Miami quest’anno deve fare i conti con molte assenze importanti, soprattutto in campo maschile. Nel tabellone femminile spicca il vuoto lasciato da Serena Williams, che in Florida vive e che il torneo lo ha vinto otto volte. Il ricordo dell’ultimo trionfo, quello del 2015, è affidato alla penna tecnico-umanistica di Massimo D’Adamo. Che il match lo vide dal vivo, dopo essere sfuggito al tentacolare traffico della Highway 95…

Quel sabato mattina, una sfilza di poliziotti bloccava di traverso la Brickwell Avenue, gettando nel caos la downtown di Miami. Sbracciandosi animatamente, si prodigavano nel suggerire percorsi alternativi che nel mio caso, non andavano oltre l’obbligo di prenderla alla larga montando sulla 95, la più lunga delle rotte nord-sud dell’Interstate Highway System americano. Un budello di asfalto che facendo sfoggio delle sue otto corsie rasenta la costa atlantica e dal gelido Maine scende serafico con le sue 45 miglia orarie verso Connecticut, New Jersey, Pennsylvania e Virginia. Poi inforca la Florida e nell’ultimo tratto si getta nel tepore di Miami. «….verso south», mi aveva urlato il pizzardone americano forse preoccupato per la mia sorte. Proprio così, giusto una manciata di chilometri nostrani in direzione sud per arrivare all’imbocco della causeway che dritta dritta conduce a Key Biscayne.

Un tragitto che a occhio e croce, anche Serena Williams doveva aver seguito uscendo dalla sua villa mozzafiato nella placida Palm Beach Gardens. Doveva aver brigato, anche lei, per qualche avenue prima di montare sulla stessa highway per ignorare il centro di Miami e arrivare di filato negli spogliatoi del Crandon Park Tennis Center. Lungo la via, non avevo avuto modo di incontrarla, ma quando era entrata in campo per sbrigare la frugale finale contro Carla Suarez Navarro, tutto poteva sembrare, la panterona, meno che una persona stressata da questioni di traffico.

Lasciandosi il sole alle spalle aveva scelto di servire e meno di venti minuti dopo aveva già intascato il primo parziale con un perentorio 6-2. Gli unici game concessi erano scappati fuori da qualche diritto piatto decisamente esagerato e da un paio di giocate difensive tamponate con il ricorso a quello spostamento largo che non è proprio nelle sue corde con quel suo tennis da pool position che concepisce solo situazioni di comando relegando le altre a casi estremi.

Fu così che nel secondo set aveva pensato di esaltare al massimo il concetto di ‘primo colpo’, un culto imprescindibile del suo gioco che l’ha resa vincente nelle grandi rivalità. Da Hingis a Capriati, da Henin a Venus, fino a Sharapova, il principio tattico di iniziare la danza con un colpo potente sembra averle dato ragione in pieno e negli anni l’ha messa al riparo dalla necessità di spostare da un lato all’altro del campo quei chili di troppo che fanno parte delle sue rotondità. Un imperativo che fin dagli esordi ha spazzolato via ogni dubbio circa la visione strategica del match: dominare l’abbrivio, servizio o risposta che fosse, per assicurarsi supremazia negli scambi a seguire.

Alla luce di tanta certezza, il secondo set della Suarez era stato avaro di soddisfazioni chiudendo i battenti addirittura a zero. Tre ace nel primo game e qualche pallettone di risposta sparato a tutto braccio, mettevano il cappello anche sulla seconda frazione dell’incontro con una lunga sfilza di vincenti, 27 per l’esattezza, che avevano fatto del contraddittorio uno show a senso unico. A poco era servito il sostegno del pubblico, diretto alla spagnola più per allungare il brodo che per genuina simpatia. Serena non si era fatta intenerire e il carisma aveva fatto il resto in meno di un’ora!

La povera Suarez non rialzava le orecchie neanche in conferenza stampa, dove si dichiarava soddisfatta della sua prima finale in un torneo importante e si limitava a tessere lodi alla panterona elencando, ai pochi giornalisti presenti, tutte le difficoltà per batterla. Mezz’ora più tardi, nella stessa sala c’erano solo posti in piedi e l’americana, che non disdegna autocelebrazioni, aveva subito ammesso di aver giocato bene tutto il torneo e di essere felice della sua ottava volta a Miami. Poi qualche complimento alla Suarez. Quindi esauriti i convenevoli si era congedata con sorrisi di circostanza. Quando i media correvano in sala stampa per informare il mondo sui record figli di una finale inesistente, la Williams probabilmente era già risalita sulla 95 con la prua rivolta verso casa…