Le parole dell’azzurro nell’intervista realizzata sui canali social di Sportface.it

Matteo Berrettini ha vissuto una stagione memorabile culminata con la finale a Wimbledon e una sfortunata partecipazione alle Nitto ATP Finals. L’ultima fotografia che abbiamo di lui risale al Pala Alpitour di Torino e alle lacrime trattenute nella partita con Alexander Zverev, quando quel maledetto infortunio agli addominali lo ha messo nuovamente KO. “Ora sto bene. Mi sto allenando e sono tornato in campo. E’ stato un periodo difficile emotivamente parlando, ho chiuso la stagione con parecchio amaro in bocca, poi mi sono preso tempo per recuperare. Mi sto preparando per l’Australia, ormai manca molto poco”.

Nella lunga intervista rilasciata in esclusiva a Sportface.it, il romano ha toccato diversi argomenti a partire dalla delusione di Torino: “Per chi mi conosce da tempo, sapete quanto ci metto a livello emotivo quando scendo in campo. Giocare le ATP Finals in Italia era una cosa che pensavo fosse impossibile – prosegue Matteo -. Essermi qualificato e meritarmi di stare lì ma non poterlo sfruttare, è stato duro. Ci sono stati dei pianti, ma se guardo indietro all’anno mi rendo conto che è stato bello. Però penso sempre che alcune cose succedono perché provi a essere migliore. Mi sono fatto un po’ di domande, è stata una stagione importante per alcuni versi, ho pensato a cosa poter cambiare da un certo punto di vista. Sono abbastanza giovane sportivamente parlando, ci sono tanti ragazzi più giovani di me, ma questo è il mio quarto anno che gioco, vorrei giocare il più possibile e vorrei lavorare per riuscirci. Non sarò mai un giocatore da novanta partite all’anno ma vorrei essere sano nei tornei più importanti”.

Gli infortuni lo falcidiano da quando era ragazzo e in virtù di ciò ha imparato a conviverci e a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.Sono diventato quasi bravo a gestire la riabilitazione, anche se un pochino pesa. Sono diventato più bravo, facendo le cose più volte poi si impara. Dopo Wimbledon è stato pesante, mi sono strappato il quadricipite. Non mi sono mai fermato, quindi ben vengano tante partite giocate, ci stava farsi male lì, mentre l’infortunio di fine anno invece non so ben spiegarlo. A livello mentale purtroppo sono uno che mi domando tante cose e spesso cerco risposte a quello che sta succedendo. La cosa peggiore è non trovare una risposta a un infortunio. Magari non ce ne sono e non ce ne saranno, dall’alimentazione a quante ore dormo, nei momenti di difficoltà si prova a guardare tutto a 360 gradi. Per alcuni aspetti è stata una fortuna per me essere spesso infortunato, mi ha formato e reso la persona che sono. So che non è possibile che io non mi infortuni mai più”.

L’annata resta straordinaria, a prescindere dagli infortuni e dagli appuntamenti finali in terra sabauda. Mi dispiace perché ho concluso l’anno con un fatto drammatico a livello sportivo, a un certo punto mi sono raddrizzato e ho pensato che però è stato un ‘anno della madonna’, non posso abbassare la testa e dire ‘che delusione’. Se questo infortunio fosse avvenuto a settembre e avessi giocato Finals e Davis l’avremmo visto in modo completamente diverso. Per me è importante visto che sono uno che si dà addosso abbastanza, tutto quello che ho fatto quest’anno negli Slam soprattutto è stato molto importante e positivo”.

Sui prati di Wimbledon, lì dove Matteo ha raggiunto il punto più alto della sua carriera, c’è un aneddoto che vale la pena essere raccontato. “Ogni tanto scherzo con Santopadre dicendo che sto facendo i miracoli. Vedo da dove siamo partiti e penso che ci sono un sacco di storie che si potrebbero raccontare. La finale di Wimbledon in cui Vincenzo ha rischiato di violare dei protocolli e per poco non giocavo la finale (ride, ndr). Sentirmi sottovalutato? Alcune volte mi capita. Ogni tanto leggo che servo solo, ma non è che gli altri giocatori non ci provano a farlo, solo che non ci riescono. Una qualità che consente di faticare meno, ma è una qualità. Ci sono giocatori che sembrano più forti, l’estetica alcune volte vince sull’efficacia all’occhio del tifoso, per l’esperto invece l’opinione può essere diversa. Io sto coi piedi per terra”.

Il lavoro prosegue senza sosta, le ambizioni sono sempre più importanti. “Gli obiettivi sono tanti e voglio lavorare sui dettagli, ovvero sulle piccole cose che alzano il livello generale. A me piace giocare quando sono aggressivo, una risposta buona è importante. Lavoro molto sul servizio e risposta. Sul rovescio sono molto più solido, sempre detto che non sarò uno che farò i vincenti di rovescio. Non sento nel mio rovescio un punto di debolezza, è vero che preferisco colpire col dritto. Non credo di aver perso quest’anno una partita per via di un rovescio non performante. Nel 2022 voglio portare l’Italia a vincere la Coppa Davis. E’ un obiettivo, non l’ho mai nascosto. Abbiamo una squadra fortissima e varia. Ho seguito a distanza le partite dell’ultima edizione, si è visto che il gruppo è unito e può fare bene contro chiunque”.

In Australia potranno giocare solo i vaccinati, a meno di qualche speciale esenzione medica. A tal proposito, sul tema vaccini, Matteo ha la propria opinione. Partirò dopo i giorni di Natale, perché da quello che mi hanno detto arrivando prima del 27 si devono fare tre giorni di quarantena. Giocherò ATP Cup e poi Australian Open. Ho la mia idea sui vaccini e su quello che è giusto fare per quanto riguarda me. L’anno scorso fare due settimane di quarantena è stato difficile e non l’auguro a nessuno, se la soluzione era vaccinarsi per evitare tutto ciò, allora penso sia giusto, ma è un discorso complesso che apre tantissime parentesi. Per me è la cosa giusta da fare per far ripartire il mondo”. Successivamente per la prima volta l’italiano giocherà i tornei di inizio anno in Sudamerica: “Dopo gli AO vado in Sudamerica sulla terra battuta, non l’ho mai fatto. Mia nonna è brasiliana, quello di Rio è un torneo che ci tenevo a fare, poi andrò anche ad Acapulco. Avrei dovuto farlo anche nel 2020, adesso spero di riuscirci”.

Alla domanda se preferirebbe essere numero uno al mondo senza mai vincere uno Slam o vincere uno Slam senza mai essere numero uno al mondo, Berrettini ci riflette un po’ su ma poi trova l’immediata risposta con quel velo di simpatia che lo contraddistingue. “Non sono mai arrivato vicino a essere numero uno al mondo, ma vicino a essere uno Slam sì. Probabilmente preferirei essere numero uno al mondo perché ora la vedo più lontana. Ma se il prossimo anno vinco uno Slam non lo butto certo via (ride,ndr)”.