All’indomani della sconfitta della Errani con Kiki Bertens, ecco l’appassionata, ma lucida difesa di coach Lozano. «Il ‘vaffanculo’? Non la giudico, è la grinta che viene fuori»
Il giorno dopo, rientrato a Valencia da Parigi, Pablo Lozano, l’allenatore di Sara Errani è un fiume in piena. Non gli è andata giù la gogna social a cui Sara è stata esposta dopo la sconfitta contro Kiki Bertens. Di una partita in cui ha sfiorato il successo contro la numero 8 del mondo, lottando per tre ore e arrivando a un punto dalla vittoria, alla fine rimangono solo i balbettamenti al servizio e la rabbia all’uscita del campo.
«Quello che non accetto», spiega a Tennis Italiano, «è che come al solito tutta la luce sia messa sempre lì, sul servizio, come se fosse l’unica cosa che conta, come se dietro non ci fosse tanto lavoro su tanti aspetti del gioco. Io accetto tutto, mi vanno bene le critiche, anzi mi prendo volentieri la responsabilità di quello che non funziona nel gioco di Sara. Capisco la logica dei giornali e dei media, non la contesto. Però vorrei anche parlare di tennis, con chi ha competenza per farlo. Perché ad esempio nessuno mi ha chiesto della risposta di Sara, di come è stata competitiva per tre ore con una giocatrice così forte?».
La questione del servizio ha radici lontane. «Risale alla prima volta che Sara fece terzo turno agli Australian Open. Era giovanissima, entrava per la prima volta fra le prime 100, si aspettava, magari ingenuamente, qualche apprezzamento. Invece in conferenza stampa le chiesero: ‘ma come fai a battere giocatrici così forti con un servizio così scarso’?’. Per carità, non voleva che la esaltassero, ma ci è rimasta male».
Poi il problema si è incarognito. «Ma la verità è che Sara non ha mai avuto un servizio così malvagio. Certo, non è alta due metri, non può servire come la Kvitova. Piacerebbe anche a me, ma non è così: dobbiamo fare con quello che abbiamo. Ma per anni è stata numero uno come percentuale di servizio. Sara ha un servizio normale, funzionale al suo gioco, ma la gente fatica a capire che io non posso concentrami solo su un aspetto del suo tennis, ma devo guardare al ‘pacchetto’. Anche se sul servizio abbiamo lavorato, eccome. Io però sono pagato per vincere, se non vinco non guadagno, e Sara in campo va per provare a vincere, non per farsi fare i complimenti. Se non avesse avuto un pacchetto all’altezza, come credete che sarebbe arrivata al numero 5 del mondo, avrebbe vinto 9 tornei, giocato due volte le Wta Finals?….»
A Parigi, dopo quattro match, tre di qualificazione, e il primo turno, in cui aveva funzionato abbastanza bene, però il movimento si è inceppato. Non per questioni tecniche. «Era una partita molto importante, di quelli che ti possono cambiare le cose – spiega Lozano – e Sara ha sofferto la tensione. E’ naturale: se a voi dicessero che vi basta mettere una palla in gioco per vincere un milione di euro, non vi tremerebbe la mano? A Sara non sono i soldi che interessano, ma tornare ad essere competitiva, a giocare a buon livello. E soprattutto a divertirsi, dopo un lungo periodo in cui tante cose le avevano tolto un po’ la voglia e l’entusiasmo. Una avversaria importante, un grande palcoscenico, era un match che voleva fortissimamente vincere. Il problema al servizio c’è stato, ma era una questione mentale, quando vincerà qualche match in più e il ranking si stabilizzerà anche quell’aspetto andrà a posto».
Davanti all’infortunio della Bertens Sara ha reagito d’istinto, esagerando in qualche occasione, e lasciandosi andare a qualche espressione colorita uscendo dal campo. Che puntualmente i microfoni hanno registrato. «Sara è una lottatrice, una fighter, con lei andrei fino alla fine del mondo, e come me la pensano tanti sul tour. In campo capita che ci si scontri, è successo in passato con altre, con la Cornet, poi due giorni e tutto passa, ci si rispetta. Io la Bertens la rispetto, sicuramente qualcosa al piede aveva, a Sara ha dato fastidio che si lamentasse e poi ricominciasse a correre, ma non è un problema. Neanche il ‘vaffanculo’: io non la giudico. Non giudico nessuno, neanche i giornalisti che la attaccano, figuriamoci se giudico lei. Per me è stato un buon segno, vuol dire che è tornata la Sara che conosco, con la grinta e la voglia di battersi fino all’ultimo, di lasciare la vita in campo».
Fra l’altro i progressi sono innegabili, e la quasi vittoria con la numero 8 del mondo lo testimonia. Il tempo di stop per la pandemia è stato sfruttato bene. «Non abbiamo fatto cose particolari, continuiamo ad allenarci all’accademia Lozano-Altur, più o meno con lo stesso team, io e David Andres come preparatore atletico che segue anche un po’ il lato mentale, poi si sono aggiunti Ivan Osi, lo psicologo con cui Sara lavora ogni tanto e che in passato ha seguito anche Flavia Pennetta, e Alice Savoretti. Quello che serve a Sara è un po’ di tempo, di pazienza. E che si parli del suo tennis, non sempre del doping o del servizio che non funziona. La strada che abbiamo imboccato dopo il lockdown è buonissima, ha giocato tante partite sotto stress perché con il suo passato è inevitabile che abbia i riflettori puntati contro. Di partite con la numero 150 ne perderà ancora, ma non c’è problema, va bene così, fa parte del percorso. Non ci siamo posti un obiettivo, un torneo o un posto in classifica. Non è perché sara ha vinto in passato che ha perso la voglia di competere, di vincere. L’obiettivo è tornare ad essere competitiva, e mi sembra che la partita con la Bertens abbia dimostrato che non siamo lontani. E soprattutto vuole tornare a giocare per il gusto, il piacere di farlo».