Spy story a Forest Hill – Alla ricerca del segno!

Niente di losco, ma quel viaggio negli States una mira ce l’aveva ed era ben chiara: andare a New York in perfetto anonimato e immortalare la scena del misfatto. Così, quando nei tardi anni settanta varcavo la soglia del West Side Tennis Club di Forest Hill, pur calato perfettamente nella parte, pensai di aver suscitato ombre di sospetto non appena l’addetto alla reception si rivelò gentilmente formale ma piuttosto categorico: ” Sir, no camera, please”! ‘Al diavolo’, pensai, qualcosa è andato storto, mi hanno fatto tana e tutto questo viaggio non e servito a niente!’ . Quindi azzardavo uno straccio di replica ma non c’era stato verso: il tizio era stato irremovibile e la mia sfavillante Nikon FE 94200 da finto fotografo tornava malinconica tra le fauci di una comoda tracolla. Il prestigioso circolo, frequentato dall’ala snobbish della Grande Mela, per almeno un secolo aveva cullato la versione erbivora degli US Open e nel ’75 aveva concordato una trilogia terraiola dello stesso slam, del tutto provvisoria e in attesa di sviluppi. Un interregno che aveva riscosso il plauso di Corrado Barazzutti, detto Soldatino, 23 anni eroe del nostro tennis per la vittoria in Coppa Davis e per altri titoli di grande spessore. Un tennista che di quella superficie aveva fatto da sempre il suo habitat naturale e quella statunitense, seppure verde era comunque terra! E proprio su quei campi, l’anno prima, si era svolto il fattaccio I fatti erano ormai noti a tutti. Camminando sulle acque, in quella benedetta edizione del ’77, il nostro portabandiera aveva messo in fila Bill Scanlon e Nastase, Edmonson e Buch Walts, fino a rifilare tre set a zero nientemeno che a un Brian Gottfried in grande spolvero prima di gettarsi una semifinale con Jimmy Connors, detto Jimbo, americano dell’Illinois, mancino di grande talento, primo al mondo, animato da un’indole più pungente di un filo spinato. La vetrina non poteva che essere che il glorioso centrale e una volta nella lotta, l’americano aveva strappato al friulano primo e secondo set a fatica intascando con abilità il favore della folla. Nel terzo, Soldatino si era adoperato in un gioco di sbarramento nel quale era diventato difficile fare breccia, anche per il tennista di Belleville. Perfettamente in partita, Corrado si era issato a 4-3 del terzo allorché l’inesauribile Jimbo metteva un rovescio lungo linea appena fuori di un dito. Di fronte al silenzio dell’arbitro Corrado non solo pensò di lamentarsi ma anche di segnare in terra, con la sua Slatzenger di pregiato palissandro, il frutto inequivocabile della mancata chiamata. Alle proteste dell’italiano, il giudice fece orecchio da mercante e traccheggiò al punto da consentire a Connors un’invasione di campo da provetto guastatore e di cancellare col piede ogni traccia della sacrosanta rivendicazione . “Andava squalificato”, ripeterà più volte Corrado nell’arco degli anni. Il giudice invece non trovò di meglio che salvare la faccia ma non i contenuti limitandosi al solito luogo comune: “Signor Connors lei non può fare questo”! Inutile dire che anche quel terzo finì per cadere in mani sbagliate. Così, con le immagini più volte passate al rallentatore e ben stampate in memoria, l’anno dopo avevo pensato di togliermi lo sfizio di capirci meglio volando a New York per un’indagine tutta mia, una sorta di ‘Sherlock Holmes alla ricerca del segno’. Così, giungendo sul luogo degli accadimenti se di primo acchito mi erano state precluse le immagini, in cambio avevo ottenuto di girovagare per il West Side Tennis Club in completa libertà. Consegna che per un po’ applicai alla lettera. Almeno fino a quando, una volta nel grande centrale, ero stato preso dall’irrefrenabile smania di avvicinarmi alla porzione destra del campo. Nel punto esatto in cui, dalle immagini in mio possesso, il famigerato rovescio di Connors doveva essere atterrato e prontamente cerchiato dal furibondo Barazza. Occhi fissi a quel tratto di linea avevo finito per suscitare la curiosità di un addetto alla manutenzione, il quale, vedendomi così conciato, cercava maggiori lumi circa la mia condizione mentale. “ Hi, Sir, may I help you?”. Colto di sorpresa mi ero girato sfarfugliando la prima cosa a caso: “ oh yes…”, buttavo lì un po’ in confusione, “…cercavo quel segno….”. A quelle parole, il manutentore prendeva a scrutarmi ancora meglio aggrottando ulteriormente la fronte, “Si, insomma… “, provai a chiarire, “…la discussione tra Connors e Barazzutti di un anno fa..”! “ Ricordo la discussione ma non di certo il segno..” rispose il buon uomo, “..e da allora ho tirato il tappeto su questo campo per almeno un migliaio di volte!”. Ancora non convinto, gettai una nuova occhiata alla ricerca del segno ma niente. Poi rivolto ancora al tipo dall’aria bonaria andai gentilmente al sodo: “Senta… posso fare una foto alla riga?”.

L’uomo si guardò furtivamente intorno e con aria ormai da complice replicava sottovoce: “ E sia, ma faccia in fretta”! Le foto divennero presto due, poi tre. Ringraziai con gratitudine e quando feci per guadagnare l’uscita il mio palo tornò a seguirmi da lontano cercando di capire se tutto fosse in ordine. “ Le è piaciuto?” mi avrebbe chiesto sulla soglia il solerte receptionist. “ Mi dispiace per le foto..” aggiungeva assai impettito “.. ma queste sono le disposizioni”. . “ O beh…don’t warry..” avevo replicato con aria innocente, “ …terrò tutto a mente!”. Un viaggio, quello nella Grande Mela, che tuttavia mi offriva la classica cattura di due piccioni con una sola fava. Il primo l’avevo catturato a Forest Hill con la complicità di un’anima buona. Il sec volatile invece l’avrei preso l’indomani visitando Flushing Meadows, complesso a un’oretta da Manhattan, nuova sede degli US Open. E se il giorno prima era stato un susseguirsi di emozioni, quella spianata di rettangoli verde sbiadito costruiti all’ombra di un gigantesco mappamondo simbolo dell’expò neworkese del ’64 non suscitò che qualche sensazione, nulla di più che qualche riflessione. Tutt’intorno, l’odore acre degli hot dogs misti a senape faceva pendant con un pubblico fracassone superato soltanto dall’assordante andirivieni di superjet a spasso per le piste del Fiorello La Guardia.

Col tempo ci avrei fatto il callo e molte cose avrebbero trasformato quella prima struttura in qualcosa di più bello e molto funzionale. Un complesso che oggi non fa rimpiangere il glorioso West Side Tennis Club. Ah dimenticavo: le ‘camere’ sono ammesse e i selfie si sprecano, con buona pace di quel custode tutto d’un pezzo a cui avevo rubacchiato immagini proibite ma utili alla verità! Quanto all’indagine, siamo tutti consapevoli che ci fu dolo e che quel discolo di Connors andava accompagnato fuori dal campo. Per maggiori dettagli, prima o poi ne parlerò con Corrado dinanzi a un caffè e qualcos’altro salterà sicuramente fuori.