L’Australia torna a dividersi sulla figura di Margaret Court a pochi giorni dall’investitura del più elevato titolo onorifico d’Australia. Qual è la linea di confine tra meriti di campo e vita privata?
Margaret Court divide ancora il paese: giusta l’investitura ne l’Ordine dell’Australia?
Il 26 gennaio, giorno dell’Australia Day Honor, Margaret Court sarà insignita del più elevato titolo onorifico d’Australia: L’Ordine dell’Australia. Il riconoscimento viene attribuito ai cittadini australiani che nella loro vita hanno ottenuto risultati eccezionali o offerto un servizio significativo alla comunità. Alla notizia si è subito divisa l’opinione pubblica ed è emerso il contrasto tra i due aspetti determinanti per il titolo. Indiscutibile in campo, Margaret Court agli occhi di molti ha compromesso la propria immagine per le sue idee omofobe. Con il passare degli anni le sue posizioni, mai ritrattate se non con goffi tentativi, diventano sempre più controverse e sempre meno persone pongono l’accento sul tennis espresso dalla 24 volte campionessa slam in singolare (record all-time).
L’atleta o la persona? Un quesito che da sempre è un dilemma. Tennis Australia optò per una sfumatura quando, pur distanziandosi, decise di celebrare il cinquantesimo anniversario del Grande Slam dell’ex giocatrice, oggi ministra di una chiesa cristiana che ha lanciato un’organizzazione a suo nome, particolarmente attiva in ambito sociale durante la crisi pandemica australiana. Durante la ricorrenza celebrata in occasione dello scorso Australian Open, John McEnroe e Martina Navratilova si schierarono contro la Court esibendo un cartello con scritto “Evonne Goolagong Arena“, dando nuova linfa al movimento che vorrebbe cambiare il nome della struttura dal 2003 intitolata alla campionessa di Albury.
Gli oppositori della Court, con più o meno energia a seconda del periodo, non cessano la loro lotta e l’ultimo capitolo riguardante l’onorificenza istituita da Sua Maestà Elisabetta II, ha portato in campo Daniel Andrews. Il primo ministro dello stato di Victoria si è espresso senza mezzi termini condannando in toto le visioni da fondamentalista cristiana della Court su temi come il matrimonio tra persone dello stesso sesso, atleti transgender e le lezioni scolastiche riguardanti temi della comunità LGBT. “Sono stufo di dover parlare di questa persona ogni volta che ci sono gli Australian Open. Chi mi conosce sa che non l’appoggio e i suoi punti di vista contrastano con le idee di una grandissima fetta di popolazione australiana. Non ci dovrebbe neanche essere bisogno di dire che le persone della comunità LGBTIQ sono uguali ad ogni altro cittadino e sono meritevoli dello stesso rispetto”, ha risposto Andrews ad una specifica domanda sulla onorificenza destinata all’ex tennista.
Stufa dei tanti attacchi pubblici la 78enne di Albury ha deciso di rispondere alle tante critiche: “Non mi sarei mai aspettata di ricevere questo riconoscimento, che metto subito dopo gli slam vinti per livello di importanza. Le polemiche non le capisco, questo titolo lo riceverò per meriti sportivi, si tratta del mio tennis. Ho amato giocare e rappresentare l’Australia, questa cosa nessuno me la toglierà – ha chiarito l’ex atleta che ha poi parlato degli attacchi ricevuti – Sono delusa dai commenti che fanno su di me, negli ultimi trent’anni sono stata vittima di bullismo. Leggo tante cose, ma poi nessuno è mai venuto a dirmi in faccia cose di questo tipo, anzi in tanti mi hanno dato una pacca e si sono complimentati per ciò che ho fatto”. Dal mondo del tennis non sono ancora arrivati particolari commenti sulla situazione, ma con gli Australian Open alle porte nulla è escluso. L’onorificenza sarà naturalmente consegnata per gli impareggiabili meriti sportivi, il conflitto morale ha diverse sfaccettature e si presta a varie interpretazioni, ma le posizioni contrarie di politici e personaggi pubblici sono innegabilmente lecite.
Ciò che accade fuori dal campo è di competenza degli organi sportivi? Il caso Zverev
La questioni di vita privata si sono mischiate con quelle di campo anche nel caso di Alexander Zverev. Nel giorno in cui la sua ex Brenda Patea aveva svelato di essere incinta del suo erede, l’altra ex Olga Sharypova lo aveva accusato di violenza domestica ai propri danni. Schierarsi sulla questione è obiettivamente difficile: le versioni dei due sono agli antipodi e ad eccezione di alcuni screen di Whatsapp non sono mai uscite prove da poter ritenere schiaccianti. Sharypova ha dichiarato di non essere intenzionata a muovere una battaglia legale nei confronti del tennista e anche per questo probabilmente non sarà mai possibile avere un riscontro definitivo. Questi fatti hanno sicuramente intaccato l’immagine di Zverev, che specialmente nelle settimane successive alle dichiarazioni di Olga, è stato bersagliato senza sosta sui social. Lo stesso è accaduto all’account del Masters 1000 di Parigi Bercy che fu costretto a cancellare dai propri profili una foto del giocatore.
Tra i tennisti si è parlato delle accuse ed anche in questo caso colleghi e colleghe del tedesco hanno preso posizioni differenti. A prescindere dalle parti, uno degli interventi più interessanti è stato quello di Andy Murray che ha chiamato in causa l’ATP chiedendo l’istituzione di politica contro la violenza domestica. “L’ATP non si è schierata tempestivamente. Il tennis non ha una politica sugli abusi domestici, ma è qualcosa che dovremmo istituire per poter reagire subito quando succedono fatti di questo tipo. La faccenda di Zverev va presa seriamente e gli sviluppi devono essere seguiti”. Il britannico non ha fatto mistero di non aver gradito l’intervento tardivo dell’organo che regola il circuito maschile, reo di aver condannato il tedesco per le accuse ricevute solo in un secondo momento. Come detto l’ATP non ha un codice di condotta per questi casi, in NBA per esempio Zverev sarebbe stato sospeso e sarebbe stata condotta un’investigazione sul caso. Quale dei due approcci è da ritenere il più corretto? Gli organi sportivi sono legittimati a prendere provvedimenti basati sulla vita extra campo degli atleti? In questo senso lo sport americano e quello europeo sembrano andare in un due direzioni diverse. Una risposta netta non esiste, il buon senso direbbe di rimettersi alla casistica specifica, ma con il rischio di creare precedenti controversi e discordanti tra loro.