Come si sono presentati i big alla stagione 2020? No, qui non vogliamo parlare di risultati, classifiche, preparazione. Ci interessa il loro mood. Il nostro Enzo Cherici ha provato ad associare a ognuno dei top player una canzone dei Pink Floyd. E voi, siete d’accordo?

Pink Floyd rule

Cari amici, ora che anche la fondamentale ATP Cup s’è conclusa (pare abbia vinto la Serbia…) possiamo finalmente tornare a fare ciò che più ci appassiona: cazzeggiare sul tennis e tutto ciò che gli gira attorno. Della serie, non siamo mica obbligati a parlare soltanto delle gesta dei Fab Four, di Wimbledon, di quanti aces ha realizzato Tizio o quante palle-break ha convertito Sempronio (con tanti saluti a Caio)! È stato così deciso all’unanimità (un voto su uno: il mio) di rendere omaggio al nome di questa rubrica – per i più distratti: Another brick in the ball associando a ogni giocatore una o più canzoni dei mitici Pink Floyd. Pronti? Si parte!

Nadal: Sorrow

Sorrow – Noblesse oblige, si inizia col numero uno. Me lo ricordo fin da ragazzino Rafa, prima ancora che – sempre da ragazzino – iniziasse a vincere Slam come piovesse. Prima ancora del suo dritto, l’ormai celebre uncino, mi aveva impressionato il suo modo di stare in campo e il fatto che non avesse paura di niente e di nessuno. Federer era il numero uno del mondo e lui doveva affrontarlo sul cemento di Miami? Problemi zero: 6-3, 6-3 e tutti a casa. Nessuna paura. Mai. La sua canzone poteva benissimo essere Fearless (Impavido):

You say that the hill’s to steep to climb

Try it

(Dici che la collina è troppo ripida da scalare

Provaci)

Poi però penso al Rafa della maturità, quello che gioca sul 15 pari del primo Game come avesse matchpoint contro. Quello che, nonostante gli infortuni, col tempo è diventato una perfetta macchina distruttrice. E allora mi viene in mente Sorrow (Dolore), con quella chitarra distorta iniziale che, associata a Rafa, sembra essere la musica di Star Wars quando appare Darth Vader!

È la canzone perfetta anche perché ci rammenta quanto dolore ha provocato tra i suoi avversari (soprattutto uno…) e quanto dolore lui stesso ha dovuto superare per arrivare dove è arrivato.

Djokovic: Money

Money – Lo ammetto, la cosa che per prima mi cattura quando osservo Nole sono i suoi occhi. Fuori dal campo, riflessivi fino all’eccesso. Dentro al campo, con quel suo sguardo che rasenta il sadismo, quando si diverte a stritolare i malcapitati avversari. Ecco allora che Paranoid Eyes – da The Final Cut, sarebbe stato il pezzo perfetto per lui:

And if they try to break down your disguise with their question

You can hide behind paranoid eyes

(E se cercano di distruggere il tuo travestimento con le loro domande

Ti puoi nascondere dietro occhi paranoici)

Poi però non si può fare a meno di pensare anche al suo lato istrionico, quello del Djoker, associato alla parte più istrionica, ma anche più dolce e tenera del suo carattere. Sul tubo gira un bellissimo video dedicato al futuro premio Oscar (spoiler!) Joaquin Phoenix, con la meravigliosa Hey You come sottofondo. Joker and The Djoker si fondono così in un’unica storia, regalando emozioni e pelle d’oca in quantità industriali.

Alla fine però bisogna tornare a fare i conti con la cruda realtà. E non c’è niente di più crudo e reale dei soldi. È meno poetico, lo so. Ma, mentre scrivo, ammonta a 139.144.944 $ il pauroso Prize Money incassato dal Djoker fino ad oggi. Alla luce di tutto ciò, non poteva essere che Money la sua canzone floydiana!

Money, it’s a crime

Share it fairly but don’t take a slice of my pie

(Soldi, un crimine

Dividiamoli tra tutti, ma non toccate la mia fetta)

Federer: Wish you were here

Wish You Were Here – Roger nasconde dentro di sé una vera e propria enciclopedia floydiana! Sarà per l’omonimia con Roger Waters, il genio creativo dei Pink Floyd; sarà per la pulizia del suo gioco, che ricorda un assolo di David Gilmour; sarà, più probabilmente, che tra non molto non lo vedremo più nel circuito… E il tema dell’Assenza, proprio quella con la A maiuscola, è non solo ricorrente, ma quasi irrinunciabile nella trama floydiana. Stay, Time, Empty Spaces, Don’t leave me now, Nobody Home, The Show Must Go On, sono tutti pezzi i cui l’assenza e lo scorrere inesorabile del tempo giocano un ruolo fondamentale. Ma il pezzo in cui questi sentimenti – starei quasi per dire… paure – sono descritti meglio, è senza dubbio Wish You Were Here, la canzone federeriana per eccellenza:


How I wish, how I wish you were here
We’re just two lost souls swimming in a fish bowl year after year
Running over the same old ground, what have we found?
The same old fears, wish you were here

(Come vorrei, come vorrei che tu fossi qui

Siamo solo due anime perse che nuotano in una vaschetta per pesci, anno dopo anno
Sempre di corsa sul solito terreno, cosa abbiamo scoperto?
Le stesse vecchie paure, Vorrei che tu fossi qui)

Brividi…

Thiem: Welcome to the Machine

Welcome To The Machine – Mi cospargo in anticipo il capo di cenere, chiedendo scusa prima di cominciare. Mi perdonerà il bravissimo Dominic, ma la canzone floydiana che ho scelto è associata a lui soltanto… indirettamente. In effetti, Welcome to the machine è la frase che immagino gli possa rivolgere Nadal prima di ogni finale del Roland Garros:

Welcome my son, welcome to the machine

(Benvenuto figliolo, benvenuto alla macchina)

E a ben pensarci, questo brano sarebbe andato benissimo anche per lo spagnolo e – allo stesso modo – Sorrow sarebbe stata perfetta per l’austriaco. Tra l’altro, per tornare al povero Thiem, il video di questo pezzo (un gigantesco mostro meccanico che si fa largo tra la città radendolo al suolo) ricorda sinistramente le sue ultime finali parigine contro Nadal. Vabbè, facciamo finta di non aver scritto nulla…

Medvedev: Time

Time – Perché sì, è solo una questione di tempo. Il brano si apre con un’esplosione di sveglie seguita da un ticchettio di orologi. Nel suo caso dovrà essere l’esatto contrario, l’immaginifico countdown floydiano dovrà dargli la sveglia e farlo esplodere verso potenzialità finora inesplorate (da lui in primis). Dopodiché, proprio come nella canzone, potranno arrivare momenti rock, seguiti da fasi poetiche e veri e propri assoli…

Ticking away the moments that make up a dull day

You fritter and waste di hours in an off and way

Kicking around on a piece of ground in your own town

Waiting for someone or something to show you the way

(Ticchettano via i minuti che riempiono un giorno tedioso

Tu sbrandelli e sprechi le ore per strade fuorimano

Gironzolando per un angolo della tua città

Aspetti che qualcuno o qualcosa ti mostri la via)

Tsitsipas: Echoes

Echoes – Diciamolo subito, il titolo (Echi) è assolutamente fuorviante. Per associare questo capolavoro (definire Echoes una semplice canzone potrebbe valermi una sacrosanta querela) al campione greco è necessario entrare nel testo dell’opera (ve l’ho già spiegato: questa non è una normale canzone…). Non serve fare molta fatica, basta fermarsi alla prima riga:

Overhead the albatross hangs motionless upon the air

(L’albatros lassù sospeso plana nell’aria)

Tutto chiaro? Ci siete arrivati? Bingo! La parola chiave è proprio albatros, ossia l’immagine che più d’ogni altra Tsitsipas mi trasmette quando scende in campo e, in particolare, quando con la sua apertura alare occupa la rete!

Allora vola Stefanos, da oggi in poi hai una nuova, importante missione. Proteggi la tua canzone… pardon, il tuo capolavoro. Portalo in campo con te, al di sopra di campi e avversari. Per dominare tutti dall’alto.

Zverev: One of these days

One Of These Days – Ai meno floydiani tra i lettori probabilmente questo titolo non dirà nulla. Ma sono pressoché certo che dopo l’ascolto delle prime tre note anch’essi urlerebbero in coro: “La sigla di Dribbling!”. Che Dio li perdoni. Anzi no.

Torniamo a Zverev e alla canzone. Il pezzo martella alla grande sul basso di Waters, prima di affidarsi alla magica slide guitar di Gilmour. Credo sia quasi superfluo sottolinearlo, ma la traduzione del titolo è Uno di questi giorni. Ed è proprio qui che scatta l’associazione col nostro Sasha. Ce la farà il nostro eroe a vincere finalmente uno Slam? One of these years / Uno di questi anni, sarebbe forse la risposta più realistica. Un’ultima annotazione: la canzone è solo apparentemente strumentale. In realtà vi è un’unica frase, verso la metà del pezzo, cantata con un effetto che trasforma la voce (incredibilmente di Mason, il batterista) in una specie di mostro robotico:

One of these days

I’m going to cut you into little pieces

(Uno di questi giorni ti taglierò a pezzetti)

La correlazione tra le lyrics e Zverev è ancora una volta evidente. Resta solo da capire se sarà lui a fare a pezzi gli avversari o se saranno loro a fare a pezzi lui. Ai posteri l’ardua sentenza.

Berrettini: It would be so nice

It Would Be So Nice – Mi consegno subito: non è un grande pezzo, anzi. Ma il titolo (Sarebbe così bello) è dannatamente evocativo… Forza Matteo, regalaci questo Slam!

And no one knows what I did today

There can be no other way

But I would just like to say

It would be so nice…

(E nessuno sa cosa ho fatto oggi

Non può esserci altro modo

Ma mi piacerebbe tanto dirlo

Sarebbe così bello…)

Si, sarebbe proprio bello. Bellissimo.

Sinner: Learning to fly

Learning To Fly – Lo scorso anno ha imparato prima a camminare, poi a correre. Da quest’anno bisogna Imparare a volare! Siamo nel 1987 ed è il primo singolo dei nuovi Floyd gilmouriani dopo l’abbandono di Waters. Il pezzo non è tra i più indimenticabili, anche se nella sua versione live (e anche video) guadagna diversi punti. Segna però la rinascita della band dopo un quadriennio di furibonde battaglie legali e per questo è un brano in qualche modo storico. Lo stesso potrebbe accadere con Jannik: potrebbe rappresentare, con Berrettini, la rinascita del tennis italiano ad altissimi livelli.

There’s no sensation to compare with this

Suspended animation a state of bliss

Can’t keep my eyes from the circling sky

Tongue-tied and twisted just an earth-bound misfit: I

(Non esiste sensazione paragonabile a questa

Animazione sospesa, uno stato d’estasi

Non so distogliermi dal cerchio dei cieli

Ammutolito, spiazzato, ruota un essere terreno: io)

Fognini: One of my turns

One Of My Turns – Avete visto il film The Wall? Noooo? Fatelo immediatamente e sarete perdonati! Non vi spoilererò il film, ma c’è una scena in cui il protagonista (Pink, interpretato da Bob Geldof) a un certo punto sbrocca e distrugge il suo appartamento. Ecco, il nostro Fabio si è soltanto limitato a maltrattare qualche racchetta, ma non c’è dubbio che il brano (Una delle mie crisi) è altamente evocativo. Pink/Geldof che sfascia la chitarra sul pavimento ricorda sinistramente Fabio Fogna che fa a pezzi l’incolpevole racchetta sul Deco Turf!

Ma il momento clou arriva quando Pink si affaccia a quel che resta della finestra (appena sfondata anch’essa) e urla: Why are you running awayyyyyyyyy / Perché scappi via? Nella speranza che Fabio lo urli, presto, contro gli avversari in fuga!

De Minaur: Another brick in the wall

Another brick in the wall – È la sua canzone, perché vedendolo giocare trasmette esattamente quell’idea: un mattone dopo l’altro, costruisce il suo muro. Poi sta agli altri tentare di abbatterlo. Finora il muro, va detto, qualche falla l’ha mostrata. Per mancanza di esperienza in fase di costruzione più che altro. Ma attenzione, in un futuro molto prossimo le cose potrebbero cambiare. D’altra parte, ad affrescare la Cappella Sistina lui non ci pensa nemmeno. We don’t need no education, sembra scritta apposta per lui. Dategli cazzuola e un secchio di cemento e lo avrete fatto felice. I problemi saranno, eventualmente, degli altri. Sempre che non arrivi il cannone Sinner ultimo modello e decida di abbatterlo il muro. Lui ha mostrato di sapere già come si fa…

All in all it’s just another brick in the wall

(Dopotutto è solo un altro mattone nel muro)

Murray: If

If

If I were the swan, I’d be gone

If I were the train, I’d be late

(Se fossi cigno, me ne sarei già andato

Se fossi treno, sarei in ritardo)

Se, se e se. Quanti “se” nella bellissima e sfortunata carriera di Andy Murray. Tutti riconducibili ad uno: quanti titoli avrebbe vinto “se” non ci fossero stati quei tre demoni di mezzo? Discorsi inutili, che lasciano comunque il tempo che trovano, vale la stessa cosa per tanti altri campioni. Quanti Roland Garros avrebbe vinto Vilas senza Borg? Quanti Wimbledon Lendl senza Becker? Quanti slam Federer senza Nadal? I “se” nello sport non contano nulla. Murray è stato un campione che ha avuto la sfiga di trovarsi la strada sbarrata non da uno, ma da tre fuoriclasse tutti assieme.

Alla fine dei giochi, non sei stato un cigno, caro Andy. E il treno temo sia ormai già passato.

Kyrgios: Brain damage

Brain Damage – Traduzione: lesione cerebrale. Sembra stata scritta per lui con quaranta anni d’anticipo!

Non ci credete? Leggete qua:

The lunatic is in my head…

There’s someone in my head but it’s not me

(Il pazzo è nella mia testa…

C’è qualcuno nella mia testa ma non sono io)

Frasi che spiegano il tutto meglio di mille racchette spaccate!

Wawrinka: Animals

Animals – In un primo momento volevo dedicargli Wearing the inside out / Vestirsi al rovescio, in onore dei mitici pantaloncini indossati nel trionfale Roland Garros e del suo colpo più devastante, il rovescio appunto. Poi però, ho deciso di rendere merito al suo nickname (Stanimal) dedicandogli addirittura tutto un LP: Animals. Un disco bellissimo, troppo spesso sottovalutato, che ha avuto la sola colpa di trovarsi incastrato tra altri tre capolavori quali The dark side of the moon, Wish you were here e The wall. Un po’ come Murray tra Federer, Djokovic e Nadal. L’album prende spunto da La fattoria degli animali di Orwell ed è il primo in cui Waters (un altro Roger, non farci caso Stan!) prende decisamente in mano le redini del gruppo. Le ambientazioni si fanno più cupe ed è necessario più di un ascolto. Dopodiché vi si aprirà un mondo nuovo, nel quale la Fender di Gilmour vi sembrerà accostabile al rovescio lungolinea di Wawrinka. Non perdetevelo!

Shapovalov: Childhood’s end

Childhood’s End

And then as the sail is hoist

You’ll find your eyes are growing moist

And all the fears never voiced

Say you have to make the final choice

(E quando la vela è alzata

Sentirai gli occhi bagnarsi di lacrime

E tutte le paure mia espresse

T’imporranno la scelta finale)

Venti anni nel suo caso significano esattamente il titolo di questa canzone: fine dell’infanzia. Ora tocca a te caro Denis (“the final choice”), devi decidere se accettare il ben di Dio che madre natura ti ha generosamente donato o se lasciare che sia qualcun altro ad accettare prenderselo. Sarai perdonato solo se sarà Sinner il prescelto.

Schwartzman, Dimitrov, Stepanek &co.

Schwartzman: The Gnome

Si può essere in questo tennis di giganti e bombardieri muscolati alti appena un metro e settanta ed essere numero 14 del mondo? La risposta è sì, si può. A patto di chiamarsi Diego (ops) Schwartzman! E allora The Gnome non poteva essere che per lui, il nano più alto del mondo tennistico. Al quale auguriamo una vendetta simile a quella de Il Giudice di De Andrè, senza nemmeno dover passare notti insonni a studiare come battere quegli altri bestioni!

Dimitrov: Don’t Leave Me Now

Lo so, sono un inguaribile romantico. Ma voglio ancora crederci. Credere che tutto non sia finito in quella sera di Londra. Che un giorno tornerà e che questa volta sarà per restare. Per sempre stavolta. Non lasciarmi proprio adesso! Lo urlo forte, come Waters (vietato pronunciare la parola Roger in tua presenza) nel pezzo in questione. E se proprio non vorrai saperne di tornare, urlerò ancora più forte: Oh babe, why are you running away?

Stepanek: The Scarecrow

Traduzione: lo spaventapasseri. Una qualunque sua foto spiega tutto.

Marcus Willis: Fat Old Sun

Il mio mito! Ve lo ricordate? Si presentò qualche anno fa sul centrale di Wimbledon al cospetto di Federer con una panza da competizione. E non fece nemmeno una brutta figura, tutt’altro. Molto “fat” e poco “old sun”, rappresenta la speranza di tutti i sovrappeso di questo mondo. Idolo!

Artem Bahmet: Bike

Lo sapete, la bicicletta nel tennis simboleggia il punteggio più umiliante: 6-0, 6-0 e tutti a casa. Qui però siamo andati oltre. Il “tennista” ucraino si è intrufolato nel torneo ITF di Doha e non si è limitato a tornarsene in bicicletta, ma l’ha fatto addirittura senza racimolare un solo, misero, quindici. Una sorta di bicicletta reale in 22 minuti scarsi e scusate tanto per il disturbo. Propongo allora di istituire il trofeo Artem Bahmet a forma di bicicletta, una sorta di Coppa Cobram per il riscatto di tutti gli eroi infamati dal doppio 6-0.

PS Trattandosi di opera ultraterrena, Shine On You Crazy Diamond non poteva essere associata per ovvii motivi ad alcun tennista. Magari in un’altra vita…