Smaltita rapidamente la delusione per il Grande Slam mancato, il serbo a Bercy è tornato alla vittoria ‘vendicandosi’ di Medvedev e dando l’impressione in finale di preparare nuove soluzioni più aggressive del solito

Una delusione come quella patita agli Us Open avrebbe piegato chiunque. Giungere a una spanna dal grande poker, toccarlo quasi con mano, sentirne l’aroma e ….puff vederlo invece sfumare nell’arco di tre maledetti set, dev’essere quanto di più terribile possa accadere a un giocatore. Qualcosa difficile da cui riaversi, così come accaduto a Serena Williams sulla stessa vetrina dell’ Artur Ashe qualche anno prima di Novak Djokovic.
Ma parliamo di grande slam che seppure a tre quarti del suo compimento, è comunque roba che attiene ai più grandi, a coloro che hanno qualità tecniche e fisiche da vendere e che soprattutto hanno forza mentale per fare guerra al mondo.
Così, riposto il forte rammarico provato in terra americana, Nole ha visto la sua rinascita al torneo di Bercy, appena due mesi dopo. L’ha fatto con l’idea di ripristinare le cose guardando dritto avanti: il passato è passato e non macina più!
Sul suolo francese, invece, ha macinato match su match ritrovando motivazioni indispensabili a proseguire sulla via del successo.
La chiave di questa vittoria parigina è maturata per via di quei match vinti al terzo: in esordio con Fucsovics, in semi con Hurkcacz e infine nel match clou opposto a Medvedev. Per ritrovare la giusta condizione agonistica non c’è miglior cosa che stiracchiarsi qualche confronto punto su punto mettendo in circolo adrenalina pura.
Una finale dal sapore particolare, perché riportata ai danni del suo fustigatore nella Grande Mela. Un brutto pesce dotato di insolita manina unita a una mobilità di prim’ordine. Daniil Medvedev ha fatto i suoi giochi di prestigio ma questa volta il serbo si è tenuto lontano dalla ragnatela, manovrando dal di fuori con geometrie accurate e con la solita gestione dei punti, pressoché perfetta.
Non solo: ha offerto una versione di sé votata alla presa della rete dove, su una trentina di incursioni, ha intascato quasi altrettanti punti. Tanto da offrire la sensazione che sia stata per lui una partita di studio, un’occasione per provare cose nuove contro un avversario con il quale da qui in avanti dovrà fare i conti con buona possibilità di non farli quadrare.
E così come accade per gli assi di questo sport, alla luce di nuove vittorie si accendono tutta una serie di record che fanno venire i brividi. Nel caso di Djokovic, la sesta vittoria in terra di Francia, vuol dire sette volte numero 1 del mondo a fine anno, trentasettesimo master 1000 in bacheca e chissà quanto altro ancora.
Insomma, abbastanza per per superare l’incidente di New York e guardare avanti con rinnovata fiducia.