L’ex tennista e attuale voce di Sky Sport racconta le sue Olimpiadi vissute da giocatrice e capitana di Fed Cup: “Il ritiro a Barcellona? Per me era un sogno esserci arrivata”
Dalla medaglia all’esordio olimpico al rammarico in Corea
L’emozione del podio, il tricolore sulle spalle e l’ultima medaglia italiana in un’Olimpiade targata Raffaella Reggi. A Los Angeles, nel 1984, il tennis ritornava ai Giochi seppur come sport dimostrativo ma in campo si faceva sul serio come testimoniato dall’oro al collo di Steffi Graf, vittoriosa in semifinale proprio sulla faentina. “E’ nella mia camera e la conservo con orgoglio. Vestire la maglia azzurra, alle Olimpiadi o in Fed Cup, per me è stato sempre un grande onore: all’epoca non c’erano gettoni per la presenza, solo un rimborso spese ma a prescindere da questo vivevo le convocazioni con grande voglia”, ha raccontato la Reggi in un’intervista esclusiva al Tennis Italiano. Lei, che di Olimpiadi ne ha vissute ben tre da giocatrice, apre i cassetti della memoria e sottolinea con un sorriso ogni emozione che solamente un’atmosfera magica come quella dell’evento a cinque cerchi può regalare. “A Los Angeles eravamo distaccati dal resto della squadra e l’abbiamo sentita un po’ meno ma a Seul si giocava tutto in un centro sportivo enorme: comprai una bicicletta, che poi lasciai a un bimbo coreano, per muovermi all’interno a livello organizzativo fu un’esperienza fantastica”. I ricordi legati al campo, invece, lasciano un po’ di amaro in bocca nonostante una delle vittorie più belle della carriera, quella contro Chris Evert. “Ricordo che abbracciai Panatta e Cecchini, poi fui prelevata e messa in un camerino 2×1 per un controllo antidoping, il primo e l’ultimo della mia carriera. Ero ancora in abiti da campo, chiesi di cambiarmi almeno la maglia e fui seguita da cinque persone per paura di qualche escamotage. Dopo tre ore e mezza riuscii a tornare al villaggio olimpico”. Un’epopea ben lungi dal terminare che prese una piega ancor peggiore. “Per schivare un gavettone nei festeggiamenti dell’oro dei fratelli Abbagnale scivolai facendomi male: si scusarono ma sul momento non la presi benissimo. Persi contro la mia bestia nera Maleeva ma chissà come sarebbe finita, mi sentivo bene e forse potevo giocarmela per un’altra medaglia”.
Il ritiro a Barcellona ’92 e l’ambiente nel villaggio olimpico
Ed è sempre alle Olimpiadi che Raffaella ha capito di dover dire basta. “Già arrivare ai Giochi del 1992 di Barcellona è stato un sogno. Mi fermai nel ’91 per un’operazione allo sperone calcaneare, ero scesa tanto in classifica ma in pochi mesi riuscii a entrare nel cut-off – dice la Reggi, spiegando le motivazioni che la portarono a una decisione del genere – Ho sempre avuto bisogno di passare tanto tempo in campo e perdere con alcune giocatrici che battevo regolarmente mi portò a riflettere. Nessuno conosceva i miei pensieri, neppure la mia famiglia. Così convocai questa conferenza e chiamai i miei per dire di accendere la tv. Avevo contratti per giocare ancora qualche anno ma ho capito che era arrivato il momento. Chiesi alla Wta di togliermi dalla classifica mondiale perché non volevo vedere il mio nome scendere sempre più in basso“. L’attuale commentatrice di Sky Sport, nella sua Faenza assieme a figlia, compagno, libri e serie tv in questo periodo di ‘riposo’ forzato senza tennis in tv da raccontare, ricorda la bellezza dell’atmosfera olimpica: “Era anche l’occasione per vedere altri sport e farsi un po’ di tifo a vicenda. Con i pallavolisti c’è sempre stato un ottimo rapporto, come nel caso di Andrea Zorzi. Nel villaggio olimpico i tennisti erano visti in modo diverso perché si guadagnava molto di più rispetto ad altri sport ma avevamo la fortuna di avere un personaggio carismatico come Adriano Panatta ad accompagnarci: conosceva tutti, dai medici agli altri capitani. E poi era sempre in prima linea con gli scherzi assieme a Pietro Mennea e Patrizio Oliva. Pensavo sempre che fosse un peccato svolgere i Giochi ogni quattro anni. Fu una bella esperienza pure accompagnare la nazionale da capitana di Fed Cup a Sydney nel 2000: assieme a Bertolucci assistemmo anche a un concerto di Bocelli alla Opera House, l’Australia ha sempre dimostrato di alzare l’asticella di anno in anno come testimoniato dallo Slam a Melbourne“. Il tennis ha rivalutato col tempo l’importanza dell’Olimpiade. “Il calendario prevede tornei ogni settimana e quindi non c’era bisogno di una competizione del genere per mettere di fronte i migliori, che sono impegnati almeno 18-20 settimane all’anno. In molti però sentono il peso della nazionale, mi vengono in mente Nadal, Murray, Djokovic ma anche lo stesso Federer. Non so se si ritornerà a giocare nel 2020 perché il tennis è uno sport che muove molta gente in giro per il mondo e Tokyo 2021 potrebbe essere uno stimolo importante per tutti. Una nuova medaglia italiana? Ci sono buone prospettive soprattutto in campo maschile ma fare un pronostico da ora è molto difficile”.