Il caso di Rebecca Marino, sfociato in un ritiro a 22 anni, pone l’attenzione sul rapporto tra tennisti e social network. Il rapporto diretto con i fans (?) può essere pericoloso. Come si può prevenire?
Jarmila Gajdosova ha recentemente chiuso il suo account Twitter
Di Riccardo Bisti – 22 febbraio 2013
Da quando i social network hanno preso piede nel variegato mondo della rete, le distanze si sono ulteriormente appiattite. Realtà come Facebook e Twitter possono creare un forte legame tra professionisti e appassionati. Si tratta di canali di comunicazione che moltiplicano la possibilità di interagire con i personaggi pubblici. Tuttavia, non tutti usano questo strumento per un utilizzo canonico (informarsi sull’attualità, inviare messaggi di sostegno ai propri idoli o semplicemente osservare la vita degli atleti in contesti diversi). Possono esserci pericolose derive. Alcuni utenti si lasciano andare a commenti offensivi e attacchi indiscriminati, protetti da uno schermo che dovrebbe garantire l’anonimato. C’è poi un altro aspetto: lo schermo di un computer cancella tante inibizioni che invece ci sarebbero in un’interazione faccia a faccia. Il problema è esploso nei giorni scorsi con l’intervista del New York Times alla canadese Rebecca Marino. La giocatrice, che qualche giorno dopo ha annunciato il ritiro (definitivo?), diceva che gli attacchi via internet condizionavano il suo rendimento. Pur sapendo che le faceva male, non riusciva a resistere alla curiosità di leggere cosa scrivevano di lei. Lo scorso marzo si è presa una pausa di sette mesi, durante la quale ha cercato un lavoro fuori dal tennis. Nell’intervista sembrava serena. Si percepiva la sensazione che i problemi fossero alle spalle. Meno di 48 ore dopo, a sorpresa, ha annunciato il ritiro e ha cancellato i suoi profili Facebook e Twitter.
La Marino ha scritto:
Grazie a tutti quelli che mi seguono per il loro sostegno. Questo sarà il mio ultimo post su Facebook, visto che a breve cancellerò l’account. Grazie per il sostegno. Semplicemente avverto la necessità di allontanarmi dalle reti sociali per un po’ di tempo, e il modo migliore per farlo è cancellare i miei profili Facebook e Twitter. Grazie per la vostra comprensione.
Sono consapevole del fatto che per un brutto commento ce ne sono molti buoni, per questo vi mando un forte ringraziamento per le vostre parole, appoggio e positività. Voi (fans, amici e famiglia) siete quelli che mi danno la forza per andare avanti”.
Ci vorrebbe uno psicologo. Non è escluso che la Marino possa rivolgersi a un aiuto di questo tipo, visto che poi ha dichiarato di essere caduta in depressione. Prima di lasciare i social network, ha sentito il bisogno di far sapere che ha sofferto. Difficile valutare certe reazioni, sempre molto personali. E non possiamo sapere cosa passa per la testa di un personaggio pubblico, abituato a ricevere i commenti di decine di migliaia di persone. E’ normale che in mezzo ai complimenti ci siano anche le critiche. E’ così per tutti. Serena Williams ha ricevuto alcune critiche dopo la sconfitta in finale a Doha, eppure era appena tornata al numero 1 WTA. Senza contare le enormi pressioni che riceve Rafael Nadal, sia per le difficoltà che sta incontrando che per le continue (e reiterate) allusioni che lo riguardano. Ma perchè i tennisti entrano nei social network? Indubbiamente appaiono più vicini a pubblico, magari migliorano la loro immagine (e di conseguenza l’appetibilità con gli sponsor). Nei casi dei giocatori più famosi, i profili social sono gestiti da agenti e PR, che monitorano con attenzione tutto quello che viene pubblicato. E’ difficile che i pensieri più intimi di Federer, Nadal e Sharapova emergano dai loro profili. Finche si mantiene il giusto distacco (e magari un buon ufficio comunicazione), non ci sono grossi problemi. E poi si tratta di campioni abituati a ben altre pressioni. Tuttavia, i giocatori meno noti non hanno alcun filtro e il rapporto con i fans rischia di degenerare.
Ma cosa spinge gli appassionati a perdere la misura e a superare i limiti del rispetto? Perchè si arriva a minacciare un giocatore se ha perso una partita di tennis? Carlo Maria Cipolla, uno storico che non ha alcun legame di parentela con…Flavio, ha creato una definizione che può andar bene. Cipolla divide la popolazione in quattro tipologie: intelligenti, sfortunati, banditi e stupidi. In merito all’ultima categora, dice: “Una persona è stupida se crea un danno ad altri senza avere alcun tornaconto". Ci può stare, ma non è l’unica motivazione. Spesso, dietro questi gesti di frustrazione, possono esserci ragioni economiche. C'è lo sfogo di chi fatica ad arrivare a fine mese contro chi incassa migliaia di euro pur perdendo ai primi turni. C’è poi la realtà delle scommesse. Dopo il calcio, il tennis è lo sport su cui si scommette di più. Con l’avvento di internet, ogni partita è una buona occasione per guadagnare o perdere denaro. La frustrazione per una sconfitta può portare agli abusi sopra descritti. “Hai buttato la partita nella spazzatura, mi sei costata un mucchio di soldi, vai all’inferno, devi morire”. Sono solo alcuni dei messaggi ricevuti da Rebecca Marino.
Questo genere di attività sono diffuse soprattutto nei Balcani. Lo ha detto il bosniaco Amer Delic, che ha ammesso di essere stato attaccato via internet dopo alcuni suoi incontri. “Sono cose che succedono. Quando mi sono iscritto a Twitter, sapevo che qualcosa sarebbe successo. Non c’è niente da fare, i social network funzionano così". Il tennis è uno sport individuale, con i suoi vizi e virtù, quindi è facile prendersela con un solo individuo. L’ultimo caso è piuttosto recente e riguarda Jo Wilfried Tsonga: dopo la sconfitta per mano di Igor Sijsling al primo turno del torneo ATP di Rotterdam, il francese è stato oggetto di alcune critiche, anche razziste. Ci sono vari modi di reagire: c’è chi blocca l’account (come ha fatto recentemente Jarmila Gajdosova), chi risponde direttamente (pochi) e chi cerca di mettere in cattiva luce i “cyber-bulli”, esponendoli a un mucchio di critiche. L’impressione è che non si possa tornare indietro. La tecnologia va avanti e bisogna prenderne atto. L’unica difesa plausibile è la consapevolezza: nel momento in cui un giocatore si iscrive a un social network, sa a cosa va incontro. E’ un impegno in più, con tutti gli effetti collaterali che comporta. Con la differenza che le interviste sono obbligatorie, i social network no. Starà a loro capire se ne vale la pena. Nella speranza che il caso di Rebecca Marino, per certi versi drammatico, sia un insegnamento per tutti gli altri.
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