Federico Gaio è stato raggiunto da Il Tennis Italiano e ha tracciato un bilancio dell’ultimo periodo: dal finale di stagione all’inizio del rapporto con Fabio Colangelo
“Se non ho raggiunto la top 100 forse mi manca ancora qualcosa. Ci arriverò quando lo meriterò”
Federico Gaio è ripartito da Torino e dalla guida di Fabio Colangelo. Il tennista di Faenza archiviata la collaborazione con Daniele Silvestre si è già spostato nel capoluogo piemontese dove da qualche settimana si allena in vista del 2021. L’anno conclusosi è stato indubbiamente buono: la vittoria a Bangkok ed il best ranking alla posizione numero 124 ATP sono stati il culmine prima della pandemia che ha inevitabilmente condizionato la ripresa. In attesa di sapere come sarà strutturata la nuova stagione, Federico è stato raggiunto da Il Tennis Italiano e ha tracciato un bilancio dell’ultimo periodo.
Silvestre ti seguiva ormai dal 2016, come siete giunti all’interruzione del rapporto? E allo stesso tempo come sei entrato in contatto con Colangelo?
“Il mio vecchio team per un insieme di motivazioni ha preferito non continuare con me, di conseguenza l’interruzione è stata obbligata e non ho potuto fare molto. Colangelo invece l’ho sentito tramite Danilo Pizzorno, con il quale continuerò la mia collaborazione. Gli ho chiesto se conoscesse qualcuno che poteva fare al caso mio: lui mi ha suggerito Fabio e dopo aver valutato diverse opzioni, ho ritenuto fosse la scelta migliore”.
Questo cambio ti aiuterà più sul piano motivazionale o su quello tecnico? Considerando che Fabio potrà darti un punto di vista differente
“Credo aiuterà a tutto tondo. È un progetto nuovo, il livello è alto e c’è tanta voglia di migliorare facendo le cose bene. Questa sfida è stimolante sia dal punto di vista mentale che da quello tecnico, dove potrò inserire cose nuove”.
Quando presi Silvestre al tuo fianco, lui da subito era convinto potessi approdare in top 100. Ti dispiace non essere riuscito a raggiungere questo obiettivo insieme lui?
“Mi dispiace, ma in generale mi dispiace non essere ancora arrivato in top 100. È un obiettivo per il quale lavoro e se non l’ho raggiunto evidentemente è perché ancora mi manca qualcosa. Diciamo che entrerò nei primi cento quando lo meriterò. Poi la strada naturalmente non sarà in discesa anche perché a livello organizzativo ogni classifica ha le sue difficoltà. Adesso magari mi ritrovo a dover decidere se giocare un Challenger di alto livello o provare le qualificazioni ATP rischiando di non entrare; ma allo stesso tempo anche chi è 60 del mondo si chiede: provo a giocare un ATP 250 senza essere testa di serie o provo a vincere un Challenger 125? Quando organizzi la tua stagione devi essere bravo a capire quando è meglio giocare un evento piuttosto che un altro”.
A proposito, ad inizio stagione hai provato a giocare qualificazioni ATP in America del Sud entrando da lucky loser a Cordoba e Rio. Che settimane sono state?
“Ero reduce dalla vittoria di Bangkok e stavo giocando molto bene. In Sud America le mie prestazioni sono state abbastanza soddisfacenti, ma non quanto quelle in Thailandia. Ho fatto qualche partita così così, o meglio qualche punto; perché alla fine giocano tutti ad alto livello e le partite si decidono in pochi frangenti. Mi spiace non aver sfruttato tutte le occasioni che ho avuto, infatti so di dover lavorare tanto sulla continuità dato che sono convinto di aver picchi molto alti ma allo stesso tempo qualche passaggio a vuoto di troppo”.
Durante il lockdown tra l’altro hai detto che troppe volte ti concentravi su ciò che facevi male piuttosto che sulle cose buone. Nella seconda metà di 2020 sei riuscito ad apprezzare di più ciò che hai fatto bene?
“La seconda parte di stagione è stata altalenante, gli ultimi mesi poi mi ero già lasciato con il mio team e non ero troppo focalizzato su me stesso. Dalla prossima stagione invece proverò a migliorare questo aspetto e di conseguenza guarderò maggiormente ciò che so fare: anche perché alla fine si gioca con i punti di forza”.
“In Australia hanno avuto tempo per organizzarsi. Le qualificazioni all’estero non sono la soluzione migliore”
Alti e bassi dopo il lockdown, però quanto fatto prima ti ha permesso di giocare a New York il secondo main draw slam in carriera.
“Sicuramente è stata una bellissima esperienza, eravamo un po’ scettici sull’organizzazione e invece si è rivelata la migliore del post Covid. Quando giochi a questi livelli capti cose che i Challenger non ti trasmettono, vedi come lavorano i migliori e come interpretano determinate scelte in campo. Tutto questo ti aiuta a capire cosa devi migliorare”.
Paradossalmente è stata peggio la bolla di Parigi da quello che ho potuto sentire.
“Al Roland Garros è stata nettamente peggiore. L’hotel non ha adibito spazi all’aria aperta, il cibo non era un granché, hanno organizzato male i tamponi ed in generale ci sono stati troppo controsensi. Noi non potevamo uscire in città, ma gli altri clienti potevano entrare ed uscire tranquillamente dall’albergo aumentando i rischi della diffusione. A New York l’organizzazione è stata migliore su tutta la linea, questa è la verità e credo che tutti i giocatori possano confermarlo”.
Seppur in misura minore sei riuscito a viaggiare a abbastanza: come sono cambiate le cose?
“Le cose sono cambiate molto a livello di spostamenti, prendi meno voli ed in generale ci sono meno connessioni. La verità è che non è facile ed i tornei cercano di fare del loro meglio. I Challenger faticano maggiormente perché trovare spazi e riservare posti per i giocatori non è una passeggiata. Però anche in questo caso ci sono tanti controsensi: per esempio c’è stato un torneo dove noi giocatori non potevamo mangiare nella sala colazione, ma abbiamo poi scoperto che per gli altri ospiti era aperta regolarmente; onestamente non abbiamo capito perché noi che eravamo testati dovessimo mangiare in camera. Inoltre ci sottoponiamo a tantissimi test però poi non viene evitato il contatto con gli spettatori o il personale non indossa le mascherine. A fronte di tanti obblighi delle volte c’è poca chiarezza, poi ribadisco di essere consapevole delle difficoltà che gli organizzatori devono affrontare”.
Si avvicina la call con l’ATP per il calendario, che comunicazioni vi sono arrivate ad oggi?
Martedì 15 dicembre dovrebbe esserci il meeting, vedremo un po’ cosa diranno. I giorni passano ma al momento ci sono tante voci e poche certezze. Non sappiamo niente e non è confortante quando devi organizzare una stagione”
Immagino tu ti riferisca anche alle qualificazioni degli Australian Open.
“Di certo non ho apprezzato la decisione di far giocare all’estero le qualificazioni, sempre che ci saranno. In Australia hanno avuto più tempo di tutti per organizzarsi e non capisco come non siano riusciti ad arrivare prima ad una soluzione. Ciò che dico potrà essere brutto, ma la scelta del governo dello stato di Victoria di accogliere solo chi giocherà il main draw non è consona con ciò che gli australiani hanno sempre fatto, considerando che gli Australian Open sono il torneo meglio gestito del circuito insieme ad Indian Wells. Come detto poi manca pochissimo e non sappiamo ancora se, quando e dove si giocheranno le qualificazioni. Si parla di Dubai, ma sarebbe bello avere una conferma dato che ci dobbiamo organizzare”.
Secondo te quanto saranno differenti le condizioni di Dubai piuttosto che Doha rispetto a quelle australiane?
“Bella domanda, sicuramente si avvicineranno di più rispetto a quelle che possiamo trovare in Europa: immagino un clima molto caldo. Poi per capire in che condizioni si giocherà dovremo vedere i campi e capire se la superficie sarà simile a quella degli Australian Open. Al momento è difficile fare previsioni”.
Nonostante tutte le incognite, non pensi che questo format potrebbe trasformarsi in un vantaggio? Chi staccherà il pass per il main draw si potrà presentare al torneo senza la fatica dei tre match di qualificazione.
“Da questo punto di vista è vero però da un altro si falsa tutto. Questo perché se a Melbourne si dovessero giocare tornei prima dell’Australian Open la domanda sarebbe: chi si qualifica riesce a giocare quel torneo o sarà costretto ad allenarsi?. Io immagino e spero che organizzino un 750 ed un 250 per permettere a tutti i 128 partecipanti di giocare”.
Non conoscendo il calendario e non avendo la certezza sul da farsi per le qualificazioni degli Australian Open: come stai organizzando il lavoro e con che motivazioni?
“Questa preseason la sto organizzando tenendo conto delle qualificazioni, se non ci dovessero mi regolerò di conseguenza. Immagino comunque che un calendario uscirà a breve e quindi potrò organizzarmi. Indipendentemente da ciò io continuo a lavorare per migliorare sotto ogni punto di vista e provo ad essere pronto per l’inizio della stagione”.