In un’intervista per il portale Tennis Majors, l’allenatore di Federer fornisce molte chiavi di lettura sulla carriera dello svizzero. L’attenzione è rivolta a due momenti chiave della loro collaborazione: la finale dell’Australian Open del 2017 e quella di Wimbledon del 2019.
Intervistato dal portale Tennis Majors, Ivan Ljubicic ha analizzato molti aspetti della sua collaborazione con Roger Federer. L’allenatore ed ex campione ha raccontato cosa significhi per lui allenare un fuoriclasse. Un’analisi lucida e sincera, frutto di sette anni di collaborazione. Ljubicic si è concentrato in particolare su due momenti chiave del rapporto che ha condiviso con Federer: la finale degli Australian Open 2017 e quella di Wimbledon 2019. Ci ha tenuto a dire più volte che non si sente responsabile dei successi del campione svizzero, ma che il suo ruolo si è limitato a passare più tempo possibile con lui, e a dargli consigli sinceri. In ultimo, l’ex numero tre al mondo si è espresso anche sull’annoso dibattito su chi sia il più grande giocatore di tutti i tempi, sostenendo che sia inutile complicarsi la vita in una scelta: quello che hanno fatto i Big 3, ciascuno a suo modo, è unico e irripetibile.
Hai detto che sei rimasto sorpreso quando Federer ti ha chiesto di diventare il suo allenatore, ma che la conversazione è arrivata abbastanza rapidamente all’argomento tennis. Com’è stata quella chiacchierata sul tennis?
Abbastanza basilare: la mia percezione del suo modo di giocare e di come avrebbe dovuto giocare secondo me, cosa c’era da migliorare, se pensavo che potesse essere ancora in grado di vincere Slam…Qualche settimana dopo, eravamo a Dubai insieme. In realtà, anche prima di tutto ciò, eravamo molto legati e abbiamo parlato di tennis molte volte, per cui non c’era bisogno di un periodo di prova o qualcosa di simile. Roger sapeva esattamente cosa poteva aspettarsi da me: il modo in cui vedo il tennis e il modo in cui mi comporto.
In quel momento, quali sono stati i tuoi pensieri?
Beh, ho pensato che lui giocasse troppo a rete quando era allenato da Edberg. Inoltre, pensavo che non dovesse giocare lo slice con quella frequenza; sì, lo slice può essere utile per farti arrivare in una posizione di campo che ti è più gradita, ma, in linea generale, corri di più e difendi di più se usi molto lo slice. Di sicuro dipende dall’avversario: dovresti usare sempre lo slice contro Mannarino e mai contro Nadal.
Ha riguardato di più il processo: inizi a lavorare con qualcuno, spendi del tempo insieme e lavori ogni giorno, poi inizi a unire le tessere del mosaico. Per riassumere: ho sempre creduto che Roger giocasse il suo miglior tennis sulla linea di fondo, quando poteva essere aggressivo.
Quello che spesso si chiedono i fan è come sia possibile aiutare giocatori del livello di Federer, Djokovic e Nadal. C’è qualcosa che non sappiano già fare? Che cosa del tuo modo di concepire il tennis ha attratto Federer?
Forse il mio modo di concepire il tennis non c’entrava nulla! Dovete chiedere a lui, ma probabilmente si è solo fidato di me. Essere un allenatore a quel livello non riguarda il dire «devi colpire il rovescio in questo modo» oppure «devi fare questo», come quando alleni dei giocatori giovani, per esempio. No, quando si è a un livello élite, ci si concentra di più sul passare del tempo insieme e, se necessario, cambiare il modo in cui il giocatore pensa arrivato a un certo punto.
Ho sentito troppo spesso i commentatori in televisione dire: «l’allenatore ha cambiato questo aspetto del suo gioco», dopo un solo mese di collaborazione. Non c’è nessuna possibilità che io capisca su cosa Goran (Ivanisevic) e Novak (Djokovic) stanno lavorando, su cosa (Carlos) Moya e (Rafael) Nadal stanno lavorando, semplicemente non si può dire con facilità. Probabilmente anche loro stessi avrebbero problemi a spiegarlo. Ripeto quello che ho già detto: stare del tempo insieme, allenarsi, e poi viene quasi naturalmente.
Cercherò di spiegarmi così: immaginate un globo gigante che si può solo muovere leggermente a destra o a sinistra, ma di cui si può cambiare la direzione in cui è diretto. Anche quel minuscolo cambiamento può portare a grandi progressi, perché non stiamo parlando di giocatori che perdono presto nei tornei: l’unica differenza è se raggiungono i quarti o le semifinali di uno Slam, oppure se vincono il titolo.
Ascoltando la tua intervista per “The tennis podcast”, hai detto qualcosa che ha catturato la mia attenzione: “Federer ti dà il potere di aiutarlo”. Puoi spiegarti meglio?
Semplicemente: hai la sensazione che assorba tutto quello che dici, e che sia sempre aperto a provare cose nuove. Se gli avessi detto di giocare il rovescio a due mani, ci avrebbe provato. Roger è consapevole che il suo carattere forte e il suo carisma possono portare le persone ad avere timore di lui, per cui prova a rendere la vita semplice agli allenatori: vuole veramente sentirsi dire la verità, sentirsi dire che cosa veramente pensi e non è interessato che tu gli dica ciò che pensi che voglia sentirsi dire. Ha sempre fatto degli sforzi nel comunicare con noi, e ci ha sempre chiesto di dirgli tutto ciò che pensiamo, perché poi sarebbe toccato a lui elaborare quelle informazioni.
Hai parlato di cose come giocare meno lo slice, hai usato la metafora del globo gigante, ma se dovessi selezionare un paio di dettagli che hai cambiato, quali sarebbero?
Non ho cambiato nulla, penso di essere stato lì per aiutarlo a prendere le migliori decisioni. Per esempio, parliamo della finale dell’Australian Open 2017, contro Nadal. Abbiamo avuto due giorni interi di riposo, abbiamo passato ore a parlare della partita, ma, da allenatore, non sai quale delle centinaia di informazioni sarà quella che diventerà utile durante il match.
Non c’è una ricetta semplice, non un consiglio banale come «devi giocare la volée con più o meno rotazione». C’è più bisogno di comprendere la situazione e provare a comportarti al meglio di quanto sei in grado di fare. Per esempio, prima del Roland Garros 2018, abbiamo provato a far stare Roger molto dietro la linea di fondo campo per rispondere, proprio come Rafa, Perché abbiamo pensato che potesse essere la migliore strategia in quel momento.
Ritorno a quello che ho detto prima: Federer ti dà le chiavi per giocare con il suo tennis, per darlgi le tue opinioni e poi decidere insieme se l’idea merita di essere provata o meno.
La finale a Melbourne contro Nadal sarebbe stata la mia prossima domanda. Qual è l’informazione che è “diventata utile” alla fine?
Penso che sia stato visibile a tutti. Ha accettato il fatto che doveva giocare di più contro il dritto di Nadal, ha giocato un rovescio più piatto e si è concentrato sulla palla, non sull’avversario. In quel momento, il suo head to head contro Rafa era molto negativo, il che aveva lasciato delle cicatrici, e queste cose hanno avuto molto valore.
Più di ogni altra cosa, ha giocato con la convinzione di poter vincere, che era la cosa più importante per me, da allenatore. Ero preoccupato dopo quello che ho visto nel quarto set, ma quando ho visto Roger all’inizio del quinto, pur essendo sotto 3-1, ero più calmo, perché stava giocando nel modo corretto e sapevo che aveva una possibilità. Alla fine, ha vinto. È stata una vittoria molto emozionante, perché non aveva vinto uno Slam per quattro anni e mezzo prima di quel momento.
Prima di quel titolo, Roger non aveva giocato per sei mesi. Hai detto che gli allenamenti erano andati bene per gran parte di quel periodo, ma che cosa c’è voluto per ricostruire la fiducia che potesse vincere ancora uno Slam?
Molte cose si sono sommate. È vero che non ha giocato un torneo per sei mesi, ma ha iniziato ad allenarsi molto velocemente dopo Wimbledon 2016. Siamo stati in grado di costruire cinque mesi di lavoro di qualità, che ha portato ad un anno e mezzo fantastici per lui. Come abbiamo fatto a crederci? Beh, ci abbiamo creduto perché di solito il lavoro di qualità è seguito da grandi risultati, qualsiasi allenatore può dirvi questo.
Il problema con il tennis è che è molto difficile smettere e dire «ora mi allenerò per quattro mesi, non giocherò nessun torneo», ma di solito i risultati arrivano, dopo un lungo periodo di allenamento.
Mi hai appena dato uno spunto per questa domanda. Durante la sua carriera, Federer è stato sempre noto per il fatto di non aver bisogno di grandi stimoli per far andare i motori, non ha mai avuto bisogno di tante partite per raggiungere il suo miglior livello. Che cosa, nel suo modo di giocare e nella sua personalità, gli ha permesso questo?
Penso che il motivo risieda nel suo carattere, la fiducia che ha nell’intero processo, le persone attorno a lui e, senza dubbio, sé stesso. Ha sempre creduto che sarebbe riuscito a vincere se avesse fatto tutto nel modo giusto, per cui non gli sono mai servite tante partite per sentirsi a proprio agio in campo.
È stato un enorme vantaggio nell’arco della sua carriera, che gli ha concesso di conquistare break e minibreak. Tra le tre e le cinque volte all’anno, semplicemente, riposava e ricominciava da capo. Penso che sia uno dei principali motivi che gli hanno consentito di giocare così a lungo.
La sconfitta più dolorosa che hai affrontato insieme a Roger è stata la finale di Wimbledon 2019, persa contro Djokovic pur avendo avuto due match point. Come ti è sembrato nello spogliatoio dopo, come si trovano le parole giuste in quelle situazioni?
Siamo stati poco tempo nello spogliatoio, perché poi è andato in conferenza stampa. Siamo andati a casa dopo e abbiamo festeggiato quella finale, il solo fatto di esserci arrivati. Senza dubbio, all’inizio l’atmosfera non era delle migliori, me siamo riusciti a trasformare quel momento in qualcosa di positivo. Come? Chiami alcune persone, i tuoi amici, metti un po’ di musica. È stato un po’ un fingere finché ce la fai, ma è finita con una grande atmosfera.
Insomma, non è stata una tragedia di proporzioni epocali, ma è stato un gran peccato perché ha giocato in modo magnifico e io ero orgoglioso di lui. Ci è andato vicino, ma a volte si vince e a volte si perde. Siamo andati avanti. Alla fine, si è rivelata la sua ultima grande occasione di vincere uno Slam, ma non lo sapevamo ancora. Pensavamo che avrebbe avuto più possibilità.
So che è difficile focalizzarsi su qualcosa quando tutto è deciso da un solo punto, ma qual è stata, secondo te, la chiave in quella partita?
Non so se c’è stata una chiave, ad essere onesto. Semplicemente uno dei due doveva vincere, e si sono dati battaglia fino all’ultimo. Se fosse stato un altro sport, ci sarebbe stato un pareggio. In questo modo, ha vinto Novak.
La cosa per cui sono stato più triste è che Roger ha giocato in modo fenomenale. Ha vinto due set, lo ha fatto con facilità, e negli altri tre o ha giocato meglio o comunque ha dato filo da torcere. Ma va bene, nella sua carriera ha vinto molte partite in cui non era al meglio, quindi non possiamo lamentarci.
A dire la verità, quel giorno abbiamo parlato del Roland Garros 2009, l’unica volta che ha vinto a Parigi, quando era due set e un break sotto contro Tommy Haas al quarto turno, e sarebbe potuto succedere di non vincere mai il Roland Garros. Quando giochi più di 1500 partite in carriera, attraversi tutti gli scenari possibili, ma quella era la finale di Wimbledon, tutti stavano guardando ed è normale che tutti ci pensino.
Inoltre, vorrei chiarire una cosa: sono stato citato in maniera errata, non ho mai detto che Federer fosse al 60/70% delle sue capacità nella finale del 2019, perché era a un milione percento! Ho detto che lo era a Wimbledon 2021, e credo fosse ovvio.
Tornando ad oggi: che livello ci dobbiamo aspettare da Roger venerdì?
L’ho visto allenarsi e stava bene. Sente bene la palla, la colpisce bene. Sul piano fisico non posso dirlo con certezza, ma giocherà solo il doppio; quindi, non è così rilevante come aspetto. Sono sicuro che ci sarà uno spettacolo.
Quanto è difficile per Roger non ritirarsi come avrebbe voluto, ma a causa di un infortunio?
Non è certamente l’ideale, ma considerando che Roger voleva giocare a tennis finché avesse avuto cento anni, era l’unico modo per fermarlo. Non c’era alcuna possibilità che si fermasse per sua spontanea volontà! Si trattava solo di capire quando non sarebbe stato più in grado di continuare, e quel momento è arrivato ora. (Andy) Murray lo ha detto in maniera dolce in conferenza stampa: i Big 4 nello stesso posto, con Borg, McEnroe, Laver e altri, non ci sono modi migliori di dire addio. Mi sto preparando per una serata emozionante.
Conosci Federer molto bene, pensi che diventerà allenatore in futuro?
Di sicuro non viaggerà per 30 settimane all’anno. È un ragazzo che ama il tennis, quindi sono sicuro che sarà disposto a offrire consigli a una cerchia di persone. Immagino che aiuterà i giovani giocatori svizzeri e cose di questo tipo.
La domanda a cui non avremo mai una risposta definitiva: quali sono i criteri per essere considerato il più grande di tutti i tempi?
Non so quali dovrebbero essere i criteri e non penso che ci sia una risposta. Cosa rende qualcuno il più grande? È quello che ha avuto più successo o no? Roger, Novak e Rafa, tutti e tre hanno fatto cose che non verranno mai ripetute in futuro. Hanno portato questo sport su vette altissime, per cui non c’è nessuna ragione per cercare la risposta a questa domanda.
Roger non vincerà più Slam di tutti, ma vedremo se sarà quello che, alla fine, avrà il più alto numero di titoli totali tra i tre. Penso che non si possa ignorare il fatto che sia stato votato come tennista più amato dai fan per 19 anni consecutivi. Forse sono le settimane in vetta al ranking, forse il numero degli Slam, questi sono fattori importanti, ma non possono essere le uniche unità di misura. Non ho idea di chi sia il più grande, ad essere onesto. È come nel calcio, non è possibile sapere chi sia stato il miglio tra Pelè o Maradona, o oggi tra Messi e Ronaldo.
Penso che chiunque segua il tennis abbia il suo preferito tra i tre, e chiunque possa facilmente argomentare il perché il suo preferito sia il migliore. Ciò che hanno fatto è fuori dal comune.
Per ultimo, come descriveresti Roger tra tre e cinque parole? Non ho detto una o due, ho voluto lasciarti respirare
Un essere umano straordinario (In Serbo o Croato è una sola parola: “ljudina”). Genio. Sport. Eccellenza, in qualsiasi cosa faccia.