Sedi che cambiano, spalti vuoti, costi esagerati per organizzatori e pubblico, top player assenti, poca chiarezza dal gruppo Kosmos e un malcontento sempre più diffuso. La riforma che prometteva di rilanciare la Coppa Davis, rendendola ricca e appetibile, non sta facendo felice nessuno. Nemmeno i suoi ideatori
Da qualche anno a questa parte, per un motivo o per un altro, Coppa Davis è sempre sinonimo di polemiche. La rivoluzione targata ITF e Kosmos è stata prima criticata perché ha snaturato una competizione storica eliminando le sfide casa-trasferta e snellendo il format degli incontri, poi per le continue modifiche alla formula, quindi per una generale carenza di certezze. Le finali del 2021 erano state declassate dalla Caja Magica alla Madrid Arena, mentre quest’anno sono state trasferite a Malaga che inizialmente doveva essere la sede di un girone, segno che la casa designata per le finali è venuta a mancare. A questo clima di incertezza, parola che non dovrebbe avere nulla a che fare con quello che di fatto è il campionato del mondo di uno degli sport più popolari del pianeta, si sommano le già tante critiche arrivate nelle prime due giornate di gara, che hanno confermato i sospetti emersi già all’annuncio del nuovo format. Le sfide nelle quali non gioca la squadra di casa vengono disertate dagli spettatori, o poco ci manca. Una situazione francamente inevitabile: che interesse può avere una sfida Australia-Belgio giocata ad Amburgo, senza lo straccio di un top player e per di più in un pomeriggio di metà settimana? È andata un po’ meglio a Bologna, dove il clima per Argentina-Svezia era migliore grazie ai soliti rumorosissimi tifosi argentini, ma è evidente che così non va. Anche senza voler entrare nel merito dell’evidente vantaggio consegnato a chi gioca in casa, solo perché ha alle spalle una Federazione forte in grado di accollarsi gli ingenti costi organizzativi e sopperire a delle eventuali perdite. Chi ha soldi da investire ha un vantaggio, chi non ce li ha si arrangia. Giusto? Mmm.
Va detto che in Germania hanno deciso di cominciare alle 14, forse troppo presto, ma chi ha deciso di iniziare gli incontri più tardi per garantirsi più spettatori va incontro ad altri problemi. Come le due sfide di mercoledì terminate dopo la mezzanotte sia a Valencia e Glasgow, con le critiche di Andy Murray che ne ha fatto un discorso più generale, puntando il dito contro quella – vedi lo Us Open, ma non solo – che nel tennis sta diventando un’abitudine non troppo simpatica. È andata a finire che per il doppio di Stati Uniti-Gran Bretagna i presenti erano meno la metà dei paganti, perché la gran parte se n’erano andati al termine dei singolari. E la colpa, stavolta, non è dello scarso appeal del doppio (anche perché giocato sull’1-1), quanto dell’orologio. Da Amburgo, invece, sono arrivate le lamentele di Jan-Lennard Struff, che ha polemizzato sul prezzo eccessivo dei biglietti, fra le ragioni della scarsa affluenza. Ma tutto parte, di nuovo, da questioni di costi, sia quelli per accaparrarsi l’evento sia quelli organizzativi, difficili da sostenere per un evento spalmato su sei giorni ma che “vende” solamente per tre, quelli nei quali è impegnata la squadra di casa, sia Germania, Italia, Spagna o Gran Bretagna. Per far quadrare i conti è necessario alzare i prezzi, ma alzando i prezzi c’è il rischio di veder calare le vendite, quindi di guadagnare ancora meno. È un cane che si morde la coda. Pare che non tutte le promesse iniziali del gruppo Kosmos di Gerard Piquè – che giustificavano certi investimenti – siano state rispettate, così la situazione è diventata difficile da sostenere.
Moretton tuona contro Piquè: “pensa solo ai soldi”
Il più polemico contro gli organizzatori della nuova Davis è stato Gilles Moretton, presidente della FFT (la Federtennis francese), che in un’intervista col quotidiano L’Equipe ha attaccato duramente Piquè, reo – a suo dire – di pensare solamente al denaro. “Lo schema della competizione – ha detto – è cambiato tanto rispetto a quando l’abbiamo approvato. E il prossimo anno sarà peggio: con alcuni Masters 1000 estesi a più giorni, il turno di qualificazione si giocherà in contemporanea con alcuni tornei ATP, quindi non sarà protetto dal calendario. Eravamo stati coinvolti anche noi nei negoziati per organizzare uno dei gironi, Piquè è venuto a trovarci per farci delle proposte, ma le regole del gioco non sono chiare, nulla è chiaro. Le quattro città ospitanti hanno pagato caro per avere la competizione, ma così è una perdita di denaro. A Piquè non importa del tennis, vuole solo trovare un sistema per fare soldi. In tre anni ne hanno persi molti e i premi per i giocatori annunciati quando è nata la competizione sono già stati ritoccati al ribasso. Trovo che l’interesse sportivo sia scomparso”. Moretton non le ha mandate a dire nemmeno all’ITF, che a suo dire non si occupa di tutelare il tennis come dovrebbe. Parole forti, ma in parte condivisibili. La competizione ha perso completamente lo spirito che gli aveva permesso di farsi apprezzare per oltre cent’anni, tradita da una rivoluzione che promettendo soldi a destra e a manca ha ingolosito tutti (o quasi). Ma per il momento si sta rivelando un flop e sembra non avere grande spazio di manovra per rialzarsi.
Altro aspetto da non dimenticare è la quasi totale assenza dei top player: fra i primi 10 giocatori del mondo solo in due sono presenti nei quattro gironi, Carlos Alcaraz (che non ha giocato il primo incontro) e Cameron Norrie. Va detto che qualcuno era impossibilitato per ragioni fisiche, altri perché la Russia è stata esclusa, altri ancora perché il proprio paese non fa parte del World Group e lotta nelle serie minori. Ma i nomi caldi per davvero mancano per scelta. Rafael Nadal ha preferito riposare, Novak Djokovic ha lasciato il suo paese orfano per scelte di programmazione (anche se la scorsa settimana è stato visto con una fasciatura al polso), mentre Nick Kyrgios, che non è un top-10 ma i biglietti li fa vendere, ha preferito tornare in Australia dopo lo US Open, senza passare dall’Europa. Poi non c’è Shapovalov, non c’è Cilic e non ci sono altri. È evidente che, da quando alla competizione è stata aggiunta una fase in più (sono tre, mentre erano due nel 2019, anno di nascita dell’evento), i big sono tornati al vecchio modus operandi: nei turni preliminari si fanno vedere col contagocce, poi se la loro nazione arriva alla fase finale provano a esserci. Significa che anche l’obiettivo di farli giocare di più con la maglia della nazionale, fra i motivi che potevano rendere la riforma un po’ meno antipatica, fino a qui è stato fallito. E se loro non giocano comunque, il pubblico è scontento perché compra i biglietti per vederli e poi non se li trova, gli organizzatori dei gironi non ottengono gli incassi sperati e il gruppo Kosmos si trova costretto a fronteggiare grandi perdite, pare sul serio che da questa riforma non ci stia guadagnando nessuno.