Luciano Botti, presidente di PTR Italia, fa il punto sull’impegno dell’associazione nello stare al passo coi tempi dribblando le difficoltà degli ultimi dodici mesi. Fra webinar di successo, il supporto alle donne nel tennis e la formazione della “Next Gen” degli insegnanti.
Innovare e innovarsi nel momento del bisogno, ma senza trascurare i punti cardine che 45 anni fa, per mano del compianto Dennis Van der Meer, portarono alla nascita di Professional Tennis Registry, la più grande associazione mondiale di insegnanti di tennis. È la mission portata avanti dalla costola italiana di Ptr anche nei mesi profondamente segnati dalla pandemia, che continua a mettere i bastoni fra le ruote al mondo della racchetta. Gli effetti più tangibili si vedono fra i professionisti, ma in realtà le vere conseguenze stanno in quell’attività di base tanto cara a Ptr, e nel lavoro quotidiano degli insegnanti. In Italia l’associazione si è impegnata per dare un supporto a tutti i soci, attraverso seminari online e altre attività. Ce le descrive Luciano Botti, presidente di Ptr Italia e fra le istituzioni mondiali dell’associazione. Tanto da essere uno dei soli otto membri della Ptr Hall of Fame.
Come si è mossa Ptr Italia per fronteggiare le difficoltà dovute all’emergenza sanitaria?
«Ptr svolge un’attività di assistenza sotto tutti i punti di vista, quindi il nostro team di lavoro è stato vicino ai soci, con contatti giornalieri e grande disponibilità. È uno degli aspetti che ci differenzia da realtà come gli enti di promozione sportiva. Non ci limitiamo a organizzare corsi e dare delle qualifiche: siamo un’associazione vera e propria, con una struttura, una sede operativa e delle figure deputate ad assistere i soci. Anche per questo otteniamo sempre un ottimo riscontro da parte degli insegnanti».
Capitolo corsi. Come siete riusciti a portare avanti l’attività malgrado le restrizioni?
«Già da marzo, quando la situazione non era ancora del tutto chiara, ci siamo attivati per organizzare decine di webinar gratuiti per i nostri soci. Uno sforzo molto apprezzato, che ha toccato vari temi della professione, arrivando a raccogliere anche 500 persone per seminario. In seguito, ci siamo attrezzati per trasferire su una piattaforma online le parti teoriche dei nostri corsi di formazione, dividendo le lezioni in vari moduli da proporre sul web. Così facendo, siamo riusciti a ridurre il più possibile le giornate da trascorrere sul campo per la parte pratica e gli esami. Vale lo stesso per i corsi d’aggiornamento: alcuni sono stati registrati, mentre per altri stiamo valutando come muoverci in base alla situazione».
Nel 2020 è anche nato il progetto Ptr Women: un’iniziativa dal fine nobile.
«L’idea di fondo è addirittura di Billie Jean King, che nel 2016, in occasione del suo inserimento nella Hall of Fame di Ptr, invitò l’associazione a giocare un ruolo più attivo ed efficace nel coinvolgimento delle donne nel mondo del tennis. La stima dice che la percentuale di donne in Ptr, su scala globale, è del 27/28%, e il primo obiettivo è di portarla almeno al 30%. In Italia, invece, siamo attorno al 20%, quindi il lavoro da fare è ancora più importante. Bisogna sensibilizzare l’ambiente verso una maggiore attenzione alle figure femminili in tutti gli ambiti del mondo del tennis, mentre per quanto riguarda l’insegnamento bisogna provare ad attirare nuove figure, alle quali offrire un supporto concreto e un percorso formativo che possa aiutarle ad affermarsi in questo mondo. Perciò, all’interno di Ptr Italia abbiamo creato un comitato femminile e costruito una scaletta di appuntamenti. L’obiettivo è rendere Ptr Women un servizio sempre più strutturato, presente ed efficace».
Proprio come per il nuovo programma Ptr Next Gen Coach.
«Esatto. L’abbiamo pensato per i giovani dai 17 ai 22 anni, per aiutarli a inserirsi gradualmente nel mondo dell’insegnamento. Ptr mette a loro disposizione una borsa di studio per coprire gran parte dei costi di iniziazione, e lavora con l’obiettivo di educarli verso quella che sarà la professione vera e propria. Per un ragazzo di vent’anni l’attività può sembrare facile e redditizia: guadagna soldi stando sul campo da tennis, senza fare troppa fatica, non si occupa degli aspetti fiscali e non pensa troppo al futuro. Ma poi col tempo ci si accorge di varie problematiche, per le quali è meglio essere preparati in anticipo. L’obiettivo del progetto è proprio questo: aiutare i giovani a capire se è davvero questa la strada che vogliono percorrere per il loro futuro, oppure se è meglio che si dedichino principalmente ad altro, pur affrontando il percorso dell’insegnamento come attività secondaria».
Seppur con varie limitazioni, in Italia il tennis sta andando avanti. Come giudica la situazione?
«La Federazione e gli enti di promozione sportiva si sono dati molto da fare per poter garantire almeno gli allenamenti agli atleti tesserati, imponendo loro di essere iscritti a una competizione. Tenendo in considerazione che dal punto di vista sanitario il tennis è lo sport più sicuro, l’escamotage ha una sua logica, perché permette alle realtà di sopravvivere e agli atleti di fare attività. La situazione è molto variegata e non tutte le realtà sono uguali, quindi se per qualcuno può essere un bene aprire anche per pochi agonisti, per altri non è così. Ma in generale, fra chi si attiene scrupolosamente alle direttive e chi meno, quasi tutti i maestri stanno lavorando. Accontentiamoci di questa soluzione a metà e andiamo avanti».
Ritiene che nei ristori governativi la categoria degli insegnanti abbia ricevuto la considerazione che merita?
«Non possiamo lamentarci troppo. Gli insegnanti che lavorano con un rapporto di collaborazione sportiva (la soluzione utilizzata in più del 70% dei casi, ndr) hanno avuto 600 euro per i mesi di marzo, aprile e maggio, e poi automaticamente 800 per novembre e dicembre. Mentre i maestri con partita IVA sono rientrati nel fondo destinato ai liberi professionisti. Ed è stato istituito anche un contribuito a fondo perduto per le associazioni sportive, erogato in base a vari criteri diversi. Insomma, non si può negare che sia stata e sia ancora una situazione difficile per tutti. Ma ci sono categorie che stanno peggio di noi».
Al termine del lockdown primaverile c’era stato un boom del tennis. Si ripeterà in occasione di un nuovo via libera?
«La crescita di entusiasmo nei confronti del tennis è iniziata già da un paio d’anni, e certamente l’arrivo delle Atp Finals a Torino e gli ottimi risultati dei nostri giovani hanno contribuito in maniera determinante. Senza pandemia il 2021 sarebbe stato un anno esplosivo, ma potrebbe ancora diventarlo. Quando la gente potrà di nuovo uscire liberamente avrà ancora più voglia di giocare rispetto a prima. In più, ho notizie di tanti maestri che, anche grazie allo stop totale imposto ad altri sport, si trovano ad avere a che fare con numeri in crescita. È questo che gli permette di andare avanti, malgrado tutte le limitazioni del caso».
Una trentina di circoli della Lombardia ha presentato un ricorso al Tar del Lazio sulla questione dei campi coperti, dove è permesso giocare solo ai tesserati agonisti. Cosa ne pensa?
«Questo aspetto del DPCM non mi sembra molto logico, così come la scelta di equiparare dei campi da tennis a dei locali al chiuso. Che rischio corrono due o quattro persone che giocano a tennis in uno spazio tanto ampio? Non c’è contatto fisico, e le distanze sono enormi. Come ripetiamo da mesi, giocare a tennis è molto più sicuro che prendere i mezzi pubblici, andare al supermercato o al ristorante. Quindi il ricorso (che verrà discusso il prossimo 27 gennaio, ndr) ha basi fondate».
Se dovesse essere rigettato, vede altre soluzioni?
«Mi viene in mente l’iniziativa di Pepe Rigamonti, maestro che si occupa anche di formazione per Ptr, che ha trovato una soluzione interessante. La scuola tennis come la intendiamo noi è ferma perché viene inquadrata come attività sportiva, mentre l’attività ludica è permessa anche al coperto. Quindi, per provare a portare avanti il proprio lavoro, Pepe ha presentato all’assessorato allo sport del suo comune (Albavilla, provincia di Como) un progetto ludico-sportivo da lui ideato. L’ha costruito ex novo per la situazione, in forma diversa rispetto a una tradizionale scuola tennis e attendendosi a tutte le disposizioni in vigore. Ha ricevuto da parte del Comune l’approvazione per poterlo svolgere con i propri allievi».
Le restrizioni del 2020 ci hanno consegnato un Ptr più orientato verso i seminari sul web. È una soluzione che proseguirà anche in futuro?
«Era inevitabile che prima o poi questo passaggio avvenisse, perché oggi esistono tecnologie di facile utilizzo. Ricordo i tempi delle prime videoconferenze con gli Stati Uniti: fare un lavoro di un certo tipo ci costava migliaia di dollari, mentre oggi certi strumenti sono alla portata di tutti, quindi è una direzione che sicuramente continueremo a seguire. Tuttavia, un certo tipo di attività deve restare in presenza, perché per esaminare un candidato è necessario vederlo, e anche per tanti altri corsi sarebbe comunque bello mantenere un contatto personale e sociale. Di persona è più facile confrontarsi e instaurare un rapporto umano con gli insegnanti di riferimento. Un aspetto che come Ptr riteniamo fondamentale».