La scelta degli Stati Uniti di prorogare al 10 aprile l’obbligo vaccinale per i non residenti rischia di privare di nuovo Djokovic della possibilità di giocare a Indian Wells e Miami. Una situazione che già lo scorso anno l’ha frenato parecchio, costandogli il numero uno del mondo. Oggi pare fuori da ogni logica
La classifica ATP dice che il numero uno del mondo è Carlos Alcaraz e per trovare Novak Djokovic bisogna scorrere fino alla quinta casella, ma a volte anche il sistema più meritocratico può mentire. Agli occhi di tutti il vero leader del tennis mondiale è il serbo: “Nole” lo sa, non si nasconde e quest’anno parte anche con l’obiettivo di riprendersi ciò che le vicende del 2022 gli hanno tolto. “Con tutti i giovani che stanno arrivando ad alti livelli – ha detto da Adelaide il campione serbo, citando Alcaraz, Rune, Auger-Aliassime e Musetti – credo che il futuro del tennis possa essere in buone mani. Ma sia io sia Nadal cercheremo di rovinare i loro piani ancora per un po’. Non so dire quanto, ma ci proveremo”. Tradotto: come aveva già detto a Torino dopo il trionfo alle ATP Finals, mister 21 Slam ha la stessa fame di sempre e butta nella mischia anche Nadal, eterno rivale che può diventare alleato quando si tratta di far la guerra alla nuova generazione. Sul maiorchino c’è qualche dubbio in più perché non perdeva così tanti incontri da inizio carriera (ma attenzione: impossibile dimenticare come andò a Melbourne lo scorso anno), mentre non ce n’è mezzo su Djokovic, tornato a mettere d’accordo tutti. Se nell’anno nuovo tennis e politica riprenderanno a viaggiare su binari diversi, per quanto riguarda la pandemia ma anche il conflitto Russia-Ucraina (vero, Wimbledon?), ci sono tutte le premesse per vederlo tornare dove solamente l’assenza forzata da due Slam e quattro Masters 1000 gli ha impedito di restare, senza considerare i Championships senza punti in palio. Tuttavia, le notizie che arrivano da America e Asia dicono che nemmeno il 2023 dovrebbe essere l’anno di un pieno ritorno alla normalità.
In Cina la pandemia pare ripartita e il Covid-19 è di nuovo un grosso problema, il che rende tutt’altro che scontato il ritorno del circuito da quelle parti, ma per Djokovic il nemico numero uno potrebbero essere di nuovo gli Stati Uniti, che nel 2022 gli sono costati uno Slam e quattro Masters 1000, e hanno appena prorogato al 10 aprile l’obbligo vaccinale per i non cittadini che intendono entrare nel paese. Un requisito abbandonato ormai dalla gran parte delle nazioni ma non dalla Transport Security Administration del governo Biden, evidentemente spaventato dalle notizie che arrivano da Pechino e dintorni. Ne deriva che Djokovic (così come gli altri tennisti non vaccinati contro il Covid) potrebbe trovarsi di nuovo costretto a rinunciare per volontà altrui ai primi due Masters 1000 dell’anno, come gli è già successo nella passata stagione. Una situazione destinata a tradursi nuovamente in un vantaggio per i diretti concorrenti, continuando a fare un torto al tennis e anche al suo ranking, che da quando è esplosa la pandemia ha gradualmente perso credibilità. Prima con la classifica biennale che ha reso la vita difficile a chi puntava a scalare posizioni, e poi proponendo un numero uno che, pur trattandosi di un fenomeno destinato a stare lassù per lungo tempo, in questo momento non è ancora il miglior tennista del mondo.
Djokovic merita di poter giocare quanto i colleghi
In attesa di sviluppi dagli Stati Uniti, Djokovic ha iniziato la sua stagione da quell’Australia dove nel 2022 era stato cacciato via come un appestato – con tanto di visto cancellato per tre anni – perché senza vaccino contro il Covid-19. Dodici mesi più tardi, invece, è stato accolto con sorrisi ed entusiasmo ad Adelaide, come se non fosse mai successo nulla. Il che fa pensare che anche a Melbourne, come ha detto Craig Tiley, CEO di Tennis Australia e direttore del primo torneo stagionale del Grande Slam, Novak riceverà un’accoglienza degna del giocatore che ha vinto il titolo per nove volte. Il motivo? Semplice: nell’ultimo anno è cambiata completamente la percezione della pandemia e quindi ciò che nel 2022 veniva visto come un comportamento da delinquente è tornato di nuovo meno importante dei suoi risultati sul campo da tennis, e della voglia degli australiani di vedere in azione il più forte di tutti. L’umore della gente nei suoi confronti si è capovolto completamente: lo scorso anno il cattivo era lui, etichettato come untore e inviso all’opinione pubblica per un presunto desiderio di regole ad personam, mentre ora i cattivi paiono diventati i governatori di quei paesi – Usa in primis – che causa restrizioni ancora in atto non gli permettono di fare il proprio mestiere.
Se le limitazioni targate 2023 dovessero ridursi solamente ai tornei di Indian Wells e Miami, Djokovic avrebbe comunque il tempo e lo spazio necessario per tornare a comandare la classifica. Ma qualora l’obbligo venisse esteso ulteriormente fino a sovrapporsi alla seconda trasferta americana dei tennisti (agosto) potrebbe ripetersi la stessa situazione già vissuta lo scorso anno, con un giocatore che vince più degli altri ma non può giocare quanto loro, pertanto non riesce a mettere insieme punti a sufficienza per stare dove gli compete. Sarebbe un peccato perché, seppur a intermittenza, priverebbe il circuito di una delle sue attrazioni principali, per ragioni non sportive e con motivazioni sanitarie piuttosto deboli.