Con i nuovi format nelle competizioni a squadre, il doppio maschile è arrivato spesso e volentieri a esserne l’ago della bilancia
Il tema del doppio, di stretta attualità con le ultimissime vicende in svolgimento a Sidney, è tornato a sollevare opinioni diffuse in arrivo da miriadi di appassionati e anche da ex Davisman interpellati allo scopo. Tutti lamentano l’eccessivo peso della specialità sia in Coppa Davis sia nell’ATP Cup e fin qui non ci piove. Apro l’ombrello, invece, di fronte al convincimento generale secondo cui i più forti dovrebbero accoppiarsi, seppure sporadicamente, per dar vita a dei buoni team da utilizzare alla bisogna. Con tutto il rispetto, mi sento di dire che è una visione sbagliata del problema e aggiungo che l’errore è già stato fatto a bomba pensando che il tennis, diversamente da altri sport, potesse reggersi sulla sola specialità del singolare invece che aprirsi ad altre variazioni come il doppio e il misto. Sarebbe come se l’atletica si fosse limitata ad amplificare i cento metri piani tenendo nella nebbia il resto delle gare.
Avere amplificato a dismisura il singolare a danno del resto, ha impoverito il tennis sul piano della spettacolarità e della popolarità ma soprattutto non ha stimolato, in alcuni paesi, la nascita di doppisti ad hoc! Ora accade che, mentre il misto non ha riscontro nei grandi campionati a squadre, con i nuovi format per nazioni, il doppio maschile è arrivato a esserne l’ago della bilancia in modo eccessivo. Detto ciò, mi viene da pensare che il problema non si risolverà invitando i più forti ad accoppiarsi per ragioni di botteghino, perché non basterà a renderli vincenti contro coppie che hanno scelto di fare quello tutto l’anno divenendo degli specialisti. Serve, invece, individuare giocatori tagliati per la carriera di doppisti, possibilmente dello stesso paese e valorizzarli per tali senza chiedere a nomi blasonati di scendere in campo improvvisandosi doppisti, talora a malavoglia e per amor di patria. Ognuno la sua specialità e ognuno con la sua brava fetta di gloria. Mennea era un velocista e si sarebbe guardato bene dal disputare la tremila siepi. Così come Tomba si limitava allo slalom lasciando che Ghedina fosse il re della discesa libera.