Dai Giochi di Tokyo in avanti Novak Djokovic non è stato più l’ «imbattibile» che conoscevamo. Col senno di poi, la decisione di partecipare alle Olimpiadi è stata sbagliata: ha voluto troppo, e ne sta ancora pagando le conseguenze. In mezzo anche la separazione con lo storico coach Marian Vajda, che gli aveva sconsigliato di andare in Giappone per concentrarsi sullo Us Open

Vajda non era d’accordo: aveva ragione lui

Le Olimpiadi, vinte o fallite, hanno rappresentato lo spartiacque nella carriera di tantissimi sportivi, ma è raro che possano influenzare il percorso dei più forti giocatori di tennis, abituati a guardare in particolare ai tornei del Grande Slam e a dare ai Giochi un peso relativo. Eppure, cronologia dei fatti alla mano, la rassegna di Tokyo 2020 pare aver segnato eccome il percorso di Novak Djokovic, che dal fallimento a Cinque Cerchi non è stato più lo stesso. Dalla possibilità di vincere due ori per il suo paese, nel singolare e nel misto con Nina Stojanovic, l’allora numero uno del mondo chiuse con tre sconfitte di fila (più un forfait dalla finalina del misto) e tornò a casa a mani vuote e con tanta rabbia, e proprio da lì è iniziato il suo periodo nero, con un solo titolo vinto negli ultimi otto mesi. Prima ha fallito allo Us Open un Grande Slam che pareva cosa fatta, crollando psicologicamente nella finale contro Medvedev; poi ha mancato il successo alle ATP Finals e non è riuscito a trascinare la Serbia al titolo in Coppa Davis; e quindi è finito alla gogna per la questione Australian Open, che col tennis c’entra poco ma ha infiammato ulteriormente una ferita ancora aperta da New York. In più, da un’intervista del suo ex coach Marian Vajda, si è scoperto che è stata proprio una divergenza di vedute sulla partecipazione ai Giochi a creare la spaccatura, tramutata in una separazione (consensuale) avvenuta già da mesi, ma ufficializzata soltanto a metà settimana.

Vajda ha rivelato di essersi espresso contrariamente all’idea del suo assistito di partecipare ai Giochi, così da conservare maggiori chance di completare il grande Slam a Flushing Meadows, e avere più tempo per prepararsi a dovere. Ma il patriottismo sfrenato di Nole, unito al desiderio di prendersi quell’oro che rappresenta l’unico grande titolo ancora assente nella sua bacheca (e avrebbe potuto rendere Golden un ipotetico Grande Slam), l’ha spinto a esagerare. Ha voluto tutto, troppo, e ha finito con niente in mano. Secondo Vajda, alle Olimpiadi Djokovic ha lasciato troppe energie, e ne ha pagato le conseguenze a New York. Un ragionamento che regge soprattutto dal punto di vista psicologico: in una mente programmata per vincere come quella di Djokovic, la delusione olimpica ha lasciato strascichi sotto forma di dubbi e debolezze, affiorate tutte insieme quando anche lui – una volta tanto – si è trovato a fare i conti col peso della storia. Magari avrebbe perso contro Medvedev anche con l’Oro Olimpico in tasca, magari no. Non lo sapremo mai. Ma che da Tokyo in poi qualcosa si sia rotto è un dato di fatto, avvalorato dall’addio al coach che l’ha accompagnato dai 19 anni in poi, quando dopo la separazione con Riccardo Piatti il serbo trovò nell’ex tennista slovacco (numero 34 del mondo nel 1987) la figura ideale per le sue ambizioni.

Seconda separazione dopo il 2017, ma stavolta è diverso

I più attenti ricorderanno che già nel 2017 Djokovic aveva deciso di separare il suo cammino da quello del coach slovacco, in uno dei periodi più bui della sua carriera. Dopo il torneo di Montecarlo optò per una terapia d’urto licenziando l’intero team tranne il “guru” Pepe Imaz, per affidarsi ad Andre Agassi e Radek Stepanek. Ma la scelta si rivelò tutt’altro che soddisfacente, fino al dietrofront di meno di dodici mesi più tardi. Dopo averci pensato a lungo, Novak si cosparse il capo di cenere e richiamo Vajda, che accettò seppur con un impiego più saltuario, e da lì è ripartita la sua carriera, con altri otto titoli Slam e un dominio ancora più marcato che in precedenza. Stavolta, invece, l’allontanamento pare definitivo e la separazione è maturata già dopo New York, anche se Djokovic ha voluto comunque con sé Vajda alle ATP Finals di Torino, così da risolvere l’accordo a quattr’occhi e non telefonicamente. Tuttavia, si tratta di uno scenario molto diverso rispetto a cinque anni fa: allora lo slovacco era la sua unica guida e il rapporto era più stretto, mentre ora c’è anche Goran Ivanisevic, inserito nel team già da tempo e spesso più presente di Vajda, fino a guadagnarsi la promozione a coach a tempo pieno. E poi il team non cambia: ci sono ancora sia il preparatore atletico Marco Panichi sia il fisioterapista argentino Ulises Badio, quindi la continuità è garantita. Cambia appena la guida tecnica, o per essere ancora più precisi ne rimane una sola.

Col senno di poi, si può dire che il saggio Marian aveva ragione. Il nostro Jannik Sinner, per fare un esempio, è stato molto criticato per la scelta di rinunciare ai Giochi Olimpici, ma il suo ottimo finale di stagione (con l’ingresso fra i primi 10 del mondo) ha detto che conservare energie per altri appuntamenti non è stata una cattiva idea. Djokovic invece ha voluto fare di testa sua: ha esagerato, ne ha pagato le conseguenze e a mesi di distanza sta ancora provando a risollevarsi, dribblando le restrizioni dei vari paesi per provare a portare avanti la sua carriera anche da non vaccinato. In questo senso, un’ottima arriva dalla decisione del primo ministro francese Jean Castex di eliminare il pass vaccinale in Francia, a partire dal 14 marzo. Vuol dire che per il campione di Belgrado si riapre la possibilità di giocare sia il Masters 1000 di Monte Carlo (il Country Club si trova in territorio francese) sia di partecipare al Roland Garros. Ne deriva che Djokovic potrà dimenticarsi la questione vaccino almeno fino all’estate americana, perché con le norme attuali potrebbe disputare per intero la stagione europea, partendo da Monte Carlo per poi scendere in campo anche a Madrid, Roma, Parigi e Wimbledon. È lì che proverà a riprendersi il numero uno che Medvedev gli ha appena scippato e ad agguantare Nadal a quota 21 Slam, ma soprattutto a chiudere i conti con i mesi passati e dimostrare che il più forte di tutti rimane lui. Con o senza Vajda in panchina.