A quattro anni fa risale l’ultima apparizione di Roger Federer al Foro. Anche nel 2019 un’edizione tormentata dalla pioggia, in cui lo svizzero fu costretto al ritiro dopo aver affrontato lo sforzo del doppio turno in un’unica giornata
Dite la verità. A fine torneo romano, chi si ricorda di ciò che avvenne proprio su questi campi giusto quattro anni fa? Era il 16 maggio 2019 e Sua Maestà King Roger vinse due partite in un giorno. La pioggia dei giorni precedenti lo costrinse infatti a un doppio sforzo in poche ore per sconfiggere il portoghese Sousa e il croato Coric. Se pensate stia scherzando, eccone la testimonianza reperibile in rete, completa di un paio di colpi mirabolanti che fecero esplodere il pubblico e sbalordire i telecronisti, nonché urlare me davanti alla TV.
“Federer ferma il tempo ancora una volta”, titolavano. L’indomani invero si ritirò, alle soglie della sfida ai quarti con il giovin Berrettini, perché il fisico (cioè il tempo) presentò il conto. Allora non lo sapevamo, ma fu l’ultima volta di Rog sulla scena di Roma, torneo purtroppo mai vinto. Poi venne la semifinale contro Rafa al Roland Garros, chiosata da uno dei più ispirati incipit giornalistici del Direttore: “Venerdì santo, titola L’Équipe, e ha ragione. Oggi si celebra il rito del tennis, la trentanovesima volta di Federer contro Nadal, nell’occasione semifinale di Parigi, la cosa più sacra che c’è. Adeste, fideles, perché potrebbe essere una delle ultime messe, forse l’ultima, chi lo sa”. Vinse Nadal, ovviamente, nel suo fortino. Ma l’ultima messa sarebbe stata in realtà un mese dopo: semifinale a Church Road, non a caso, con vittoria di Roger. Ultimo Fedal della storia. Quarantesimo, ça va sans dire, numero biblico per eccellenza.
Ed eccoci qui, quattro anni dopo, fradici di nostalgia. In un tempo sportivo che ormai trita eventi su eventi, che moltiplica le partite e allunga i tornei per esigenze di business, consentiteci di fermarci. No, non vogliamo scendere dal carrozzone, sarebbe snob. Vorremmo solo guardare le cose da un altro punto di vista. Quasi a intingere il calamo nell’inchiostro delle Muse tennistiche. Per cantare quanto ci manca Sua Fluidità, quando ormai non se lo fila più nessuno. Per ricordare che, se è vero che “non c’è davvero niente di nuovo sotto il sole”, come canta Qohelet, la nostalgia d’amore è in realtà una melodia sempre nuova.
Questa volta lasciamoci guidare anche da una voce non biblica. Quella della divina Marguerite Yourcenar, che studiò a lungo la vita dell’imperatore Adriano, e poi ne immaginò le memorie (dopo aver perso e ritrovato per una straordinaria casualità le sue carte preparatorie, molti anni dopo la loro prima stesura). E alla fine dell’opera aggiunse un Taccuino di appunti, per rammentare alcune verità essenziali della vita umana, sgorgate dal contatto con quel grande uomo del passato. Annotava, tra l’altro: “Il tempo non c’entra per nulla. Mi ha sempre sorpreso che i miei contemporanei, convinti d’aver conquistato e trasformato lo spazio, ignorino che si può restringere a proprio piacimento la distanza dei secoli”. Figuratevi la distanza di pochi anni. Il tempo non c’entra per nulla: la memoria del tennis di Roger condensa le stagioni in un flusso di coscienza, ora più ora meno ordinato, gioia imprevedibile. Disegna arcobaleni nell’umida primavera romana e colora di iridescenze i nostri ricordi, che si scoprono sempre più collegati alle Sue partite.
Un giorno, sì, mi piacerebbe tanto poter scrivere le memorie del Re, come quelle dei grandi re biblici. Ogni cosa a suo tempo. Oggi è quello della nostalgia. Quasi sempre sorella di una commossa gratitudine.