Fra le nuove leve del tennis è sempre più evidente un problema di condotta. Solo nei primi mesi del 2022 ne hanno combinate di tutti i colori, fra insulti agli arbitri, racchette che volano di continuo, ritiri per scarsa voglia e altro ancora. L’ATP continua a chiudere un occhio, e il problema si sta ingigantendo. Fino a quando è giusto tollerare e dove è invece necessario intervenire?

Con Carlos Alcaraz e – si spera – Jannik Sinner il tennis mondiale potrebbe aver risolto la questione ricambi per quando Nadal, Djokovic e Federer si faranno definitivamente da parte, chiudendo il capitolo più intenso nella storia della racchetta. Ma negli ultimi mesi si sta facendo sempre più largo un secondo problema, meno preoccupante in termini di business ma molto di più a livello etico e morale, perché legato alla condotta delle nuove leve. Il mito del tennis come sport silenzioso e ligio alle regole è scaduto da un pezzo, anche perché un certo John McEnroe faceva impazzire gli arbitri quarant’anni fa, mica l’altro ieri. Tuttavia, quella sana sfrontatezza (o maleducazione) in salsa Next Gen che sembrava potesse dare una nota di freschezza al Tour, dopo 15 anni abbondanti dominati da tre fenomeni di tennis e di politically correct, ha già raggiunto un livello preoccupante, in particolare in un avvio di 2022 nel quale si sono susseguiti episodi molto discussi, tranne che da una ATP spesso immobile. Dalla sfuriata di Medvedev contro il giudice di sedia a Melbourne, all’ultimo, il curioso ritiro di Alexander Bublik a Monte Carlo, causato da un fortissimo attacco di allergia alla… terra battuta. Il kazako, sotto di un break al terzo, si è stancato di lottare con Carreno Busta, gli ha stretto la mano e se n’è andato, sbattendosene allegramente di tutti coloro che per quel match avevano pagato un biglietto. Un comportamento che potrebbe costargli caro, visto che il regolamento non permette di ritirarsi senza un valido motivo. Tuttavia, inventarsi un problema a caso non è difficile, e le sanzioni dell’ATP – quando arrivano – non sembrano esattamente le più severe del pianeta.

In mezzo ai due episodi, la lista degli eccessi comportamentali è lunghissima è viene ritoccata a ogni torneo. C’è stato quello gravissimo di Alexander Zverev ad Acapulco, dove il tedesco (tutt’altro che nuovo a episodi di scarso rispetto verso gli arbitri) ha pensato bene di sfogare la rabbia a suon di racchettate contro la sedia del povero – e bravissimo – Alessandro Germani. La sanzione? Prima l’ovvia squalifica dal torneo, poi una multa di 23.000 euro (noccioline) e uno stop di otto settimane dalle competizioni, ovviamente sospeso con la condizionale, da tempo diventata una delle migliori amiche di chi decide. In sintesi, il tedesco l’ha passata liscia anche stavolta e la questione ha messo a nudo una volta di più la maggiore tutela da parte dell’ATP nei confronti dei giocatori, piuttosto che dei suoi stessi ufficiali di gara. Non sorprende, visto che a mandare avanti la baracca sono i giocatori e non gli arbitri, ma ne va comunque dell’integrità e della credibilità del prodotto tennis, che negli ultimi tempi sta collezionando brutte figure. Molte le ha attaccate sull’album Nick Kyrgios, che sarà più vero di tanti altri ma esagera comunque ormai a ogni singolo torneo, e si sono ritagliati il proprio posto anche Jenson Brooksby, che in Florida ha lanciato una racchetta e colpito un raccattapalle, e l’immancabile Stefanos Tsitsipas, che a suon di toilet break eterni e ripetuti coaching di papà Apostolos ha fatto inalberare più di un avversario, ma continua bellamente a fregarsene. Alcuni si scusano, altri fanno finta di nulla, l’ATP chiude due occhi e il problema continua a ingigantirsi.

In arrivo un nuovo codice di condotta, ma serve di più

Anche Federer, Nadal e soprattutto Djokovic hanno avuto i loro eccessi comportamentali, ma si è trattato di pochi casi isolati, sparsi in anni e anni di carriere esemplari. Ora, invece, fa quasi strano vedere dei giovani alla Alcaraz o alla Sinner, che in campo ci vanno per giocare, e la racchetta dalle mani non se la fanno scivolare mai. Un caso che siano i due under 21 più forti del mondo? Probabilmente no. Più in generale, viene da chiedersi fino a che punto sia giusto tollerare certi comportamenti, e dove e quando sia invece necessario intervenire per reprimere gli eccessi. Fino a quando Bublik dice apertamente di odiare la terra battuta, mentre Kyrgios racconta di giocare solo per garantirsi la pensione, va più che bene. C’è chi gli punta il dito contro, ma sono opinioni personali, e non fanno altro che aggiungere un po’ di pepe a uno show che fuori dal campo è fra i più piatti nel mondo dello sport. Idem qualche comportamento un tantino sopra le righe durante gli incontri, che serve a scaldare l’atmosfera e a rendere il prodotto più appetibile. Ma – l’ha detto anche il presidente ATP Andrea Gaudenzi, in una freschissima intervista ai microfoni di Sky Sport – gli eccessi no, quelli vanno puniti. Se un giocatore si sfoga con se stesso è un conto, ma quando la sua condotta rischia di mettere in pericolo l’incolumità di raccattapalle, ufficiali di gara o addirittura spettatori, servono sanzioni in grado di educare. E senza la condizionale.

Dopo alcuni degli episodi più recenti, l’ATP ha chiesto maggiore severità ai suoi stessi giudici di sedia, anche se la questione è piuttosto più complicata, proprio a causa della troppa discrezionalità lasciata agli arbitri. A volte può essere un bene, qui lo è meno. Una sorta di casistica esiste e viene applicata, ma evidentemente ne serve una ancora più specifica. La buona notizia è che, sempre per parola di Gaudenzi, l’ATP sta lavorando insieme a WTA e ITF per strutturare un codice di comportamento unico e condiviso, che possa venire applicato in maniera inequivocabile da chi siede sul seggiolone. Eliminerebbe le difformità e permetterebbe ai giudici di sedia di agire con maggiore sicurezza, senza obbligarli a galleggiare sul confine sottile che separa la troppa tolleranza dall’eccessiva severità. Tuttavia, la responsabilità degli arbitri rimane limitata, perché anche durante un incontro le decisioni più importanti spettano comunque al supervisor, mentre le possibili sanzioni arrivano – o dovrebbero arrivare – da ancora più in alto. Se si vuole risolvere il problema, o quantomeno tamponarlo, delle multe che valgono sì e no il montepremi di un primo turno, o degli specie di avvertimenti mascherati da sospensioni sospese, non bastano di certo. E rischiano anzi di far passare il messaggio che ormai tutto è lecito. Se il tennis non vuole perdere credibilità serve di più.