “Gli anni dai quaranta ai cinquanta: misteriosi, come tutto ciò che si arresta; simili a un elevato, vasto altopiano sul quale spiri un vento fresco; sovrastato da un cielo chiaro e senza nubi, che notte e giorno guarda con la stessa soavità: il tempo del raccolto e della più grande serenità del cuore – è l’autunno della vita”. Buon autunno, quando il sole trasfigura le foglie multicolorate. E poi, caro Roger, “non piangere quando tramonta il sole / perché le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle” (Tagore). Nemmeno noi piangiamo. Anzi, con te oggi sorridiamo senza fine contemplando il cielo, in cui la tua stella brilla per sempre, illuminando la nostra terra.