Il concetto di stile nel tennis è ancora influenzato dal modello comportamentista. Persino Suzanne Lenglen ne fu contagiata. Il sistema resiste ancora oggi, ma ci sarebbe bisogno di un cambiamento.
Di Luca Bottazzi – 1 ottobre 2014
Tennis e stile è un argomento spesso dibattuto in relazione alle gesta esecutive dei giocatori. Allo stile, ritenuto perfetto, vengono accostati pochissimi campioni quali degni modelli di rifermento. Tuttavia sono diversi gli interrogativi che possono essere sollevati sul tema, ad esempio:
1 – Lo stile è un’omologazione del regolamento?
2 – E' sinonimo di efficacia?
3 – Applicare uno stile riconosciuto e convalidato, alle diverse specificità degli individui, è un fattore possibile?
4 – Quali sono le origini dello stile nel tennis?
Lo stile perfetto e il fascino fiabesco che lo riveste affonda le radici nell'età classica del gioco, quando il tennis era percepito e vissuto come elemento coreografico, praticato da gentiluomini e da gentildonne. Il risultato e il concetto di vittoria era si importante, ma assolutamente a rimorchio di eleganza e comportamento. Le prime scuole tennis nel continente europeo, Gran Bretagna esclusa, furono realizzate istituzionalmente in Francia, già patria della moderna pedagogia (Piaget), nella prima metà del XX secolo. La “Divina” Suzanne Lenglen fu la fondatrice dell'iniziativa d'avanguardia. Il suo principale problema era costituito dalla realizzazione di una metodologia e di una didattica. Nel tempo, questi fattori presero forma attraverso il supporto delle esperienze e delle pubblicazioni del campione americano William Tatem Tilden, riferimento assoluto dell’arte e della scienza del gioco. Ebbene, la Divina realizzò un metodo illustrato nel suo libro: “La mèthode d’initiation au tennis de Suzanne Lenglen”.
SEPARAZIONE TRA CORPO E MENTE
Tuttavia, è importante evidenziare che in quel momento storico tutto il mondo accademico dell'insegnamento si riferiva al metodo comportamentista (Pavlov, Skinner, ecc.), un approccio influenzato da due fattori: stimolo e risposta. Pertanto anche le basi del metodo della Lenglen furono contagiate da questo orientamento. Il comportamentismo si basa sulla visione meccanica dell'apprendimento del movimento umano che ha genesi nella scienza newtoniana del XVII secolo, tipicamente riduzionista e analitica. Sempre nel XVII secolo il filosofo e scienziato Descartes (Cartesio) realizzò il metodo del razionalismo, anch’esso tipicamente analitico, come approccio all’educazione. Il metodo razionalistico cartesiano, a sua volta legato al pensiero di Platone (427/347 a. c.), prevedeva la separazione tra corpo e mente. Allo stesso tempo considerava centrale il fattore tecnico, quindi separato dalle specificità dell’individuo, dalle evoluzioni e dalle richieste dell'ambiente, e dagli elementi di spazio e di tempo che regolano, come è noto, l’intero universo.
LA TECNICA E IL METODO COGNITIVISTA
In seguito, attraverso la storia e le esperienze maturate con l’umanesimo (epoca di Cartesio), l’illuminismo (Rousseau) e il romanticismo (Shiller), oltre a quelle avvenute nella scienza del 1900 grazie alle neuroscienze, corpo e mente sono oggi finalmente riconosciuti come unico insieme bio-psichico che invece interagisce con l’ambiente, adattandosi ed evolvendosi. Attualmente, la fenomenologia tecnica dei giochi sportivi è stata analizzata dagli studiosi ed inserita nell’ambito e nel ruolo che le compete. Ebbene, la tecnica risulta essere uno strumento deputato a risolvere problemi di gioco, che evolve all’interno di un processo, in subordine ad elementi ambientali, situazionali, senso percettivi, strategici, tattici, ecc. Pertanto, al metodo comportamentista si è succeduto, nella seconda metà del XX secolo, il metodo cognitivista (Hebb, Lashley, Neisser), a cui si riferiscono diversi approcci, come ad esempio quello dinamico (Bernstein), quello ecologico (Gibson), quello evoluzionista (Edelman, Nobel nel 1972).
LA FALSA INNOVAZIONE
Malgrado i progressi ed i risultati scientifici prodotti dalla ricerca, il metodo comportamentista resiste ed è attualmente ancora impiegato in moltissime realtà del tennis, anche a livello internazionale. Queste realtà sono oggi sostenute da moderne tecnologie che fungono da cosmesi di un prodotto dai contenuti ovviamente ultra datati e superati. Un prodotto che però viene spacciato e venduto al pubblico come innovativo, grazie alla sua natura esteriore, visiva, immediata, liquida (Bauman). Purtroppo questo enorme equivoco è ancora lontano dall’essere debellato e non solo nello sport del tennis. Un equivoco che costituisce nella pratica un pregiudizio e come disse Albert Einstein: “E' più facile spezzare un atomo che non un pregiudizio”. Necessario quanto impellente è l’arrivo del cambiamento, ma quanto tempo dovremo ancora aspettare?
Luca Bottazzi: ex Nazionale, top 130 ATP, tra i giocatori battuti il campione di Wibledon Jan Kodes. Sparring di Bjorn Borg, allenatore di campioni italiani under 12,14,16,18, e vincitore di un Trofeo FIT. Docente alla facoltà di scienze motorie alla Statale di Milano e socio fondatore di R.I.T.A., associazione culturale e di ricerca in ambito motorio e tennistico con all’attivo varie pubblicazioni, alcune riconosciute a livello internazionale dall’ITF. Attuale direttore della scuola di R.I.T.A. Tennis Academy e voce tecnica per SKY ed Eurosport. Autore con Carlo Rossi del libro “Il Codice del Tennis” Bill Tilden arte e scienza del gioco. Edito da Guerini Next, sarà disponibile in libreria da febbraio 2015.
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