Rafael Nadal è il primo tennista al mondo a riuscire nell’impresa di occupare la prima posizione mondiale in tre decenni differenti. Le considerazioni e il ricordo personale di Stefano Semeraro
Sembra ieri, sono passati 18 anni. Suona il telefono, dall’altra parte del filo c’è Giorgio Maiozzi, grande amico e fotografo di tennis, appena tornato dalla Junior Davis Cup. «Ho visto giocare un fenomeno – mi dice – è un ragazzino spagnolo, si chiama Rafael Nadal Parera. Segnati il nome, perché diventerà numero 1 del mondo».
Il nome di Rafa circolava fra gli addetti ai lavori già da un paio d’anni, da quando Rafa aveva vinto il Petit As a Tarbes, ma nessuno, nel 2002 – nemmeno Giorgio – gli avrebbe letto nelle linee della mano (rigorosamente la sinistra) un destino del genere. Un’ascesa così veloce.
Da quella telefonata alla prima volta di Nadal da numero 1 del mondo, il 18 agosto del 2008 sono passati appena sei anni. E dodici anni dopo, Rafa è ancora lì: il primo tennista della storia capace di piazzarsi davanti a tutti in tre decenni diversi. ll numero uno Nadal lo ha raggiunto, perso e riguadagnato sette volte, lottando prima con Federer, poi con Djokovic e Murray. Lo hanno dato per spacciato mille volte, è sempre rinato, fregandosene delle previsioni, archiviando un catalogo di malanni da enciclopedia medica. «Fin da ragazzino ho lottato con gli infortuni – mi ha detto a giugno, nell’ultima intervista che gli ho fatto per La Stampa – Quindi ho imparato in fretta a godermi le cose buone della vita e ad accettare con tranquillità quelle cattive».
Un campione straordinario in campo, una grande persona fuori. Uno che ti saluta per primo quando ti incontra per strada, che non ha mai perso contatto con la gente, con la vita di tutti i giorni. Con il Rafa più profondo, più antico, il ragazzino che non spiaccicava una parola di inglese ma sapeva farsi capire benissimo a forza di diritti. «Chi ammiro di più?», mi ha detto salutandomi al Foro dopo l’intervista. «La brava gente. Quelli che aiutano gli altri senza essere famosi». Una risposta che la dice lunga su Rafa e i suoi valori umani.
Che potesse riconquistare il numero 1, vincendo oltre al dodicesimo Roland Garros anche il suo quarto Us Open, a inizio 2019, lo sospettavano in pochi. E nessuno si azzardava a prevederlo a voce alta. A Melbourne, fra meno di tre settimane, può vincere il 20 esimo Slam, che lo traslocherebbe sullo stesso scaffale di quell’altro fenomeno di nome Roger. Sarebbe anche il primo a vincere almeno due volte tutti quattro gli Slam dopo Laver ed Emerson. Alla faccia di chi, un po’ ottusamente, consentitemelo, si ostina a considerarlo un ‘terraiolo’. Nadal, come Federer – e mi illudo, da indegno biografo del Genio, che non ci sia bisogno di ribadire qui la grandezza di Roger… – ormai si è conquistato una dose di immortalità (sportiva) che trascende il tifo, e persino le statistiche.
Da tempo, fra l’altro, ho smesso di chiedermi chi sia il famoso GOAT: ho deciso che non mi interessa, anche se da giornalista, ormai purtroppo vecchio a sufficienza da aver visto giocare Laver dal vivo, ogni tanto mi trovo costretto a discuterne. Non credo però di aver mai visto, in tutta la mia carriera, e in nessun altro sport, un agonista come Rafa. Come tutti, o quasi, gli appassionati, spero che lui, e Federer (e Djokovic, e Murray…) smettano il più tardi possibile. Ma iniziando questa nuova avventura da direttore de Il Tennis Italiano, sotto sotto, mi auguro di trovarne e godermene altri, di fenomeni del genere. Non sarà facile, è vero; oggi forse sembra addirittura impossibile. Ma se qualcuno vuole suggerire un nome, ormai, non deve neppure fare la fatica di telefonare (vero, Giorgio?). Oggi, quasi vent’anni dopo, basta una email.