Allen Fox, ex giocatore degli anni 60 e 70, spiega che i tennisti hanno alcune caratteristiche comuni rispetto a tutti gli altri. Si riassume tutto in un termine: paranoia. 
Rafael Nadal sembra spesso ingabbiato nei suoi rituali

Di Allen Fox (*) – 3 dicembre 2013

 
Quando stavo lavorando al mio primo libro, "If I'm The Better Player, Why Can't I Win?" (“Se sono il giocatore migliore, perché non posso vincere?”), ho cercato di capire in cosa differiscono i campioni dalla gente comune (oltre ad essere superiori sul piano fisico). Per rispondere alla domanda, ho effettuato test di personalità a 26 tennisti di alto livello in classifica mondiale. Il test si chiamava “Cattel 16 PF” e, con 180 domande, ha misurato una serie di fattori di personalità. Ognuno era stabilito secondo un dualismo, come sospettoso vs. fiducioso, dominante vs. sottomesso, ansioso vs. calmo. I giocatori non avevano affatto la stessa mentalità, ma sono emerse alcune caratteristiche comuni che, nel complesso, mostravano differenze statistiche rispetto alla media. I tennisti tendono ad essere più sospettosi, ansiosi, competitivi, dominanti e intelligenti. Anche se non ho testato John McEnroe e Jimmy Connors, anche loro si inseriscono piuttosto bene in questo profilo. Sono entrambi brillanti, fanno in fretta ad entrare in competizione e sono piuttosto ansiosi, avendo difficoltà a guardarti negli occhi durante le conversazioni. Questo non significa che tutti i giocatori testati fossero sospettosi, intelligenti, ansiosi o dominanti. Alcuni sono risultati rilassati, meno intelligenti o addirittura sottomessi. Le mie affermazioni si basano sulla media del gruppo rispetto alla norma. La caratteristica che spicca sulle altre è il sospetto. Un numero considerevole di essi tendeva a guardare le altre persone come potenziali antagonisti. In generale, questo tipo di risultati, insieme ad elevati punteggi di ansia, svelano relazioni personali piuttosto difficili. Come mai caratteristiche come ansia, antagonismo e sospetto sono utili per un giocatore di tennis? Perché una persona ansiosa è molto motivata ad allenarsi e lavorare per migliorare. I piccoli problemi agitano il loro sistema nervoso e fanno scattare campanelli d’allarme per stimolare l’azione.
 
Il sospetto può essere utile anche nel tennis competitivo. Le persono sospettose pensano che gli altri stiano dando il meglio e abbiano tutta l’intenzione di fare loro un torto. In una situazione ambigua, pensano sempre che l’altro abbia cattive intenzioni. Guardano gli altri come antagonisti piuttosto che come alleati, e sono pronti a prendere misure per proteggersi. Sono felici di avere a che fare con persone che sentono di avere torto. Sul campo da tennis è utile perché questo tipo di persona non darà mai al ‘nemico’ la soddisfazione di vincere. Dopo due o tre ore di battaglia sotto un sole cocente, la persona normale può domandarsi se valga davvero la pena vincere, se la vittoria valga lo sforzo. Le persone che hanno scelto gli avversari come "nemici" hanno una motivazione in più e non possono sopportare vederli vincere. La faccenda diventa personale, allora fanno quel che serve per vincere. E se perdono, pensano subito alla vendetta. Per esempio, si allenano ancora di più per evitare altre sconfitte. Perdere con i propri nemici è troppo doloroso per essere accettato con serenità. Ho visto questi tratti da molto vicino, visto che anch’io ne possiedo alcuni. Ad esempio, una sera di tanti anni fa, il mio amico ed ex compagno di doppio, Larry Nagler, e sua moglie Jackie, invitarono a cena me e mia moglie. Larry aveva un tavolo di biliardo, e dopo cena mi ha assillato con un gioco. Si era allenato parecchio, quindi era piuttosto bravo. Io non avevo mai giocato, quindi ero piuttosto scarso. Il biliardo è un gioco difficile. Se non colpisci perfettamente la palla, è molto difficile controllarla. I tiri dalla distanza sono quasi impossibili per i novizi e le uniche palle che puoi colpire con efficacia sono quelle vicino alle buche. Essendo ancora più competitivo di me, Larry si stava divertendo un mucchio. Mi ha battuto nettamente, il tutto mentre rideva e mi prendeva in giro. Come si può immaginare, non mi piace competere quando sono totalmente fuori dal mio ambiente. Mi sento impotente. Alla fine, avevo un nodo allo stomaco e iniziai a meditare vendetta. In quel periodo non potevo giocare a tennis a causa di un infortunio alla spalla, quindi avevo bisogno di un progetto. Qualcosa su cui lavorare. Accadde che in fondo alla via dove abitavo c’era una sala biliardi. Ogni giorno, dopo il lavoro, mi sono fermato e ho trascorso due ore ad allenarmi, in totale incognito. Ho comprato un libro di Mosconi, fortissimo interprete del gioco, e ho imparato la tecnica. Ero concentrato e diligente. Dopo tre mesi, ero diventato un discreto giocatore. Avrei potuto colpire quattro o cinque palle di fila, ed ero in grado di giocare qualsiasi colpo di media difficoltà. Forse Larry era ancora più forte di me, ma mi sentivo pronto per la rivincita. E per un agguato.
 
Un’altra cena di famiglia era prevista a casa Nagler, dopodichè ho suggerito una piccola partita a biliardo. Per rendere la cosa più interessante, gli ho chiesto di scommetterci qualche dollaro. Si disse d’accordo, con una risatina e lo sguardo di chi si sente superiore. Ma quando vinsi, non ridacchiava più. Mi diede un vantaggio inferiore e vinsi di nuovo. Adesso ero io a ridere, e lui si stava infervorando (Larry non è mai stato un buon perdente). Giocammo una terza partita con un handicap ancora inferiore, vinsi di nuovo e mostrai un sorriso deliberatamente progettato. A quel punto, Larry non ne poteva di più. Ho smesso e ho preteso il pagamento immediato. Le nostre mogli ci guardavano increduli: Larry, cercando di controllarsi, disse che sarebbe stato felice di pagare, ma prima avrei dovuto combattere con lui sul pavimento del soggiorno (un po’ immaturo per un avvocato di 30 anni, non credete?). Naturalmente, se incanalata correttamente, questo tipo di aggressività fornisce un enorme vantaggio competitivo, e a lui non piace perdere le cause di lavoro esattamente come odia perdere le gare sportive. Tra l’altro, aveva vinto i campionati NCAA di tennis e aveva militato nel team di basket UCLA, allenato dal leggendario John Wooden. Questo stesso tipo di personalità è stato trovato dagli scienziati in altri gruppi di persone. Ad esempio, i dottori Rosenman e Friedman, nel loro lavoro sulla relazione tra temeperamento e malattie di cuore, hanno descritto la personalità di “Tipo A”, praticamente identica a quella che avevo trovato in tanti tennisti. Gli individui di Tipo A sono aggressivi, ansiosi, vivono in funzione degli obiettivi, hanno difficoltà a rilassarsi e hanno un livello di aggressività verso gli altri pronto ad emergere da sotto alla superficie (il profilo ricorda un po’ Connors e McEnroe). E’ interessante notare che questa tipologia di persone è piuttosto frequente tra i dirigenti di successo. Sembra che simili tipi di persone tendano ad avere successo sia nel business che nello sport. Parlavo di queste cose con Richard Riordan (prima che diventasse sindaco di Los Angeles), avvocato, imprenditore di successo, investitore illuminato. Gli ho chiesto se poteva individuare un tratto comune tra i principali dirigenti aziendali. Rispose senza esitare: “Paraonoia”. Dice che questo li tiene attenti, concentrati, sempre un passo avanti rispetto alla concorrenza. Andrew Grove, ex CEO di Intel, era d’accordo. “Solo i paranoici sopravvivono”. A quanto pare, una certa misura di paranoia può essere utile per il raggiungimento di certi traguardi, sia nel tennis che in altri campi. Ma ovviamente è una questione di grado, non può essere così sana nella vita personale. Averne troppa può portare i “colletti bianchi” a competere contro chi, di bianco, ha soltanto i pantaloncini. 

(*) Allen Fox, 74 anni, è stato un ottimo giocatore negli anni 60, raggiungendo i quarti a Wimbledon nel 1965 e per due volte gli ottavi ai Campionati degli Stati Uniti. Dopo il ritiro, si è dedicato all'attività di coach a livello college presso la Pepperdine University. Il suo allievo più noto è stato Brad Gilbert, ma ha seguito anche Martin Laurendeau, attuale capitano della Davis canadese. Si è poi dedicato all'attività di scrittore: ha realizzato tre libri e diverse pubblicazioni.