Un posto fisso tra i primi 20 forse era eccessivo per il palermitano, ma anche stare fuori dai primi cento è un castigo immeritato che non rende giustizia al suo bel tennis
Il primo set l’ho visto a tratti. Non che avessi altro da fare! Al contrario, non osavo muovermi dalla sedia, immerso occhi e orecchi in quel match di primo turno sul campo tredici del Roland Garros che vedeva Marco Cecchinato opposto al giapponese Yasutaka Uchiyama, 28 anni da Sapporo, 115 al mondo.
Motivo di tanta discontinuità, in realtà, era un curioso viavai birichino in cui la testa riccioluta di Marco Cecchinato appariva e spariva nella parte bassa del monitor senza che l’emittente televisiva fornisse al grande pubblico lo straccio di una plausibile ragione. In un’alternanza di immagini sentivo il botto di palline sparate da chissà dove seguite da sporadiche incursioni in carne e ossa portate dal siciliano nei pressi della linea di fondo per dare al gioco sbocchi diversi. Devo riconoscere ai telecronisti il merito di essermi venuti in aiuto giurando apertamente che, a loro dire, la tattica assunta da Cecchinato fosse quella di tenere la palla nelle righe e sbagliare il minimo sindacale. Un po’ poco per un ragazzo già 16 del mondo, pensavo tra me e me, tant’è che il set chiudeva i battenti con un 6-3 per il giocatore del sol levante. Vista la malaparata, al cambio di campo, il nostro eroe deve aver rifatto i conti pensando di adottare altre soluzioni. Cosicché già nella seconda frazione pensava di riapparire negli schermi di Eurosport guadagnando una manciata di spanne in avanti con l’idea di prendere i giusti rischi e accumulare qualche sacrosanto errore che da quando esiste il tennis fa parte della candela. Una pensata che lo portava a pareggiare le sorti rifilando al nipponico un secco 6-1. Senza più uscire dallo schermo, cresceva fino a mandare in archivio la faccenda con in perentorio 6-2 6-4 sfoggiando il bel giocatore visto nella semi parigina del 2018 e nelle vittorie di Budapest, Umago e Buenos Aires.
Ora, siccome io amo le vie di mezzo, quelle che accontentano tutti e salvano capra e cavoli, azzardo nel dire che un posto fisso tra i primi 20 forse era eccessivo per il palermitano, ma anche stare fuori dai primi cento è un castigo immeritato che non rende giustizia al suo bel tennis. Nell’anno in corso ha accumulato 5 primi turni e altrettanti secondi turni, facendo bene a Montecarlo per poi ritrovarsi tecnicamente e mentalmente nel quarto turno di Ginevra e soprattutto nella finale di Parma della scorsa settimana. Insomma, la più bella smorzata del tennis nostrano, insieme a quella di Berrettini, può ambire assai di più di quanto stia mietendo in questo lasso di carriera, ma per farlo deve accantonare modelli di gioco alla José Higueras tanto in voga negli anni settanta ma ormai completamente fuori da ogni palinsesto. Il bel gioco è nelle sue corde e non ha nulla a che vedere con quello corri e tira infossato nella parte più lontana del campo. Ha tutto l’occorrente per dare al gioco un’impronta spumeggiante ritrovandosi negli schemi che gli hanno fatto onore in un recente passato. Anche un modo per godersela di più e fare un passo verso il centro del video allietando l’occhio che cerca nel tennis un po’ di svago anticovid.