Dopo la rapida epifania di Doha, Roger ha deciso di saltare Dubai per allenarsi meglio in vista degli obiettivi che gli premono di più, primo fra tutti Wimbledon. Nel 2021 dovremo abituarci a lunghe assenze, ma senza dimenticare che Federer per primo coltiva la pazienza come grande virtù capace di allungare la carriera

“Ed è di nuovo solitudine”. Stavolta non prendiamo le mosse da un passo biblico, patristico o filosofico, ma dall’incipit di una canzonetta. Sì, perché questo quasi endecasillabo – e il primo match di Roger a Doha si è chiuso “con un rovescio lungolinea elegante come un endecasillabo”, copyright del Direttore – esprime bene i nostri sentimenti al termine della settimana del rientro in campo del Re.

Abbiamo scritto tanto in sua assenza, e ora che è tornato a giocare ci mancano le parole. Che dire? Due partite tirate contro avversari che fino a un paio d’anni fa avrebbe battuto facilmente. Qui ha vinto con Evans e perso con un ottimo Basilashvili, poi vincitore del torneo, dopo aver ovviamente sprecato un match point. Sudore, fatica, timing talora approssimativo, comprensibile ruggine nei movimenti e in alcuni colpi. Eppure anche tanta bellezza, grazia, un tennis quasi d’altri tempi, che da quattordici mesi non si vedeva. Al momento però non bastano per vincere due partite di fila, e c’era da aspettarselo. Anche se il cuore vorrebbe vederlo ai massimi livelli, dunque qua e là si è sprecata un po’ di retorica, pur comprensibile, visto il bisogno che abbiamo di belle notizie!

Ma il punto è un altro. All’indomani della sconfitta, sua Maestà ha annunciato che non giocherà a Dubai, perché sente il bisogno di tornare ad allenarsi. Rientrerà forse per la stagione sul rosso, in modo da essere in piena forma per i pochi tornei su erba. Per Wimbledon, diciamola tutta, e poco altro che seguirà. Ed eccoci di nuovo soli, sedotti e abbandonati. Sarà il leit-motiv di questo secondo anno dell’era Covid: Roger apparirà e scomparirà, raramente e con brevità (“rara hora et parva mora”, direbbe con tono mistico Bernardo di Clairvaux). Che fare? Cominciare a familiarizzarci con il dopo Federer, godendo dei lampi che ci riserverà nel breve frattempo prima di quel giorno.

È ora di affinare le armi per questa battaglia necessaria, forse l’atto di Federer più realistico, anche se vorremmo sempre rimandarlo. La freccia più acuminata – utile per molto altro in questo maledetto periodo – ci viene suggerita da Pierre Paganini, il violinista dei preparatori atletici. Lui che lavora con Roger da oltre vent’anni e l’ha sempre rimesso in piedi, svolgendo tale lavoro “come una missione” (parole sue). In una sua recente intervista – rarità della casa – ha affermato: “Certo, ci sono dei limiti di età per Roger, ma in questo periodo si allena molto perché vuole per l’appunto sapere qual è il suo limite. Quello che la gente spesso sottovaluta, è la pazienza di cui lui dà prova. Senza questa pazienza, già da tempo avrebbe chiuso con il tennis”.

Qui il biblista che abita in me si risveglia, per farsi e farvi coraggio. Grande virtù quella della pazienza, espressa nel Nuovo Testamento da due parole che sono tutto un programma: capacità di guardare e sentire in grande (makrothymía) e disponibilità a sup-portare (hypomoné) gli altri, a sopportarli, a sostenerli e sostenersi reciprocamente. Senza dimenticare la sfumatura della fatica insita in tutto ciò: pazienza è anche patire, come indica il latino patior, e farlo con molto pathos. Mettiamola giù più semplice: la pazienza-perseveranza è l’arte appassionata di accogliere e vivere l’incompiuto. Di vivere, senza disperare, la faticosa e talvolta scoraggiante parzialità del presente. Una bella fatica!

Gesù ha detto: “Con la vostra pazienza guadagnate le vostre vite”. E anche: “Chi pazienta fino alla fine, sarà salvato”. Spesso leggiamo questi detti in chiave morale o, peggio, moralistica. Credo invece che il maestro di Nazaret volesse, tra l’altro, metterci in guardia sull’importanza di coltivare la salvifica arte della pazienza. Certo, lui non ha conosciuto Roger, ma mi è venuto spontaneo pensare a queste sue parole quando ho sentito l’Artista erompere stizzito in uno dei suoi classici “Chum jetze!”, dopo aver sventato una pericolosa palla break contro Evans. Forse chi non è avvezzo a questo grido del Re, è un po’ perplesso. Ogni cosa a suo tempo. Un giorno ci dedicheremo a una fenomenologia del “Chum jetze!” rogeriano.

Oggi ci basti leggerlo come un invito rivolto a sé e a noi: “Pazienza, miei cari!”. Ne abbiamo più che mai bisogno, per vivere l’attesa di ciò che verrà. Pazientate, gente, pazientate…