Come dichiarato in una recente intervista presso La Nacion, le possibilità che Juan Martin del Potro possa tornare a fare il tennista sono bassissime: ecco la sua confessione, tra paure e rimorsi, pensando a ciò che sarebbe potuto essere e non è stato
Juan Martin del Potro sta vivendo un grande dissidio interiore: da un lato, la strenua volontà di tornare a competere come professionista, dall’altro lato una realtà nella quale il ginocchio fa sempre tanto male. E per questo, nel torneo di Buenos Aires dello scorso febbraio, è stato costretto a salutare il tennis in maniera, quasi certamente, definitiva. Perché la verità, come spiegato in una recente intervista a La Nacion, è che non riesce neanche a salire le scale senza dolore. Non a caso, è da quel febbraio che non ha più potuto prendere la racchetta in mano. Ecco la sua confessione, tra paure e rimorsi, pensando a ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.
“L’ultima volta che ho preso la racchetta in mano è stato a Buenos Aires – ha dichiarato il campione 2009 degli US Open -. Più tardi ho fatto un paio di prove, ma no: la verità è che la decisione di giocare a Buenos Aires mi è costata molto. Molto. E una volta che l’ho fatto, e tutti hanno visto in che condizioni mi trovassi, ecco, quello è stato un sollievo, un punto di svolta nella mia vita. In questi tre anni, prima di Buenos Aires, non avevo mai pensato a come potesse essere tornare in campo. Ho sempre affrontato operazioni e fatto tentativi pe tornare, finché ho cominciato a capire che il ritorno era sempre meno possibile. Avevo esaurito le cure, non avevo più possibilità di provare cose nuove. Sono venuto a Buenos Aires, mi sono allenato duramente praticamente su una gamba, prendendo antinfiammatori, e mi sono detto: ‘Cosa devo fare? Butto via tutto questo sforzo o vado a giocare con la possibilità che sia la mia ultima partita?’. Questo mi ha portato a decidere di entrare e giocare. E quando ho finito, la mia sensazione è stata: ‘Se questa è stata l’ultima partita, è stata super emozionante, a casa, con mia madre in campo, con mia sorella, con tutta la mia gente, in Argentina, in un torneo, quello, che avevo giocato una sola volta’. Penso che sia stato tutto spettacolare.Oggi cerco un trattamento per la qualità della vita, non cerco un trattamento per giocare a Paris-Bercy o agli Australian Open. La salute è la mia priorità. Oggi sto vivendo un’altra vita, ho altri obiettivi, cerco medici e cure, ma per poter salire le scale e non aggrapparsi alla ringhiera, che è la mia realtà al momento. Quindi c’è una realtà e un’equazione molto semplice: con una gamba sola non si può giocare a tennis, non è possibile”.
Qual è la sua situazione al momento? “Recentemente sono andato in Svizzera per farmi visitare da un altro medico. Ho iniziato un altro trattamento, mi è stato consigliato da molti tennisti e finora non ho avuto neanche un risultato positivo. Immagina com’è dopo ogni tentativo di trattamento o intervento chirurgico, la frustrazione che posso provare quando le cose non funzionano. Come al solito mi illudo, spero, ho fede in ogni nuovo trattamento che provo e, quando questo fallisce, il colpo è duro. E per tre anni e mezzo, nonostante diversi interventi chirurgici e cure, mi è sempre successo. Ad oggi posso solo camminare, non corro sul tapis roulant, non posso salire le scale senza dolore. Non posso guidare per molto tempo senza fermarmi per sgranchire le gambe. Questa è la mia realtà, che è dura, è triste, ma cerco sempre di migliorare la mia situazione e la mia nuova sfida è anche quella di vivere nella miglior maniera possibile, anche psicologicamente, nonostante il mio problema”.
Dunque, non gli resta che realizzare psicologicamente la realtà delle cose e provare ad abituarsi a una nuova vita al di fuori del tennis. “Non riesco ad accettare psicologicamente una vita senza tennis. Non ho avuto un passaggio graduale al dopo, non mi sono preparato, non ho idea di cosa abbiano fatto gli altri atleti per vivere serenamente questo processo. Ero numero 3 del mondo, poi improvvisamente mi sono rotto in ginocchio ed eccomi qui, senza più nulla. Così, in un secondo. E in tutto questo tempo ho cercato di recuperare, come ho fatto con qualsiasi altro infortunio, finché a Buenos Aires ho detto: ‘Basta’. E da Buenos Aires in poi mi sono trovato, e mi ci trovo tutt’ora, in quel processo di riflessione, mi chiedo quali cose mi potrebbero piacere, non lo so. Quando parlo con altri atleti che non sono più attivi, mi dicono: ‘Beh, ma mi ci sono voluti gli ultimi due anni della mia carriera, l’ultimo anno, mi sono preparato in questo modo o in quel modo.’ Io lo sto facendo ora”.